


PONTE A MORIANO (Lucca) Analisi ludica ad alto tasso di complessità situazionista e quindi in apparente leggerezza, che in realtà delinea una feroce capacità autocritica dei due co-autori, la coppia Roberto Castello coreografo e danzatore internazionale, con Andrea Cosentino, uno fra i (pochi) attori-autori teatrali satirici di rango italiani. Il lavoro nasce parecchi mesi or sono all’interno della stagione SPAM ideata e diretta dallo stesso Roberto Castello. I segni di questo Trattato di economia sono multi semantici e alla fine si capisce che, spettatori in tutto esaurito o quasi nel Teatro di questa piccola realtà provinciale a Ponte a Moriano organica allo spazio SPAM di Porcari, si ride per non piangere. O forse si piange per non ridere. La spietatezza dei temi si evince fin dalle primissime battute dove con la scusa ed il linguaggio da conferenza a carattere economico, i due relatori seriosi ma solo di facciata in giacca e cravatta, espongono ex cathedra due oggetti da sex shop. Ma dove sta il business? È di denaro che si parla o forse di sesso? O di come questo e quello comunque di fatto reggano, da sempre, il Pianeta e l’intera umanità ?
Il dove si va a parare pur partendone alla larga, si fa strada ben presto perché l’indagine dei due autori è finto economica sui temi dei grandi sistemi del pensiero unico lobbistico-finanziario e non tratta né di soldi né di sesso ma di cultura e di quella della società dello spettacolo in ispecie. Con spietatezza raffinata mixando diversi generi, dalla pantomima al talk show al cabaret, utilizzando le due diverse competenze in affabulazione e siparietti sincronici affiatati per ritmi e scrittura drammaturgica, Castello|Cosentino disegnano una partitura in cui ciò che viene messo alla berlina è proprio il mondo della società teatrale, quel microcosmo spesso schizoide rispetto alla cosiddetta società civile in un gioco perverso di realtà che si autorispecchiano perché nella macchina dei soldi c’è anche, eccome, la macchina-spettacolo. Anche in quello per qualcuno “fricchettone” per altri “di ricerca”.
Trattato di economia, crediti di Ilaria Scarpa
Trattato di economia, crediti di Ilaria Scarpa
Nessuno è risparmiato nel copione di Trattato: non il pubblico-che dice noi siamo di sinistra, impegnati nel sociale, ambientalisti che teniamo al fisico ma vestiti informali-non i generi televisione, teatro e danza- né i mostri sacri e non il giornalismo, quello della critica (con una video-partecipazione in falsa absentia di Attilio Scarpellini). Ma nemmeno si risparmia la coppia autorale e artistica etero-definitasi dentro cartelli con scritture concettuali-pure etichette, anch’esse di mercato. Niente e nessuno viene risparmiato in un crescendo parossistico nel tritacarne della gioiosa macchina da guerra dissacrante e iconoclasta del duo surreale e machiavellico. Se gli oggetti sono status symbol e l’accapararsene significa far parte del clan dei ricchi potenti e superfighi (scarpe e sex toys scorrono nel finale su un tapis roulant mentre Cosentino con antennine disco anni 80 televisivamente, sproloquia), così nel mondo dello spettacolo alcune icone vengono tirate in ballo come oggetti-feticcio reificati. Vengono rappresentate in scena fra l’ironico e il parodistico da Castello: si va da Jan Fabre a Pina Bausch fino a Ronconi, così come certi metodi di certe scuole di teatro (il riferimento è al santone Osho e i suoi seguaci new age) mentre parte uno spezzato di Telemomò, un must di Cosentino televenditore, stavolta della famosa pietra (filosofale?).
Andrea Cosentino crediti di Ilaria Scarpa
Andrea Cosentino crediti di Ilaria Scarpa
Insomma, se anche lo spettacolo è un prodotto di target, come poter riconnettere l’Arte e l’oggetto? L’arte e la sua remunerazione “oggettiva” sul mercato dell’arte? E qui si sfiora, elegantemente, una riflessione autocritica di meta-teatro ma solo per sinapsi, per allusioni sottili. Perché, allora, per contaminazione logica in ambito d’arte plastica contemporanea: chi decide le quotazioni di Damien Hirst?. E si potrebbe citare, sempre per contaminazioni logiche, il teatro del baratto- se i tempi non fossero decisamente altri- come i sistemi economici totalmente mutati dagli anni Settanta ed in barba al buon Carletto Marx. E qui sta il concept di Trattato di economia. Allora, chi siamo, chi eravamo e dove andiamo, noi che o facciamo o osserviamo, noi che da dentro o da fuori per lavoro o per divertimento bypassiamo nel nostro teatrino privato esistenziale il Teatro di ricerca? E chissà dove si dirigeranno allora, nella prossima stagione, nostra e loro, quelle mucche pezzate ruminanti in transumanza debordiana verso il Passo del Brennero di Qualcosa si muove , immortalate in fotografia che certo e non a caso è stata scelta come manifesto della stagione autunnale 2015 di SPAM?
Trattato di economia
di e con Roberto Castello e Andrea Cosentino
Produzione ALDES con MIBACT e Regione Toscana
Visto al Teatro Nieri di Ponte a Moriano (Lucca), l’11 dicembre 2015
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Autore: renzia.dinca
Si è laureata all’Università di Pisa. Giornalista dal 1985, ha collaborato con Hystrio, Sipario, Rocca, Il Grandevetro, Il Gazzettino di Venezia, Il Tirreno, La Nazione, Il Giorno, Sant’Anna News. Lavora come consulente in teatro e comunicazione. Ha condotto ricerche universitarie per le riviste Ariel e Drammaturgia e svolto tutoraggio di master universitario di Teatro e comunicazione teatrale per l’Università di Pisa. Ha pubblicato in poesia Anabasi (Shakespeare & Company, Bologna 1995), L'altro sguardo (Baroni, Viareggio 1998), Camera ottica (ivi, 2002), Il Basilisco (Edizioni del Leone, Venezia 2006) con postfazione di Luigi Blasucci, L'Assenza (Manni-Lecce 2010) con prefazione di Concetta D'Angeli, Bambina con draghi ( Edizioni del leone, Venezia 2013) con prefazione di Paolo Ruffilli. È inserita nella rivista Italian Poetry della Columbia University.Come saggista teatrale il volume Il teatro del cielo (Premio Fabbri 1997), Il gioco del sintomo (Pacini-Fazzi, Lucca 2002) su un’esperienza di teatro e disagio mentale, La città del teatro e dell'immaginario contemporaneo (Titivillus, Corrazzano 2009), Il Teatro del dolore (Titivillus 2012), su una esperienza ventennale di teatro e disagio mentale presso La Città del teatro. Per Garzanti uscirà un saggio sul Metodo mimico di Orazio Costa. Come autrice di teatro sono stati rappresentati Ars amandi-ingannate chi vi inganna ed uno studio per Passio Mariae con video di Giacomo Verde. Collabora come performer con musicisti, tra i quali il maestro Claudio Valenti, che hanno composto brani inediti sui suoi testi ispirati al Il Basilisco e L'Assenza.
Posted by renzia.dinca
Camaiore( Lucca)
Rivisitazione in ampia libertà della e dalla fiaba Hansel e Gretel dei Grimm, questo Grow che fin dal titolo accenna alla difficoltà del crescere. Una fiaba che sia dal punto di vista letterario che psicoanalitico può avere come riferimento Bambini-fratellini e dall’altra Donne Madri-arpie che come nella fiaba classica sono per qualche motivo separati dai propri genitori legittimi (qui non dispersi per povertà della famiglia d’origine a cui non si fa riferimento se non per desiderio di ritornarci), ma che ripetono le tappe della faticosa ricerca di un’altra Madre. Sì, ma quale? La madre per sostituzione, è una virago dark in tacchi a spillo tirata a lustro che dichiara: ho quasi quarant’anni. E che fa all’arrivo di questi due bambini che si rincorrono come tutti i cuccioli aggrovigliati ma sotto lenzuola ambigue nere e di pizzo? Adotta i due malcapitati, blandendoli. E’ chiaramente single. Si muove con gran disinvoltura nello spazio- che è il suo, la sua casa (?) cavalcando scope da una parte all’altra del palcoscenico e dimenandosi un po’ menade un po’ femminista fuori contesto, trascinandosi in scena perfino innalzando la falce ed il martello. I fratellini, una lei Gretel con treccione bionde e un lui Hans cicciottello ancor prima di esser messo nella gabbia all’ingrasso, un po’ meno reattivo, dimenandosi fra lenzuola–tovaglia tutte fittizie, trovano finalmente ciò che cercano: essere riconosciuti come individui e cibo- la casetta di marzapane. La Madre potenzialmente adottiva e sadica li accoglie o meglio accoglie il maschio a cui arriva a permettere cibi cattivi essendo lui celiaco mentre distribuisce merendine anche al pubblico. Ma è la sorellina, la femmina, costretta da copione come una Cenerentola ai lavori domestici, che mette in guardia la potenziale vittima – il fratellino- maschietto- dalle mire antropofaghe di una Medea ma senza apparente passato famigliare, per niente amorevole e dotata di ben poco istinto protettivo. Allora chi mangia e chi è mangiato? Nel forno non finiscono i fratellini che scappano dopo aver meditato di ritornare alla famiglia da cui sono forse, fuggiti. Della strega cattiva poi non è dato sapere, come da finale aperto. Forse si è distrutta da sola, in un delirio narcisistico nel proprio forno interiore.
GROW di e con Silvia Bennett, Marcela Serli, Caterina Simonelli
Drammaturgia Tobia Rossi
Consulenza artistica Federico Tiezzi
Produzione Compagnia Lombardi|Tiezzi e Associazione IF Prana
Visto a Camaiore Teatro dell’Olivo il 21 novembre 2015
Pontedera – Lari (Pisa)
Dentro una cornice toscanissima-un poderoso castello medievale che dall’alto si affaccia su una campagna d’ulivi e terrazze da un lato e dall’altro colline e monti che sfiorano il confine con il territorio della lucchesia, dentro il festival Collinarea diretto da Loris Seghizzi, abbiamo visto in edizione estiva dopo il debutto pontederese, questo lavoro di Michele Santeramo che sarà in replica a novembre a Pontedera al Teatro Era, nella stagione della Fondazione Teatro della Toscana e poi a Cascina alla Città del Teatro a gennaio, in una collaborazione artistica per le nuove drammaturgie.
Un lavoro delicato ed insolito–pluripremiato di recente non a caso a livello nazionale dalla critica più attenta-dove si reinventano spazi e tempi che guardano altrove e lontano ma anche dentro un futuro pensabile con gli strumenti dell’hic et nunc. L’ideazione viene dallo stesso attore e regista e da Luca Dini, anche dirigente del nuovo Teatro Nazionale della Toscana. Che così è la narrazione- minimalista, come lo spazio dove Santeramo legge la sua partitura – e qui sta il concept – con accanto un video su cui sono proiettate immagini che corredano con sottotitoli ma anche commentano a scandire e/o interrompere la narrazione interagendo in modo originalissimo ciò che andremo a vedere. Il plot è quanto di più essenziale si possa immaginare: la storia di una ragazza ed un ragazzo Viola e Massimo, trentenni che non sarebbero dovuti nascere. Entrambi rifiutati- quantomeno psicologicamente – il che non è affatto poco, dai propri genitori biologici. E che sarà di quei due? delle loro vite insieme come coppia, per ben sessant’anni di convivenza e fra il 2015 ed il 2065? ce lo raccontano nel lungo tempo di ben cinquant’anni le parole di Michele Santeramo che dà voce ad entrambi i personaggi assecondato e insieme stimolato dai quadri delle straordinarie tavole disegnate da Cristina Gardumi. L’esperimento, che di questo si tratta, vede infatti l’attore davanti ad un leggio e microfonato mentre si interfaccia con le silhouettes di Viola e Massimo proiettate su maxi schermo dai disegni originali della Gardumi, che si sta rivelando creatrice raffinata e riconoscibile per un’ironica graffiante galleria di personaggi da bestiario medievale antropomorfo. Legati per la vita dalla stessa fune (o catena) ciascuno dando le spalle all’altro|a nel vano tentativo di fuggire- ma che si può fuggire al destino il proprio e quello che unisce, ha unito e unirà per un’intera esistenza Viola e Massimo? Disincantato eppure tenero, esistenzialista il lavoro di Santeramo/Gardumi passa attraverso quadri da un decennio all’altro della coppia un po’ intimistici un po’ sociologici gli scenari futuribili dei due trentenni. Si va dalla disoccupazione al precariato all’inventarsi lavori, dalla possibilità di diventare genitori alle difficoltà relative- siamo gente del secolo scorso, dalle App di realtà virtuale alle memorie al rimpianto, alle macchine della verità, dall’odore del tradimento al clistere di notizie, alle barrette sostitutive dei pasti, dai soldi sostituiti dal sangue, dentro il leit motiv di una rivoluzione mancata che la coppia non ha saputo o voluto intraprendere dentro il proprio tinello e fuori se stessa se è vero che il privato è politico e fino alla fine, dissanguati, nel proprio torpore di settantenni.
La prossima stagione
di e con Michele Santeramo da un‘idea di Michele Santeramo e Luca Dini
Immagini Cristina Gardumi
Musiche di Sergio Altamura Giorgio Vendola Marcello Zinni
Produzione Fondazione Teatro della Toscana
Centro per la Sperimentazione e la Ricerca teatrale –Pontedera
Visto a Lari Collinarea festival, 31 luglio 2015
In replica a Pontedera dal 13 al15 novembre e 12-13 dicembre

Posted by renzia.dinca
Pisa
Spettacolo vincitore nella recente edizione estiva ai Teatri del Sacro di Lucca, approda nell’ambito della rassegna Teatri di Confine Pisa|Buti 2015 il De Revolutionibus-sulla miseria del genere umano di Carullo e Minasi.
Una coppia di giovani artisti assai coraggiosi che si misurano nientepopodimeno che con alcuni testi del “Giovane meraviglioso “, quel Giacomo Leopardi ritratto pochi mesi or sono per il grande schermo dal regista Mario Martone (che ci ha regalato anche un’altra regia, questa volta teatrale visionaria sempre attingendo dal sommo recanatese delle Operette morali, premio UBU 2011).
Il cammino della coppia Carulli|Minasi nella scelta impervia di confrontarsi con due delle Operette morali “ Il Copernico” e “Galantuomo e Mondo”, è quanto di più antiteatrale si possa immaginare: siamo di fronte a testi filosofico-letterari in una lingua italianissima ma letteraria, a volte complessa e oscura, ricca di metafore, riferimenti dotti, insomma lontana dalla più corriva ideazione di messinscena delle più recenti generazioni di artisti del palcoscenico, perlomeno rispetto alle scelte di linguaggio. Una scelta di campo un po’anomala, insomma. Eppure il trattamento che la coppia è riuscita a dare alla complessità dell’operazione di translitterazione per la scena è interessante. E qui sta il valore meritorio di questo efficace lavoro. Carullo e Minasi si presentano nello spazio della Chiesa di Sant’Andrea-con il Teatro Francesco di Bartolo a Buti, uno dei due luoghi della rassegna-come due saltimbanchi di teatro delle origini, col loro carretto girovago a rotelle di legno componibile e scomponibile. munito di musiche di organetto da cantastorie comprensivo di palco, sipario e siparietti, praticabili, abito che fa da robe manteaux (anche epistemologico) per la donna e tenda da circo per lo spettacolo con tanto di luci da baraccone. Ma qui niente è improvvisato. I due personaggi si muovono con estrema disinvoltura impersonando i due personaggi delle Operette. La prima è definita “operetta infelice e per questo morale”, Il Copernico, dove la Terra deve confrontarsi col Sole vestito da gerarca con le ghette mentre l’altra, al rovescio è “operetta immorale e per questo felice” dove la Virtù (lui, imbranato occhialuto vittima dallo sguardo perso e perdente) ha da vedersela col Mondo e le sue miserie (lei, cinica tracotante ). L’ironia o meglio l’autoironia dei due interpreti è molto sottile come la loro bravura nel muoversi fra le trappole del testo e il conseguente rischio della mancata empatia del pubblico. Una recitazione mai urlata ma assolutamente in linea con le azioni e le intonazioni nel reciproco dialogo intessuto del leopardesco intreccio di senso e di rimandi nei rimandi, in una sorta di mise en abime. Infatti il gioco del teatro, alla fine si spoglia di abiti e fogge per restituire allo spettatore la verità dei corpi e delle maschere: i due attori lasciano gli abiti di scena raccogliendo un primo applauso. Per poi rimettere a posto chiodo su chiodo la macchina del carro di Tespi che hanno creato da veri cantastorie.
De Revolutionibus di e con Carullo/ Minasi
Visto a Pisa, Teatro Sant’Andrea il 3 novembre 2015 in Teatri di Confine

