venerdì 26 febbraio 2016


Minimacbeth Posted by renzia.dinca Buti (Pisa). Riedizione, la numero due per la coppia Giovanna Daddi e Dario Marconcini a distanza di 15 anni, di un lavoro di scalpello nato dalla felice riduzione drammaturgica dell’immensa opera del Bardo tratta dal Macbeth a firma di Andrea Taddei. Davvero la coppia Daddi/ Marconcini continua a stupire per la forza esperienziale unita all’intelligenza creativa che ha ideato da molti anni una fra le più interessanti stagioni toscane a detta di studiosi e critica militante nazionale, una rassegna Piccoli fuochi , un crogiolo di progetti fra cui la residenza di Jean Marie Straub. Da sempre fortemente collegato con Il CSRT di Pontedera, se non altro per la provenienza generazionale di esperienze straordinarie quali quelle originarie del gruppo con i Maestri da Grotowski, Living ed Eugenio Barba, Dario Marconcini dirige da decenni uno spazio il Francesco di Bartolo, un gioiello architettonico della metà dell’Ottocento alle pendici del Monte Serra a pochi chilometri dalla città della Vespa. Già apprezzata da chi scrive per una edizione a Radicondoli nel festival di Nico Garrone e a firma di Taddei anche della regia (con Emanuela Villagrossi e Bruno Viola voci recitanti), questa nuova edizione del Minimacbeth convince per la prova d’artisti e la originale invenzione scenica. Lo spazio infatti viene circoscritto e allestito direttamente sul palcoscenico dove si sale (lo spettacolo è per quaranta persone) e siamo fatti accomodare su due spalti intorno ad un lungo tavolo di legno ricoperto da foglie secche autunnali dove i due Macbeth si incontrano e scontrano, tramano amano e uccidono fino al delirio finale, l’una di fronte all’altro, sopra e sotto il tavolo, sopra e sotto le sedute delle rispettive e simmetriche sedie-trono. La riduzione drammaturgica prosciuga tutti i personaggi che non siano i due e quindi sta-anche e soprattutto, all’invenzione registica e scenografica trovare oggetti e spazi di narrazione evocativi e restituivi della trama. Breve candela, spegniti! La vita è solo un'ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico. Questi versi fra i più celebri della tragedia e in realtà collocati nel V Atto, vengono trasposti all’inizio della riduzione drammaturgica e vedono un Macbeth-Marconcini, dotato di insolita capigliatura: una parrucca dalla lunga chioma bianca con maschera (balinese) che reindosserà in uscita dalla scena, una chiusura ad anello, nel finale. La Lady-Daddi, si presenta a sua volta abbigliata con pesante damascato assai elegante da regina e si muove da vera dark lady sensuale e sanguinaria che tutto è pronta a immolare per il Potere, bambini compresi e non, in pasto nella stanza-tavolo desco letto, spazio simultaneo dove tutto si consuma. Tutta l’azione che dura almeno un’ora, si svolge all’interno di un microcosmo spazio-temporale dove le due anime-corpi si aggrovigliano in una sorta di psicodramma dal sapore grottesco, un delirio à deux dove la prova attoriale è sia fisica che mentale e tutta giocata all’interno di un sofisticato gioco di sostituzione anche allegorica. La trama originaria della tragedia è come ammansita, distanziata per prosciugamenti attraverso una mise en abime, un sottotesto che si desume più dalla fitta affabulazione in contraddittorio dialettico fra due interpreti che invece non risparmiano e non si risparmiano in scena. Sino alla cavalcata finale, agita sempre sul tavolaccio nuziale, quella della famosa foresta semovente della battaglia, su cui vengono allineate figure stranianti di eleganti cavalieri di varie fogge (in pasta di legno su intelaiatura metallica creati da Riccardo Gargiulo di pregevole fattura). Un omaggio ai Maestri questo della coppia, in particolare all’Odin Teatret per la cura dell’essenzialità, l’estrema pulizia formale di gesto e segni espressivi. Scrittura per la scena di Andrea Taddei con Dario Marconcini (anche regista) e Giovanna Daddi coreografia e luci di Riccardo Gargiulo musiche di Shonberg e Madrigali di Gesualdo da Venosa Visto a Buti( Pisa), il 9 febbraio 2016 al Teatro Francesco di Bartolo

giovedì 25 febbraio 2016


Giovedì 18 marzo 2016 ore 21.00 Teatro Gustavo Modena piazza Modena 3 – 16149 Genova Info: Teatro dell’Archivolto +39 010 659 21 // teatro@archivolto.it Teatro dell’Ortica+39 010 8380120 // segreteria@teatrortica.it Giovedì 18 marzo alle 21.00, Il Teatro dell’Archivolto / Teatro G. Modena ospiterà l’ultima produzione di GRUPPO STRANITA’: l’Altra bellezza. STRANITA’ nasce nel 1997 da un laboratorio di Teatro Sociale ideato e condotto dall’attrice e regista del Teatro dell'Ortica di Genova Anna Solaro, e svolto in collaborazione con la Salute Mentale della ASL3 genovese in un percorso di Teatro integrato che porta in scena laboratori e spettacoli. Come può la scienza psichiatrica trasformarsi in bellezza? Nell’immaginario collettivo la psichiatria è zona di carcerazione, di emarginazione e di esclusione sociale. Lo spettro del manicomio, un ricordo ancora vivo nelle memorie, è il paradigma di questa vera e propria “bruttura” che coincide con la disumanizzazione e con la perdita d'identità. Eppure, un'altra bellezza è possibile: il sogno di luoghi di cura trasformati, in cui la gradevolezza degli ambienti diventa specchio e simbolo di un'attenzione verso la persona che un tempo non era neppure lontanamente concepibile. Con L'altra bellezza Gruppo Stranità vuole mostrare attraverso la rappresentazione teatrale come, grazie all’espressività corporea, le persone si trasformano, per passare dall’essere corpi di individui sofferenti ad espressione di bellezza interiore. Il linguaggio del corpo esprime emozioni, stati d’animo e sentimenti comunicando allo spettatore tutto il complesso mondo interno degli attori, coinvolgendolo nella scoperta di contenuti nuovi e inaspettati. Il teatro ci permette così di togliere etichette, creare un tessuto di empatia ed entrare in rapporto con chi vive una situazione di vita diversa dalla nostra, ma soprattutto ci consente di vivere quella diversità come un pezzo della nostra anima. Le scene dello spettacolo sono state realizzate dall’Atelier del CEPIM UniDown con cui Teatro dell’Ortica collabora da molti anni. STORIE DI ORDINARIA STRANITA’ Campagna di crowdfunding a favore della tournée dello spettacolo e della realizzazione di un docu-film della stessa https://www.produzionidalbasso.com/project/storie-di-ordinaria-stranita/ VIDEO INTERVISTA AD ANNA SOLARO http://youtu.be/K3PPve7V9sA nasce a Genova nel 1996 per sviluppare un progetto di Teatro di Comunità con sede nei locali della Provincia di Genova siti in Via Allende a Molassana. In collaborazione con l’associazione di volontariato Nuovo C.I.E.P organizza una stagione teatrale per bambini e adulti diventata, negli anni, un punto di riferimento culturale del quartiere di Molassana. Nel 1999 inizia un percorso nell’ambito del Teatro Sociale che coinvolge soggetti che si trovano in condizione di disagio e di emarginazione: nasce, in collaborazione con la ASL3 di Genova, il laboratorio Stranità, gruppo teatrale stabile formato, oggi, da trenta pazienti psichiatrici e una decina tra operatori e attori; nel 2006 un simile progetto viene sviluppato con la ASL1 di Sanremo, creando il laboratorio “I Viaggiatori sognanti”. Nel 2006 prende vita il progetto Oltre il Cortile, attività laboratoriale realizzata con i detenuti, fino al 2009 della Casa Circondariale di Marassi, dal 2010 presso la sezione maschile di Pontedecimo e con la peculiarità di aver realizzato un percorso condiviso “a distanza” con una classe della scuola primaria Daneo di Genova, portando in scena il doppio spettacolo Le finestre sono passaggi, ma solo per gli occhi. Nell’ambito della formazione, dal 2006 si organizzano laboratori teatrali per bambini, adolescenti e adulti cercando di creare un clima di condivisione, avendo gli aspetti educativi e relazionali un ruolo preminente. Dal 2005 si tiene, in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Formazione di Genova e dal 2009 anche con la Facoltà di Lettere, un corso Biennale per Operatore Pedagogico Teatrale, formazione specialistica con l’intento di fornire strumenti di carattere pedagogico e attorico. Il Teatro dell’Ortica, inoltre, collabora con enti e associazioni differenti - offrendo sia formazione specialistica che formatori - propone attività laboratoriali nelle scuole, è uno dei partner del Comune di Genova per l’organizzazione della rassegna TEGRAS e, nell’ambito dei percorsi di Teatro di Comunità, organizza a Genova e Provincia spettacoli teatrali di impegno civile all’interno di situazioni non teatrali. Dal 2008 partecipa a progetti di partnership europea sull’uso del Teatro Sociale.

mercoledì 24 febbraio 2016


Una Butterfly per grandi e piccini Posted by renzia.dinca Prato. Dall’opera pucciniana una rilettura originale e fresca di Butterfly. Una platea di quasi trecento bambini della scuola primaria pratese fra i sei e i 10 anni (e quanti occhietti a mandorla!), che hanno applaudito in grande attenzione e silenzio ad un’ora di spettacolo niente affatto banale da inventare e proporre rispetto alla complessità semantica dei linguaggi utilizzati da Kinkaleri fra opera lirica, multimedialità e gioco a specchio di compartecipazione reciproca col pubblico (un bambino viene fatto salire sul palco a interagire con gli attori). Certo il menu è a prima vista complesso da leggere sulla carta-programma di sala e insieme invitante per via dei molteplici codici artistici coraggiosamente proposti dalla Compagnia proprio per la contaminazione narrativa già di per sé intrinseca al libretto operistico pucciniano (due culture, l’americana yankee e quella della più pura tradizionale ottocentesca giapponese). Ma l’esperienza precedente di successo avuta con la riscrittura per la scena teatrale da Turandot, ha evidentemente rinforzato la consapevolezza di mezzi e strategie di comunicazione artistica del Kinkaleri. I due personaggi pucciniani, la bella e giovane Butterfly (Yanmei Yang), che dalle tradizioni giapponesi famigliari fugge per amore di Pinkerton tenente di marina americano cinico macho e fasullo, sono risolte sulla scena attraverso la elegante figura di Cio Cio San(ribattezzata Butterfly dal mefitico marito doppiogiochista), che canta e non in playback le principali arie dell’opera mentre, altalenando con il Narratore/Pinkerton (un Marco Mazzoni dotato di maschera negli scambi di ruolo, compreso quello della fedele domestica di lei), scrive attraverso un gioco di arti visive di proiezioni e azioni fisiche dentro lo spazio scenico del Fabbricone, la storia della triste vicenda. Questo impianto visivo-sonoro è molto apprezzato dai bambini ma è anche di soddisfacente visione per un pubblico adulto poiché lavora di scavo sulle metafore e sugli oggetti scenici essenziali a cominciare dagli origami di carta e non. Certo gli spunti dell’opera pucciniana sono molteplici per una riflessione contemporanea multi generazionale che va dal rapporto maschile-femminile, al confronto-scontro fra diverse culture reso oggi così drammatico sulla scena internazionale (le culture dominanti e quelle succubi fino all’ISIS che tutti minaccia), al mettersi in gioco con lo scabroso tabù, per lo meno occidentale, del sacrificio e della morte. Che così in un finale teatralmente spoglio ma efficace per l’effetto anche visivo su sfondo rosso fuoco, rosso sangue, si uccide per harakiri la dolce madre e sposa, offesa e tradita che credeva nella stagione dell’amore, dei pettirossi e dei ciliegi in fiore. Butterfly Progetto e realizzazione di Kinkaleri Adattamento e regia Massimo Conti, Marco Mazzoni e Gina Monaco Con Yanmei Yang e Marco Mazzoni Produzione Kinkaleri/Teatro Metastasio Stabile della Toscana in collaborazione con FTS Visto a Prato , al Teatro Fabbricone il 10 febbraio 2016

domenica 21 febbraio 2016


The Walk Posted by renzia.dinca Pistoia. Compagnia nata nel 1987 in residenza a febbraio presso il Centro culturale Il Funaro nella città toscana designata Capitale italiana della cultura 2017, Cuocolo|Bosetti ci propone un’esperienza di site specific. Gli italo australiani pluripremiati in tutto il mondo (UNESCO Award per la ricerca artistica, Festival Internazionale di Sitges Barcellona, Green Room Award, premio Cavour per contributo arte italiana all’estero, miglior spettacolo Festival internazionale Olimpiadi di Sidney, premio Hystrio 2015), presentano una singolare performance per attrice( Roberta Bosetti) in radiofrequenza per un piccolo pubblico dotato di cuffie. La location è la città per le sue vie e piazze in notturna fra lo splendore del gotico di chiese, facciate di palazzi e marmi policromi rinascimentali. Il lavoro è una narrazione in azione fisica dove l’attrice – una sorta di Beatrice dantesca, avvicina a sé come voce narrante il gruppo chiamato a seguirne la storia e le vicende dentro un alone perturbante. La storia è quella del percorso dell’ultimo giorno di vita di un amico (forse un attore) improvvisamente e misteriosamente scomparso proprio dopo aver lasciato la casa dove era ospite. In The Walk si trovano tracce un po’ del Joyce dell’Ulisse, un po’ La recherche proustiana ma soprattutto il Tabucchi di Requiem per le vie di Lisboa perché è di una esperienza e di una drammaturgia fantasmatica che si tratta. L’attrice è un io narrante, una guida che attraverso la sua memoria dolente per la perdita, mescola pagine private di diario coll’esperienza della pubblica condivisione in rituale composto e commovente da tragedia contemporanea in un mood metafisico. Roberta|Beatrice ci ricorda che abitare un luogo vuol dire abitare lo spazio-tempo che è il tempo delle nostre vite in condivisione di storie e memorie private e collettive e lo fa dentro una narrazione e azione efficace un po’ anche taumaturgica. La sua voce è calda ed accorata quasi un sussurro mentre ammiriamo la bellezza degli spazi cullati dal racconto postumo di una giornata “particolare” verso un destino ignoto- la vita la morte, che tutti ci accomuna in cammino per la città, una città che potrebbe essere questa come un’altra. Bosetti si rivela essere un doppio freudiano- una sorta di Ombra ed alter ego, nel momento in cui nella splendida Piazza Duomo dentro una luce surreale archetipica, ci attende nell’ultima tappa del percorso, per poi allontanarsi voce sempre più fioca fino a scomparire in un gioco al nascondino dove vivi e morti si incontrano. Occorre contare fino a cento-un due diciotto ventisette settantadue…un gioco infantile che infantile non è, fino ad essere rapiti dal buio, lei e noi, lasciandoci alle spalle ciò che è stato e non sarà mai più nella dissolvenza dell’incontro e della dipartita. Nostra e degli altri compagni camminanti. La Compagnia italo australiana presenterà a fine febbraio (il 26 e 27) sempre al Funaro in prima assoluta Roberta cade in trappola. The Walk di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti con Roberta Bosetti regia Renato Cuocolo spettacolo in cammino per la città di Pistoia per 25 spettatori Visto a Pistoia il 5 febbraio 2016

sabato 20 febbraio 2016


Era la nostra casa posted by renzia.dinca Firenze. Una coppia cinquantenne o giù di lì. Una figlia che è partita per il Canada, forse per studio, chissà. I due che si ritrovano in una casa di famiglia, in campagna dopo aver lasciato forse per ferie o un week end la casa in affitto, ma di città. Insomma il classico interno piccolo borghese. Lui professore di letteratura, intellettuale poeta fallito le contesta: sei solo una bottegaia. Cosa potremmo aspettarci dal battibecco? La crisi di coppia per stanchezza, ritorsioni o forse sindrome del nido vuoto? No o meglio non solo. In realtà c’è dell’altro: la crisi esistenziale di un uomo e di una donna che hanno perso lui la creatività giovanile insieme con le belle speranze e lei la sua attività in coppia con un socio del negozio in città, che chiude e gli farà causa. Come i tempi ci raccontano (ed anche la letteratura degli odierni avvocati divorzisti), la realtà supera ogni fantasia- il campanello di allarme arriva dal solito cellulare che in notturna via sms svela un sicuro tradimento. Mentre lui pareva rilassarsi colla moglie di una vita, in realtà freudianamente, si lascia andare alla rivelazione, peraltro bugiarda e al proibito. Falso pure quello. Ed il resto è noia, come direbbe il cantautore romano di borgata Califano. La moglie è Beatrice Visibelli: madre moglie e anche possibile madre sostituta dell’amante del proprio marito, donna forte e impavida mentre il di lei marito Marco Natalucci ( già attore di Arca Azzurra) è goffo, infantile, ricorda molto da vicino certe controfigure maschili di Mastroianni al cine. Sì perché l’agnizione è che l’amante del marito è una ex studentessa del professore della stessa età della figlia in Canadà e tra l’altro è incinta. Problematica la ragazza-amante- figlia, anche lei stufa del suo lavoro(peraltro, beata lei che ce l’ha a 27 anni) e non esattamente come badante o call center, che tuttavia disprezza e con alle spalle un quadretto famigliare non proprio idilliaco. Insomma si tratta di una ripetizione. L’inaspettata gravidanza modifica ma non per il suo ex professore di liceo, le distopiche dinamiche di coppia intergenerazionali. In questo intreccio, che ha i caratteri della pochade, si intravedono echi cinematografici alla Truffaut (un po’ all’americano Allen ma solo di striscio), su musiche di Jacques Brel. Un testo amaro che lascia però un aperto finale sul destino della coppia scoppiata, con un pubblico divertito e compartecipe. Un nuovo testo di Nicola Zavagli che coraggiosamente porta avanti con la compagna Visibelli, nelle immediate periferie fiorentine, un progetto teatrale in un bel piccolo Teatro gestito dalla Compagnia Teatri d’Imbarco che ospita artisti noti e lancia nuove possibilità (una fra queste in cartellone La leggenda del pallavolista volante con Andrea Zorzi e Beatrice Visibelli in scena) e di scrittura drammaturgica che prevede attenzione al territorio (siamo nella giungla d’asfalto intorno alla città, dopo il Ponte all’Indiano sulla via Pistoiese),di progettazione e di inclusione sociale con attenzione ai travagli sociologici delle nuove e vecchie categorie antropologiche umane ed urbane. Era la nostra casa Compagnia Teatri d’Imbarco drammaturgia Nicola Zavagli regia Nicola Zavagli con Beatrice Visibelli e Marco Natalucci Visto al Teatro delle Spiagge a Firenze il 6 febbraio 2016

domenica 14 febbraio 2016


ho una tua foto, che tu stesso mi hai regalato. sta nel terzo cassetto del comodino. era quando stavi male- dicesti. un male alla schiena, una schisi- che avresti voluto suicidarti. Avevi 40 anni. adesso Tu sei in orbita. ed io so che vivrai in eterno, mio premio Nobel. mio A.G. come Moravia per forza maggiore allettato, sei riuscito a vivere quei mesi orribili per creare. per bypassare l'infinito. andar oltre. GRAZIE! sei l'Utopia

venerdì 5 febbraio 2016


Dell’attore Vecchiatto: Morganti/Bucci che coppia! pubblicato su RUMORScena di Roberto Rinaldi Posted by renzia.dinca PONTEDERA (Pisa). La programmazione del Teatro della Toscana, il nuovo Teatro nazionale nato dalla recente riforma dello spettacolo che ha sancito la partnership fra il fiorentino Teatro della Pergola e CSRT Pontedera Teatro, oltre a classici ed evergreen, ha in cartellone alcuni titoli assai coraggiosi. Uno fra questi è di sicuro Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto. Partiamo dal contest: un teatro di provincia-due gli attori Claudio Morganti (Attilio Vecchiatto) ed Elena Bucci (la moglie e attrice Carlotta); due leggii con partitura. Si tratta di una semplice lettura scenica? forse.Il dubbio nasce però immediatamente dal fatto che siamo accolti nella sala piccola del Teatro Era con tavolini dove ci si può accomodare e semplicemente, come in balera od osteria, gustare un bicchier di vino e dato che è inverno, sbucciare assaporandoli dei mandarini. La coppia nella mise en espace, nella narrazione perfettamente complice dei due Vecchiatto, Attilio e Carlotta, anche coppia nella vita, entrambi attori, entrambi con storie di storie da raccontare a intreccio, in palcoscenico ed in recite letterarie da Shakespeare a Leopardi a sonetti autografi, un groviglio di esistenze vissute, quelle fra i due in un mix fra teatro e autobiografie. Di qua e di là dall’oceano perché Vecchiatto, che si comprende essere attore di rango un po’ sbruffone un po’ intellettuale a fine carriera, mica è un attore improvvisato: lui ha lavorato con Laurence Olivier ed è stato in tournée partito da Venezia per le Americhe, recitando a New York fino a Buenos Aires. Un attore di successo, insomma. Poi, pian piano che si sdipana la matassa e forse, il pre-testo che è letterario ma anche e soprattutto teatrale, si incomincia a entrare nella vis tragi-comica del lavoro. A chi si rivolgono i due malcapitati? e di chi e cosa raccontano i due, evidentemente spaesati? ma soprattutto a chi? perché il dialogo fra loro è un moto continuo, un rimpallo, in cui il privato di una coppia agée e comunque assai affiatata di attori si mescola e rimbalza con la loro vita pubblica, teatrale e privata nel passato e nell’hic et nunc. Ma a chi raccontano la propria storia questi due individui e se a Teatro, ammesso che in un teatro stiano recitando, se non c’è un pubblico? perché è così: nel plot narrativo-drammaturgico davanti al folto pubblico al Teatro Era, in realtà è ad un’unica persona, occasionale, che i due attori si rivolgono. Per associazione ricordano un po’ l’equivalente paradossale di un insegnante che senza almeno un allievo rischia che la classe chiuda, così come il maestro che avrà destino di disoccupato. Perché i due attori si rendono conto che in teatro è forno, insomma non c’è nessuno, tranne una signora grassa colla sporta della spesa che forse passa di là, per caso, mentre ogni tanto qualcun’altro si appalesa, per poi sparire. E quindi la recita è con e fra se stessi, una beffarda situazione esistenziale dove non resta che svelare le carte del proprio individuale e reciproco cammino. Professionale e di coppia. E’ che si parte da un copione per il teatro dello scrittore Gianni Celati, dal cui testo, pubblicato da Feltrinelli nel 1996, si evince la drammaturgia della Recita di Vecchiatto. E qui è di meta-teatro che si tratta. Si tratta del senso e soprattutto non senso del fare teatro e per ellissi del ragionare sui meccanismi consci e inconsci di chi sceglie di diventare attore-attrice e dedicare, e un po’ immolare, la propria intera vita all’arte del palcoscenico. Soltanto una macchina affabulatoria raffinata e una tecnica attoriale immensa unita ad un affiatamento prodigioso dei due attori Claudio Morganti ed Elena Bucci avrebbero potuto restituire in sintonia divertente e insieme profonda una complessa e plurisemantica struttura testuale creata da Celati, che anche dà affondo nella stesura del suo testo, in universi storico sociologici coraggiosi rispetto al nostro Paese sul mestiere dell’attore ma non solo, sull’affacciarsi politico esistenziale che vede i cambiamenti della società fuori dai teatri, solo apparentemente lontani dalla specificità del palcoscenico. Ma non certo lontani da un teatro di riflessione e denuncia anche tagliente quale quello che da sempre è stato il percorso artistico di Claudio Morganti come di Elena Bucci. Metafora di un fare Teatro come lente dì ingrandimento di una società, quella italiana dove l’intellettuale ha dovuto e deve (dovrebbe), fare ancora i conti con l’imborghesimento selvaggio privo di scrupoli e l’impoverimento complessivo della cultura nell’irriconoscimento e anche disconoscimento della propria Storia, quella delle proprie radici. Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto Testo di Gianni Celati Con Claudio Morganti e Elena Bucci Visto a Pontedera, Teatro Era di Pontedera il 29 gennaio 2016

giovedì 4 febbraio 2016


Tutto ciò a cui resisti, persiste da nicoletta cinotti | Gen 29, 2016 | mindfulness continuum | 0 Comments Tutto ciò a cui resisti, persiste C’è un proverbio che ci ricorda che tutto ciò a cui resistiamo rimane più a lungo. “Tutto ciò a cui resisti, persiste”. Eppure la nostra resistenza, la nostra ostinazione possono spesso avere un ruolo importante nelle nostre scelte. A volte insistiamo perché è troppo difficile lasciar andare. Altre perché è troppo difficile perdonare.Così finiamo per credere che prima o poi, se insistiamo, avremo la meglio. Vinceremo. Questo è possibile. È possibile che la nostra determinazione ci faccia vincere. Ma non sempre la vittoria equivale alla soluzione. E a volte i danni di una vittoria sono più grandi delle conseguenze di una sconfitta Quindi se vogliamo mantenere la nostra determinazione, andare avanti dritti per la nostra strada, proviamo a chiederci se la vittoria per la quale stiamo lottando sarà davvero una soluzione. E soprattutto proviamo a chiederci se ci vogliamo bene. Se insistendo stiamo davvero lottando per il nostro bene. E aspettiamo la risposta: potremmo avere delle sorprese! Non c’è bisogno di aggrapparsi a qualcosa o di mandare via qualcos’altro; sotto la nostra reattività personale, sotto le nostre illusioni c’è la consapevolezza profonda, aperta, amorevole di tutto quello che è la nostra vita. Quando smettiamo di resistere alla vita, possiamo ascoltare ciò che sussurra sotto il rumore e i doni che già ci sono iniziano a rivelarsi. Elisha Goldstein, Bob Stahl Pratica di mindfulness: La consapevolezza del respiro © Nicoletta Cinotti 2016 Cambiare diventando se stessi

martedì 2 febbraio 2016


TERAPIA SCOMODA "In linea di massima direi che incontriamo due tipi di cliente... che sono, grosso modo, quello che viene qui provvisto di buona volontà, e quello che viene invece per fare il furbo... Moltissimi non vogliono affatto lavorare. Tutti quelli che vanno da un terapeuta hanno qualcosa nascosto nella manica. Direi che grosso modo nel novanta per cento dei casi non vanno dal terapeuta per guarire, ma per adattarsi meglio alle loro nevrosi. Se hanno la mania del potere, vorrebbero avere più potere. Se sono degli intellettuali, vorrebbero più cacca d'elefante (...)