venerdì 22 gennaio 2016


Bambina con draghi Nella forma di un haiku post-moderno, che caratterizza con una lunga sequela di terzine buona parte della raccolta Bambina con draghi, Renzia D'Incà dà vita ad una poesia densa, graffiante, scomoda, alla ricerca costante di un equilibrio, quasi un senso superiore che però sembra sfuggirle, oppure viene rifiutato come una morale fastidiosa e retorica. La ricerca di un colloquio autentico con se stessi e con gli altri è comunque la chiave fondamentale delle poesie di Renzia d'Incà, che inizia i suoi versi con una lunga confessione, forse con la madre, forse con una figura più paterna, «un gatto mammone» lo chiama l'autrice, sicuramente con chi ha gestito anche la sua vita e, in parte, la sua anima. Ma attraverso l'altro, attraverso il dialogo, i versi operano uno scavo interiore feroce, condotto senza peli sulla lingua, che in poesia vuol di dire dare vita ad un linguaggio a volte duro, sicuramente trasgressivo, ribelle. È un percorso, come dice nella prefazione Paolo Ruffilli, di avvicinamento a se stessi, è un andare verso se stessi e verso l'uomo in generale, farlo però senza falsa retorica, senza sentimentalismi di sorta, in maniera cruda e vera. Questi muri di confronto, questi alter ego spietati, sono i draghi di cui si parla nel titolo, che evidentemente rimontano agli anni dell'infanzia, ma di cui l'autrice non si è liberata, forse anche volontariamente, visto che a volte la cura e la guarigione possono giungere proprio da ciò che sembra dannoso. «Quando nessun farmaco fa guarire» afferma la poetessa in una terzina «quasi sempre l'antidoto è l'infestante». Così la bambina che gioca con i draghi è la poetessa stessa alle prese con i mostri della propria interiorità e della realtà esteriore, i mostri dai quali però la poesia esige risposte, magari una cura, sicuramente una via, un percorso. I draghi sono mostri ambigui, non si sa mai se considerarli amici o nemici, proprio come le forze ostili che si muovono nel mondo e che rendono la società, il consorzio umano dove tutto dovrebbe essere sicurezza e armonia, una giungla, un campo di battaglia. Alle prese con i mostri del mondo sociale la poetessa però non considera la poesia un rifugio. Questa ambiguità della lotta, che porta l'autrice a trasformare lo stesso amore di coppia in una schermaglia, la portano a costruire nelle sue terzine (pregnanti a volte come aforismi) degli ossimori di grande forza espressiva. Come quando sostiene «e adesso per andare avanti è necessario tornare indietro», giustificando l'analisi spietata che la poetessa sembra condurre sulla sua vita attraverso la disamina indiretta e simbolica del passato e dell'infanzia In questo modo le terzine mostrano che tutto è se stesso, ma nello stesso tempo il suo contrario. E non è un caso che ad un certo punto ci si imbatte in un'affermazione scandalosa e antitetica, «ogni amplesso è un incesto», verso che in sé spiega davvero tutto, o comunque tanto di questa poesia, in cui il rapporto con il partner non può non nascondere le tracce dell'antico rapporto con il padre. È forse per questo che, quasi inevitabilmente, il costante dialogo con l'altro, iniziato con la madre, continuato con il o i compagni, si conclude con il confronto con la figura paterna, dando all'intera raccolta una coloritura psicanalitica, a dire la verità resa inevitabile già dall'uso della simbologia iniziale, quella che fa appunto riferimento ai draghi. Certo scandalizza e spaventa l'epilogo che l'autrice dà al suo viaggio poetico, una sorta di finale battaglia con il padre, che cerca di trasformarsi in un parricidio. Eppure dietro questa ribellione distruttiva, si nasconde un impeto costruttivo e creativo. Una ribelle, un'anima inquieta è Renzia D'Incà insieme al suo io poetico, una rivoluzionaria che cerca in fondo però la quiete, la pace, il proprio equilibrio. Un'anima disperata che vuole il contatto con l'altro da sé. Ma vuole che questo contatto sia vero, sia autentico, sia vitale. Senza nessuna pietà la poesia D'Incà va a cercare dove l'umano ancora sopravvive, elo fa a costo di uccidere l'umano che però umano più non è. Recensione Bambina con draghi poesia Autori • Renzia D'Incà Edizione: Biblioteca dei Leoni Castelfranco Veneto 2013 Prefazione di Paolo Ruffilli - pp. 62 prezzo: € 8,00 Recensione a cura di • Marco Tabellione Pubblicata su: Il Segnale nr. 101/2015

giovedì 14 gennaio 2016


ENIGMA perché niente significa mai una cosa sola By renzia.dinca Seravezza ( Lucca) Pubblicato su RUMORSCENA di Roberto Rinaldi Le trappole tese dal linguaggio insomma la semantica, sembrano fin dal titolo e dall’incipit essere la chiave di lettura di un testo complesso Enigma, apparentemente poco restituibile in forma teatrale eppure è proprio (e anche non solo questo) la forza del nuovo lavoro di Stefano Massini, la penna più prolifica in questi ultimi anni di drammaturgia italiana e internazionale (mentre riflettiamo ancora sul suo recente Lehman Trilogy, l’ultima regia di Luca Ronconi). Sì perché il testo ha la struttura di un racconto-anche diviso in scena da ben 16 siparietti-capitoli, denominati ‘segmenti ‘e proiettati come titoletti dal buio fra una scena e l’altra, dove frammenti di dialoghi fra un uomo e una donna che pretestuosamente si incontrano, con disinvolta astuzia narrativa, ci introducono passo passo nel vivo del dramma anche concentrato in un assioma più volte ripetuto dalla strana coppia ossia che“ la realtà è sguaiata”. Così veniamo a sapere che i due si incontrano-ma solo per apparente casualità, in un appartamento grigio e disordinato, come chi lo abita anche se si ammanta di virtù da ‘loico osservatore’ che gioca sulle parole( Silvano Piccardi) in un dialogo serratissimo con la coprotagonista (Ottavia Piccolo) che lo incalza e scalza sullo stesso piano linguistico di e in una Berlino liberata (siamo tedeschi in Europa!) molti anni dopo la caduta del Muro. Che entrambi, non più giovani, professori- forse, lei sì di Storia, erano cittadini della DDR e che qualche oscuro legame li accomuna. Il legame è un perturbante, il passato che ritorna in solo apparenti altre forme ma sempre carico come da manuale psichiatrico- antropologico, di violenza odio e vendette. E qui i riferimenti anche cinematografici potrebbero sprecarsi fin addirittura a sfiorare capolavori come i film Le vite degli altri e ancor prima Il portiere di notte- al di là delle risoluzioni formali e senza mai happy end- che in Enigma: il finale è aperto. Si tratta dell’instaurarsi sottile di un rapporto vittima-carnefice e viceversa, che nel climax ed anticlimax del plot narrativo si rovescia come nelle più note vicende studiate dalla storia della letteratura e della psicoanalisi che riguardano gli individui, i gruppi e che in questo particolare studio creato dalla penna di Massini, ha come sfondo e si confronta con un nodo cruciale e ancora poco esplorato perché purtroppo ancor precoce della attuale identità della Germania unita, insomma nientepopodimeno che con l’attualità europea (e per associazione come non pensare ai segreti sui fatti occorsi alle donne di Colonia del 31 dicembre scorso?). Insomma sono due le storie personali intrecciate individuali che poi hanno a molto a che vedere con la storia con la Esse maiuscola. La verità celata che si trasforma in agnizione per lo spettatore a suon di palindromi, paradossi e sfide enigmistiche, e poi segreti, memorie,omissioni, taccuini, tracce, rivela la vera identità dell’uomo un ex sbirro al servizio della STASI che viveva di pedinamenti e fascicoli di informazioni sui comuni cittadini della Germania est fra cui anche la professoressa Ingrid che a distanza di decenni non esiterà a restituirgli trattamento analogo. Perchè la storia individuale e collettiva si ripete e come scriveva Montale “non ha niente da insegnarci”. O forse perché, parafrasando Battiato“niente è come sembra| niente è come appare| perché niente è reale. Testo letterario sì Enigma ma coi tempi e il respiro a misura del teatro di parola al servizio di due attori di rango per una recitazione naturalistica resa alla scena asciutta e convincente. Enigma-Niente significa mai una cosa sola ARCA AZZURRA TEATRO e Ottavia Piccolo Drammaturgia Stefano Massini Con Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi (anche regista) Prima regionale toscana Visto a Seravezza ( Lucca) Scuderie Granducali, Il 10 gennaio 2016

domenica 3 gennaio 2016


LE MILLE E UNA NOTTE il dolore delle donne Posted by renzia.dinca PORCARI (Lucca) Ultimo della serie di spettacoli della stagione autunnale Qualcosa si muove questo Le mille e una notte del Teatro del Carretto nello spazio SPAM, rete per le arti contemporanee curato fin dal 2008 e diretto da Roberto Castello, che ha ospitato residenze e una programmazione multidisciplinare di spettacoli, workshop, attività didattiche ed incontri, una realtà immersa nelle periferie lucchesi fra capannoni industriali e fumi delle cartiere. La Compagnia del Carretto (fondata nel lontano 1983) vanta un respiro internazionale fin da quando oltre venti anni or sono, iniziò a proporre dalla città di Lucca dentro il suo prestigioso teatro lirico del Giglio, macchine teatrali stupefacenti – e sempre e ancora in continuità nel binomio firmato Cipriani-De Gregori – una per tutte quel capolavoro dell’Iliade ancora oggi in tournée. Questa nuova proposta prende come snodo creativo le suggestioni del poema delle Mille e una notte ma trasferisce in scena una drammatica attualità, quella del femminicidio a livello planetario, quello che si sviluppa nel privato dell’opulento occidente e quello delle donne di altre religioni ed etnie, qui come altrove consumato da parte di un maschile autoritario e mortifero. La vicenda di Shahrazad che vuol porre fine alla carneficina delle spose messa in atto dal sultano vendicativo (perché tradito?) e feroce, a lui narrando storie di storie ancora incanta ed è materia letteraria di straordinaria vitalità. Si parte da una scena dove otto candele accese dividono lo spazio scenico dallo spettatore con agli estremi due automi in veste femminile con testa di morto (molto vicine a certa cultura messicana). Girano su se stesse con musica da carillon-che tornerà per tutta l’ora abbondante di spettacolo, in loop. Che in questo lavoro, essenziale è il commento musicale. Parte da Grazie alla vida per contaminarsi con arie liriche italiane specie da Verdi, in perfetta circolarità. Due i maschi in scena che si avvicendano nella comunque reciproca interrelazione quasi tasto nero e tasto bianco suonata dalla stessa mano e stessa melodia mentre il solo sfondo della scena è un armadio che contiene scarpe-femminili in un reparto, in un altro teschi, non si sa di chi, e altra cianfrusaglia. La figura femminile esile e diafana incomincia a narrare. Si parte dalla mitologia greca da Pasifae e il toro per attraversare la storia delle imprese dell’eroe Teseo che occuperà molta parte del lavoro. Potente il lavoro fisico sull’ancestralità dei due maschi in scena: l’eroe muscolare bello e potente Teseo e il suo alter ego, la forza bruta animalesca del Minotauro mentre la donna è l’io narrante, una delicata protagonista che passa in eleganza da una storia all’altra narrando le vicende di Eco e Narciso fino alla follia dell’Orlando furioso, ad Ofelia che a detta dell’Amleto deve andare in convento. E comunque femmina che deve essere soppressa, forse proprio per la sua libertà della Parola. Si arriva finalmente all’hic et nunc della contemporaneità: i due protagonisti maschili si improvvisano battitori di un’asta dove abiti femminili macchiati di sangue – dalla Siria alla ex Jugoslavia, alla Cina al Ruanda sono messi in vendita (donne stuprate e/o uccise)- crudele metafora e forte provocazione civile. Il lavoro è in evoluzione ma promette ancora tanto. Con tre attori molto generosi in perfetta sintonia. Drammaturgia e regia di Maria Grazia Cipriani Scene e costumi di Graziano Gregori Con Elsa Bossi, Nicolò Belliti e Giacomo Vezzani Teatro del Carretto Visto a Porcari ( Lucca) Spazio SPAM il 27 dicembre 2015