mercoledì 26 agosto 2020


PAOLO RUFFILLI Le cose del mondo. Lo specchio Mondadori, 2020 L'indefinibile chirurgia delle cose Coerenza chiama coerenza nella poetica di Paolo Ruffilli. Così in questa ultima fatica letteraria Le cose del mondo, che raccoglie ben 40 anni di produzione e ricerca lirica, l'Autore di cui Eugenio Montale intuì la felice ispirazione giovanile, conduce chi lo segue dentro un nuovo viaggio esperenziale e sapienziale. Fedele alla unità formale-le sei sezioni o “capitoli” di cui si compone il volume, sono elaborate per lo più in forma di settenari e endecasillabi, Ruffilli costruisce una struttura ad anello dove la partenza, quella evocata nella prima sezione Nell'atto di partire, si sviluppa per cerchi concentrici a tema fino a riavvolgersi come un nastro e a ritroso vero il ritorno, un eterno ritorno. Il dualismo si sdipana fra la stasi e il moto, l'azione e l'osservazione che è auto-osservazione. L'Autore osserva la realtà o ciò che i suoi sensi percepiscono come tale, per farne materia di indagine interiore in forma di autonarrazione, di autosvelamento come in Morale della favola, dedicata alla figlia e in La notte bianca. Rispettivamente seconda e terza sezione, per poi affrontare lo zoccolo duro del volume nel capitolo Le cose del mondo( pag.105): Le persone muoiono e restano le cose solide e impassibili nelle loro pose nel loro ingombro stabile che pare non soffrire affatto contrazione dentro casa perché nell'occuparlo non cedono lo spazio vaganti come mine, ma nel lungo andare il tempo le consuma senza strazio solo che necessita di molto per disfarle e farne pezzi e polvere, alla fine. Cosa c'è di più statico delle “cose” e della loro nominazione. E la parola cosa poi: quanto di più ambiguo racchiude nei significati di cui è portatrice nella nostra lingua. Ruffilli gioca coi versi sulle ambiguità di senso, lavora sul significante, sulla relazione contenente/contenuto. Infatti ne Il nome della cosa (pag 109) si legge: Eccolo, il nome della cosa: l'oggetto della mente che è rimasto preso e imprigionato appeso ai suoi stessi uncini disteso in sogno, più e più inseguito perduto dopo averlo conquistato e giù disceso sciolto e ricomposto rianimato dalla sua corrosa forma e riprecipitato nell'imbuto dell'immaginato Da questo incipit parte una serie di poesie che, secondo un ordine alfabetico, danno un contenuto concreto e simbolico, funzionale e metaforico secondo l'uso della lingua italiana, come da locuzioni prese dai vocabolari: si va da Anello a Bambola, da Occhiali a Scarpa registrando anche un: Vocabolario Registro, elenco, catalogo, inventario -ministro di governo, regina delle carte e scorta e giacimento di parole in schiera (…) sistematico schedario di tutto l'universo A questa segue la sezione Atlante anatomico dove, dissezionate, sono alcune parti del corpo umano, da Ascelle a Collo, da Occhi a Seno. L'osservazione minuta del Poeta fin dalle sue precedenti prove in versi (Piccola colazione, Diario di Normandia, Camera oscura, Nuvole, La gioia e il lutto, Le stanze del cielo, Affari di cuore), dotato di un raffinato sguardo, affila le sue pinze chirurgiche di scavo in questo volume composito e diacronico che costituisce un micro trattato di linguistica in versi. Si avvertono echi delle filosofie orientali nell'ossimorica perlustrazione di un immagine e del suo complementare od opposto, specie dove l'Autore si affida e cerca relazioni analogiche per immagini. Predilige un registro linguistico sintattico quasi quotidiano come nello stile, così come nella scelta dei temi da entomologo o chirurgo pur senza mai scendere nel minimalismo. Un continuo rincorrere il tentativo di formulare senso del reale, lui consapevole che il reale è la personale unica e individuale rappresentazione della realtà. Mai univoca sempre di inesausta narrazione. Senza cadere nelle trappole della o delle verità, per tentare di afferrare la sua realtà che è la realtà della vita e delle sue diverse irrazionali componenti fisiche, psichiche, esistenziali, esperenziali. In questa ricerca Ruffilli si appoggia a metafore del Novecento letterario come quella del viaggio caproniano con cui si apre il volume, per approdare a ritroso e insieme in avanzamento di conoscenza al passaggio dell'ultimo capitolo Lingua di fuoco (pag.173): Il nominare chiama e, sì chiamando ecco che avvicina invita ciò che chiama a farsi essenza convocandolo a sé nella presenza E' la ragione che si fa linguaggio(...) E' una sorta di Manifesto di poetica, questa dell'ultimo capitolo. L'inesausta e mai esaustiva ricerca dell'uomo Ruffilli e della sua ricerca in Poesia. Renzia D'Incà Arcidosso, 23 Agosto 2020

NATURAE . La vita mancata-primo quadro renzia.dinca Volterra . Pensato per festeggiare i Trentanni della Compagnia della Fortezza il progetto triennale doveva concludersi questa estate dentro le mura del Maschio in forma di spettacolo con i detenuti della Compagnia della Fortezza diretta da Armando Punzo. A causa del COVID19 si è formalizzato in due tranche sempre in forma di studio, Naturae-la vita mancata- primo quadro realizzata dentro il cortile del Carcere e La valle dell’innocenza-secondo quadro, site specific in azione teatrale a Saline di Volterra, dentro la struttura del Padiglione Nervi. Un anno speciale il 2020 che inaugura un’idea sognata e finalmente realizzata da Punzo: l’inizio dei lavori per la realizzazione del Teatro Stabile in carcere e insieme funestato, come del resto tutto il comparto del teatro e spettacolo, dal virus planetario che ha bloccato spettacoli e produzioni in corso. L’attività in carcere è comunque stata portata avanti anche se con molte difficoltà dal regista, così che anche in questa affannosa estate un piccolo gruppo di spettatori (25 per regole COVID) hanno varcato il portone della Fortezza medicea. Un clima particolare si avverte fin sulla salita che porta al carcere di solito affollata e vociante: i giornalisti–pochissimi, che si salutano con gli occhi oltre la mascherina d’obbligo con uno sparuto pubblico che si è conquistato l’ingresso attraverso un posto aggiudicato per lotteria. Armando Punzo fa iniziare lo spettacolo in solitaria nello spazio alberato del pre-cortile dove di consueto si svolgono le azioni. Non avere paura. Qui c’è soltanto un uomo- una sorta di prologo di un io narrante fra il poetico l’esistenziale e il filosofico entro un copione dove l’io parla in terza persona. Un monologo –dialogo che attiva in sinergia con gli attori ( in parte detenuti in parte attori professionali), che manterrà per tutto il lavoro. Il passaggio testuale dal io sono solo a lui non è solo è incastonato dentro una metatestualità costruita su suggestioni di innumerevoli quadri creati da azioni plastiche coreografiche fra gli attori e le musiche create e suonate dal vivo da Andrea Salvadori. La scena è costruita su elementi essenziali: fondale in bianco e nero con effetto optical a spirale che richiama il labirinto ( Borges), un solo albero scheletrico rosso scarlatto ( l’albero della tentazione? Albero della Genesi dell’umanità secondo il Libro delle religioni occidentali). Punzo è autore- narratore e cantastorie : evoca con le Parole e commenti le azioni anche talvolta agendole quasi trasfigurandosi lui in libro-corpo sonoro e per immagini. Corre con una mela rossa, sbocconcella- si dirige verso un catafalco che ricorda il Cristo velato. Dal lenzuolo funebre se ne esce, a sorpresa una giovane donna bionda ( Eva?). intanto entrano ed escono dallo spazio scenico figure ieratiche cariche di simbolismi: uomini con scale rosse issate verso l’alto, uomini con caravelle, una geisha, uomini con mantelli costellati di pavoni secondo l’uso orientale, dervishi danzanti con ombrelli e mantelli rossi. Il poema della rinascita-immagina, ripete Punzo. poi altri figuranti: un viaggiatore con la valigia, sacerdoti e soldati-Voglio vedere le linee dell’infinito. Guerrieri puntano verso il pubblico- seduto lungo una sola parete sulla cancellata, dei bastoni di finto bambù rossi come il colore dell’albero, poi due di essi creano una forma di sostegno a croce dove Punzo si sdraia sulla schiena: una sorta di Cristo o di San Sebastiano. Si conclude con il monologo del detenuto ( che fiancheggia Punzo in doppio nel percorso testuale) : non smetto mai di sognare. Sono in un’isola sulla spiaggia. La mia nuova terra. In questo lavoro -studio del regista, si accavallano molteplici segni non sempre chiari anzi forse ridondanti. Sono comunque frutto di un percorso che parte da Shakespeare di Dopo la Tempesta per arrivare a Beatitudo da Borges. Narrano un viaggio –ancora incompleto, anche per forza maggiore dovuta alla emergenza sanitaria, di una fuga dalla realtà nel senso di cercare di vedere oltre, che del resto ha contrassegnato tutta la ricerca e l’utopia del regista. Insomma Punzo è giunto all’indagine sulla nostra Natura umana, anzi sulle nostre Naturae. Il fine è quello di superare l’Homo sapiens per andare incontro all’Homo felix, cioè al di là delle religioni e delle ideologie, alla ricerca hic et nunc, dell’armonia dello stupore e della bellezza. Del Paradiso in terra, quello della Vita mancata. E questo ha molto a che vedere col trentennale percorso artistico di Armando Punzo e della Compagnia della Fortezza. E ha molto a che vedere con l’attuata realizzazione in questo difficile anno 2020 del Teatro in Carcere, a Volterra. NATURAE-La vita mancata Regia e drammaturgia Armando Punzo Musiche originali e sound design Andrea Salvadori Scene Alessandro Marzetti, Armando Punzo Costumi Emanuela Dall’Aglio Corografie Pascale Piscina Con Armando Punzo e………….