lunedì 30 ottobre 2017


SPAM! GOOD ART IS HEALTHY presenta: SGUARDI OLTRE I CONFINI LA DANZA ITALIANA CHE GUARDA L'EUROPA dal 1° novembre al 13 dicembre sette doppi appuntamenti con la danza contemporanea Come il critico teatrale e conduttore di Radio3 Graziano Graziani evidenzia, i coreografi contemporanei, anche dal punto di vista della formazione, abitano già uno spazio europeo e internazionale che, in altri settori, non esiste ancora, o almeno non in senso compiuto. Per loro è naturale lavorare in Italia come all’estero, entrare in contatto con maestri del Nord Europa e dell’America come con quelli di casa nostra. Lo spazio che abitano, il luogo mentale in cui creano, è già un ambiente europeo e transnazionale. Per questo possono essere considerati dei pionieri di quella cultura compiutamente europea che tra qualche decennio ci sembrerà un’ovvietà ma che oggi è una lingua che stiamo ancora imparando a parlare Di qui SGUARDI OLTRE I CONFINI - LA DANZA ITALIANA CHE GUARDA L'EUROPA, il titolo della rassegna che per 7 settimane, tutti i mercoledì, porterà nella sede di SPAM! a Porcari alcuni tra i più rilevanti spettacoli italiani di danza contemporanea attualmente in circuitazione in abbinamento con altrettante improvvisazioni di danza e musica dal vivo. L'unica eccezione sarà rappresentata dalla serata del 15 novembre in cui Silvia Gribaudi presenterà in prima serata R. OSA_10 esercizi per nuovi virtuosismi, uno dei suoi lavori di maggiore successo e in seconda serata il lavoro che una decina di anni fa l'ha rivelata al pubblico e alla critica: A corpo libero. Gli spettacoli andranno in scena ogni mercoledì alle h21 Ad aprire la rassegna, il 1° novembre h21, THE SPEECH, l'ultimo seducente ed ironico spettacolo di Irene Russolillo, una straordinaria interprete, in collaborazione con la coreografa e danzatrice belga/argentina Lisi Estaras, e a seguire DANCE PERFORMANCE & LIVE MUSIC con i danzatori Stefano Questorio, Elisa D’Amico e il percussionista Daniele Paoletti. Mercoledì 8 novembre Francesca Cola, autrice, coreografa e danzatrice che produce in Italia e all'estero, porterà a SPAM! NON ME LO SPIEGAVO, IL MONDO: una potente performance visiva e di danza contemporanea. “Attraverso una grammatica di gesti speculari, richiami, metafore e simboli si lascia allo spettatore la scelta se abbandonarsi all'immediata bellezza visiva del mostrato o seguirne le tracce verso un non-detto e un non-rivelato tanto ricco di suggestioni quanto spaesante nella sua fitta rete di rimandi simbolici” (Francesca Cola). A seguire DANCE PERFORMANCE & LIVE MUSIC con le danzatrici Francesca Zaccaria e Caterina Basso accompagnate dalla tromba di Tony Cattano. Il 15 novembre Silvia Gribaudi presenterà in prima serata R.OSA_esercizi per nuovi virtuosismi “In R.OSA Silvia Gribaudi afferra tutta la leggerezza, la libertà e la dirompente voglia di scommettere sulla sua ingombrante fisicità, con una performance di vertiginosa bravura” (Gabriele Rizza – IL MANIFESTO), e a seguire A CORPO LIBERO, selezionato per Biennale di Venezia 2010, Aerowaves -Dance Across Europe 2010,
 Edinburgh Fringe Festival 2012, Do Disturb - Palais De Tokyo 2017; un lavoro che ironizza sulla condizione femminile a partire dalla gioiosa fluidità del corpo, una performance che parla di donna, libertà e ironia. Il 22 novembre Davide Valrosso, diplomato presso L’English National Ballet, e formatosi in alcuni dei più importanti centri di danza contemporanea quali il London Contemporary e la Ramber School, porta a SPAM! WE_POP, che vede protagonisti lo stesso Valrosso e Maurizio Giunti: un duo dalla scrittura coreografica di grande raffinatezza. WE_POP [..] Sostegni, equilibri, simbiosi di corpi. L’uno indaga l’energia dell’altro con una condivisione che quadruplica l’intensità del movimento, esaltato dalla forza di questi due incantevoli corpi che si lasciano trasportare da una potenza che rende il gesto forte e fluido allo stesso tempo (Francesca Gennuso). A seguire DANCE PERFORMANCE & LIVE MUSIC con le danzatrici Giselda Ranieri e Anna Solinas con Mirco Capecchi (clarinetto basso) Il 29 novembre il Gruppo Nanou, attivo tra Italia, Germania e Belgio, presenterà XEBECHE [csèbece], con otto danzatori in scena.”[...]Oltre il virtuosismo e oltre la tecnica – dice Salvatore Insana sulla performance - ma anche aldilà della voglia di fare la Storia e di raccontare storie, c’è l’ironia fragile, sottile ed evidente di chi è lì in quanto corpo umano e animale (Marco Maretti su tutti), in un magnifico sbilanciamento, costantemente al limite del migliore degli inciampi”. A concludere la serata DANCE PERFORMANCE & LIVE MUSIC con la danzatrice Aline Nari, il danzatore Davide Frangioni e il contrabbassista Mirco Capecchi. La Compagnia Adriana Borriello, sarà a SPAM! il 6 dicembre con COL CORPO CAPISCO #2. Adriana Borriello, danzatrice, coreografa e pedagoga, che ha fatto parte del percorso formativo della danza belga, parla così del suo lavoro: COL CORPO CAPISCO non è solo un titolo, ma una dichiarazione, un manifesto, un modo di stare al mondo. Al centro del progetto modulare la trasmissione da corpo a corpo che pone in primo piano il sentire e genera forme di comunicazione empatica. La danza, essenza dell’atto “inutile” che riflette su se stesso, diventa medium di conoscenza della non-conoscenza, sapienza del corpo, dell’esserci. A seguire DANCE PERFORMANCE & LIVE MUSIC con la danzatrice Silvia Bennet accompagnata da Alessandro Rizzardi al sax tenore. L'ultimo appuntamento della rassegna sarà con Marco Chenevier, coreografo, danzatore, regista e attore attivo tra Italia e Francia (Romeo Castellucci e Cindy Van Acker, Cie CFB451 in seno al CCN di Roubaix, Cie Lolita Espin Anadon,...) e il suo ultimo spettacolo QUESTO LAVORO SULL'ARANCIA (in prima regionale). “Cosa accade se uno spettacolo di danza, anziché come oggetto di linguaggio, viene costruito quale esperienza? Voglio interrogarmi sulla natura del dispositivo scenico attraversandolo insieme al pubblico in un'ottica diversa, incentrata non sull'interpretazione del simbolo ma su dinamiche esperienziali condivise. L'estetica strizza l'occhio al film cult “Arancia meccanica”. L'arancia, il latte, il bianco, il rapporto sadomasochistico dell'artista con il sistema spettacolare e con gli spettatori, fanno da sottofondo allo svolgersi dell'azione. “ (Marco Chenevier). A seguire DANCE PERFORMANCE & LIVE MUSIC con la danzatrice Ilenia Romano e il chitarrista Claudio Riggiò. -------------------------------------------------------------- SGUARDI OLTRE I CONFINI - LA DANZA ITALIANA CHE GUARDA L’EUROPA è un progetto a cura di ALDES/SPAM! in collaborazione con Barga Jazz media partner: Il Tirreno, Rumor(s)cena, Lo Sguardo di Arlecchino --------------- INFO biglietti: 10 euro + €3,00 tesseramento SPAM! ridotti (over 65): 7 euro INGRESSO GRATUITO per gli under 18 info@spamweb.it t. 342.0591932 - 348.3213503 www.spamweb.it ufficio stampa: Eva Guidotti T +39.342.0591932 / press@aldesweb.org --------------- SPAM! rete per le arti contemporanee è un progetto curato da ALDES realizzato con il sostegno di Regione Toscana, Provincia di Lucca, Comune di Lucca, Comune di Porcari, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e Fondazione Cavanis di Porcari

lunedì 23 ottobre 2017

La Diversità fa paura? La Diversità è anche normalità? Nel quotidiano della nostra vita esiste una condizione in comune che ci coinvolge sempre: la diversità. Ognuno di noi è diverso dall’altro e, anche se siamo sempre in contatto con chi vive vicino a noi, spesso lo definiamo con il termine di diverso. Non siamo in grado di includere e accettare quello che per la nostra soggettività riteniamo differente, rispetto al concetto di norma cui ci sentiamo di appartenere. Ci spaventa, ci fa paura e tutto questo produce atteggiamenti e comportamenti di discriminazione. La paura della diversità: l’etimologia della parola significa che siamo in presenza di caratteristiche, tratti, identità, tali da non essere conformi e quindi diversi da un soggetto all’altro se pur identificabili nella medesima tipologia. Parliamo, ad esempio, dell’orientamento sessuale, di condizione di disabilità psicofisica, di un credo religioso, fino a toccare l’etnia degli esseri umani. Ma perché proviamo cosi tanta paura per chi consideriamo diverso da noi? Ci spaventa quello che non conosciamo e mettiamo in atto strategie difensive per evitare di entrare in contatto con la diversità. Ci manca la capacità di comprensione e tendiamo a cercare ciò che è più simile ai nostri canoni estetici, esistenziali, alle nostre credenze, come unico modello possibile di vita. Ogni altra caratteristica, anche identitaria, di genere, che fuoriesce dalla norma in cui ci riconosciamo, viene etichettata, stigmatizzata e definita “anormale”. Claudia Provvedini, giornalista del Corriere della Sera e critico teatrale per Rumor(s)cena, mi scrive a tal proposito: “Chi ha paura del ‘diverso’? Io, ad esempio. Da chi o da ciò che è estraneo alle categorie tranquillizzanti di salute, bellezza, capacità, ebbene sono turbata. Eppure, in tanti anni di frequentazione del teatro, ad affascinarmi in certi spettacoli è stata proprio la loro ‘diversità’: l’immersione nella difficoltà, nella malattia, nel brutto… Del resto, per far sì che una comunità si confronti, si stupisca, si turbi, il teatro deve essere ancora – come quando è nato -, un luogo di differenze, di distanze dal quotidiano per intravvederne il doppio profondo. Quel che invece in una performance mi dis-turba è l’addomesticamento, lo sfruttamento comico e indulgente (talora con esiti di improvvisazione amatoriale) della ‘diversità’ per farla apparire come realtà normale anziché come forza diversiva”. Oltre a farci paura, pensiamo la diversità anche come portatrice di pericolosità sociale. Per questo abbiamo paura del diverso, perché non siamo noi. Così è accaduto con uno spettacolo teatrale che ha suscitato reazioni di intolleranza fino a pretenderne la censura preventiva e impedirne la visione. Perché fa paura? In molti si sono posti la domanda a proposito di “Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro”, testo scritto e diretto da Giuliano Scarpinato (prodotto dal CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia – Udine e dal Teatro Biondo Stabile di Palermo) e interpretato dall’attore Michele Degirolamo. Fa’afafine La paura era alimentata dalla convinzione che lo spettacolo potesse creare divisione tra genitori e figli, ritenendone la visione pericolosa per la loro crescita educativa e fonte di turbamento tale da creare confusione nell’identità dei minori, e perfino induzione alla omosessualità. La paura di qualcosa che non si conosce contribuisce a mistificare la realtà. Nessuno tra i “censori” aveva visto in precedenza lo spettacolo, basandosi solo sulle note di regia o improvvisati studi senza nessun riferimento scientifico che giustificassero la famigerata “teoria del gender”. Cosa si intende per genere? Le differenze tra mascolinità e femminilità sono naturali, universali e immodificabili oppure si tratta di una costruzione sociale? “Identità di genere questa sconosciuta”: Saveria Capecchi docente di Comunicazioni di massa e Sociologia all’Università di Bologna, citando il saggio “Le identità di genere” (Carocci editore) di Elisabetta Ruspini, titolare della cattedra di Sociologia e Ricerca Sociale (Università di Milano – Bicocca) , spiega che «l’identità di genere è un processo che comincia con la consapevolezza di appartenere all’uno o all’altro sesso e che lungo l’arco della vita subisce continui aggiustamenti e ridefinizioni. Il ‘genere’ è una costruzione sociale e non un dato biologico immutabile». Sono argomenti che si possono affrontare con la dovuta serietà scientifica evitando stereotipi, discriminazioni e i tanti pregiudizi ricavati dalla non conoscenza dell’argomento. La diversità è tutto ciò che non siamo noi. Perché giudicare ‘diverso’ chi è semplicemente normale, se conformato al resto dell’umanità? Commettiamo un errore nell’attribuire alla parola “diverso” un significato negativo. Una paura che subiamo per il semplice fatto che sono gli altri a farcela provare. Il diverso fa paura perché non lo “conosciamo” e non vogliamo conoscerlo. Così è accaduto con “Fa’afafine” (Premio Scenario 2014) E’ la storia di Alex definito gender, come vengono chiamati quei bambini che già dalla prima infanzia manifestano un’identità di genere fluida, quindi non si riconoscono a pieno né in un genere maschile, né in quello femminile. Sono molte le testimonianze reali di famiglie che vivono con figli di questo genere. E questo genera paura. Fa’afafine in lingua samoana (isola di Samoa) indica proprio le persone che appartengono al terzo sesso. Uomini che assumono comportamento e abbigliamento femminile, pur non essendo transessuali, ma uomini a tutti gli effetti. La società li riconosce e li include, dimostrando rispetto, senza imporre loro una scelta». Ferracchiati-Peter-Pan-©Lucia-Menegazzo Sul tema della diversità fa discutere anche la “Trilogia sull’identità transgender” di Liv Ferrachiati: “Stabat Mater” descrive il viaggio di transizione fisica e mentale da femmina a uomo e sulla riappropriazione dell’identità maschile, mettendo a nudo rapporti e relazioni. “Peter Pan guarda sotto le gonne” e “Un eschimese in Amazzonia” sono gli altri due titoli. La parola diverso fa paura a tutti. Nonostante gli sforzi mentali e culturali che si possono fare, il diverso fa paura perché non lo conosciamo. Il nostro cervello tende a categorizzare tutto quello che ha intorno e che non conosce, è un meccanismo naturale, fa parte del nostro modo di percepire le cose. Tendiamo a chiamare “diversamente abile” chi è in una condizione di disabilità (un handicap fisico o psicofisico) per cercare di avvicinarlo nella sua condizione di invalido (non muove le gambe) a noi, a chi è autonomo e cammina senza nessuna difficoltà. Così possiamo dire siamo uguali, non siamo così diversi e la discriminazione non ha più senso. Una soluzione che in realtà non lo è. Non è così che si arriva ad una vera inclusione e accettazione. Chi opera in campo teatrale come l’Accademia Arte della Diversità (Teatro La Ribalta) di Bolzano rappresenta la prima compagnia teatrale professionale in Italia costituita da attori in situazione di handicap che opera con l’intento di un’effettiva inclusione sociale. Allontanandosi dal concetto dei laboratori protetti, “recinti di protezione” che tengono i disabili separati dalla vita della comunità. In questo contesto il teatro non rimuove la diversità delle persone in situazione di handicap e nemmeno la esibisce, quello che il regista della Compagnia Antonio Viganò definisce la “consacrazione della diversità”, ma trasfigura la loro realtà in qualcosa di molto più potente: il teatro emancipa queste persone promuovendone la dignità in quanto portatrici di una propria autenticità. Sfuggendo alla logica consolatoria che vede il teatro come socializzazione, attività ricreativa, passatempo, l’Accademia Arte della Diversità offre alle persone in situazione di handicap una reale occasione di lavoro e una concreta opportunità di riscatto sociale. Il teatro sociale favorisce le esperienze teatrali nei luoghi in cui si pratica un servizio alla persona e la formazione espressiva tra operatori che lavorano nei contesti sociali. Promuove una cultura che combatta il pregiudizio sul tema dell’emarginazione e della diversità, al fine di favorire una cultura dell’integrazione. La Diversità è anche normalità? “Assistere ad una nascita, ma in questo caso è più corretto dire rinascita, è sempre emozionante ed io quella di A. (iniziale del nome di fantasia) l’ho vissuta come fosse stato mio figlio. L’ho conosciuto nel 2013 tramite un inserimento in stage. A. era stato preso in cura dal Servizio di neuropsichiatria infantile in trattamento farmacologico. La sua condizione psicosociale si aggravava sempre di più per la sua abulia sociale, depressione e sintomi che lo conducevano verso una chiusura verso ogni forma di relazione e interazione. Manifestava evidenti segni di difficoltà nel linguaggio e nell’ideazione. Un giovane adolescente in evidente stato di sofferenza. foto di Luca Da Pia Paola Guerra (responsabile artistica della Compagnia Teatro della Ribalta) ha scritto questa testimonianza. A. se ne stava seduto non gli vedevo neanche la faccia da tanto era chinato sul quel suo corpo robusto ma spento. Che cosa avesse esattamente non lo sapevo…una serie di DIS ( dislessico, disgrafico, discalculico…) insomma DIS-graziato, con un percorso scolastico fallimentare ed un ruolo nel mondo ancora più accidentato. Per me fu amore a prima vista. Solo che anche noi del Teatro la Ribalta eravamo da poco tempo operativi e lui sarebbe stato il primo stagista ad inserirsi in un gruppo di attori disabili e non. Tutto era nuovo sia per lui che per noi. A. accettò di buon grado. Il primo impatto con il teatro fu durante il montaggio di uno spettacolo al Teatro Puccini di Merano e mi ricordo bene come A. assisteva già un po’ stupito al lavoro dove tutti facevano tutto, sia gli attori che i macchinisti, per non parlare dei temi trattati in scena (da Pirandello all’Eugenetica nazista..) Poi cominciarono i laboratori veri e propri con gli attori. Lo lasciai in pace seduto sulla sedia a guardare quello che accadeva . Il suo sguardo diventava sempre più attento, la schiena si alzava . Dopo una settimana cominciò ad entrare nello spazio e a muoversi. Da lì tutto cominciò a salire. Anche il suo corpo. In poco tempo A. diventò loquace e con quella sua intelligenza acuta ci faceva mille domande. Iniziò a muoversi nello spazio sia fisico sia relazionale e in poco tempo è diventato un punto di riferimento per gli altri attori. Il suo rapporto con me è diventato sempre più intenso, spiritoso, collaborativo. Segue tutti i laboratori formativi sia con me sia con Antonio Viganò (del quale ha un rispetto totale) ma ha incontrato altre competenze artistiche come Vasco Mirandola (teatro), Alessandro Serra (teatro), Julie Stanzak (danza), Annalisa Legato (clown), Alessandra Limetti (voce), Sandra Passarello (canto). Rimane li, comunque, il suo profondo disagio nell’uso della parola in scena , ripetere anche la più piccola frase lo mette immediatamente in una condizione di agitazione e inferiorità. L’impegno è grande ma la sua condizione preme mettendolo in uno stato di ansietà ben nascosto dietro battute sagaci. Nel 2016 Antonio Viganò decide di inserirlo nella nuova produzione IL BALLO, spettacolo in cui è presente la compagnia quasi al completo. Per A. è un ulteriore salto. Il Ballo L’allenamento coreografico con Julie Stanzak lo aiuta la memoria del corpo, un corpo che ancora non gli appartiene pienamente ma che cerca in tutti modi di recuperare. Va in scena per la prima volta al teatro Cucina di Milano (Olinda) nel settembre 2016 tra ansie mascherate ma serio ed efficace. Nel gennaio del 2017 decidiamo di mandarlo a Cardiff in Inghilterra, con un altro dei nostri attori, per partecipare ad uno stage internazionale con Scott Grahm , coreografo di successo, con il quale abbiamo intenzione di mettere in scena uno spettacolo coprodotto (Italia-Inghiterra, Spagna) che debutterà nel 2018-19. Nell’aprile 2017 viene assunto nella Compagnia. Da ultimo pochi giorni fa A. ci sorprende durante lo stage con Antonella Bertoni recitando un monologo di Jago ( Otello) a memoria. Forse ancora qualcosa è volato via, forse un altro pezzetto si è ricongiunto nel disordine dell’anima di M. Siamo grati a lui per i suoi sforzi e i suoi traguardi perché ci dà la misura del lavoro che quotidianamente facciamo e che a volte persi o inquieti ci perdiamo. Matteo, per ora, non è più DIS ma …. GRAZIATO. Paola Guerra Ti potrebbe interessare anche... La “Tropicana” amara di Frigoproduzioni La stagione del Teatro Era di Pontedera -Teatro Nazionale della Toscana L’onirico “Valore d’uso” nella poetica dell’inclusione di Antonio Viganò “Octavia Trepanation”: denuncia della tirannia sanguinosa Freaks La “Diversità” fra teatro e spettacolo: Teatro Olimpico di Vicenza FacebookTumblrPinterestPrintFriendlyShare Tags: featuredroberto.rinaldi Autore: roberto.rinaldi Laureato in Discipline delle Arti Musica e Spettacolo facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Bologna, Psicologia Clinica Istituto di Psicologia Clinica, Facoltà di Medicina e Chirurgia. Università degli Studi di Bologna . Diploma di perfezionamento Scuola di specializzazione in Metodologie Autobiografiche e Analisi dei Processi Cognitivi Istituto di Pedagogia per adulti. Università degli Studi Statale di Milano 1998. Scrittore e giornalista pubblicista, critico teatrale è direttore responsabile di rumor(s)cena.com Coautore insieme a Carlo Simoni, primo attore del Teatro Stabile di Bolzano "Cronaca di una tragedia. Beatrice Cenci il mito". E' stato consulente del direttore artistico Marco Bernardi del Teatro Stabile di Bolzano, nell'ambito della stagione Altri Percorsi del 2011. Al Teatro Astra di Vicenza nella stagione in corso Niente Storie del 2011/12 ha moderato i dibattiti con le compagnie Babilonia Teatri, Punta Corsara, Fondazione Teatro Pontedera.

mercoledì 11 ottobre 2017


renzia.dinca Pontedera. Si presenta come una Stagione coi fiocchi questa del 2017|2018 del Teatro Era di Pontedera -Teatro Nazionale della Toscana, la prima di un triennio, tanto da far dichiarare a Marco Giorgetti direttore generale del Teatro della Pergola di Firenze e Fondazione Teatro della Toscana uscente(da tre anni dopo la Riforma ministeriale in partnership con l’ex CSRT diretto da Roberto Bacci): questa stagione è più bella di quella della Pergola. Il programma in effetti è nutrito e spazia da eccellenze internazionali come il belga Jan Fabre, Daniel Pennac che sarà a Pontedera e non Firenze, e l’Odin Teatret di Eugenio Barba, una storica collaborazione artistica questa, con il Centro di Sperimentazione e Ricerca teatrale della città della Piaggio. Ma ci sono anche eccellenze della nostra drammaturgia italiana come Michele Santeramo, Carrozzeria Orfeo, Scimone /Sframeli, Marco Paolini, Leviedelfool , Simone Perinelli e Babilonia Teatri. Insomma un bel parterre di proposte per 25 spettacoli, 7 tra produzioni, coproduzioni e collaborazioni, 4 tra prime ed anteprime nazionali e una rassegna in matinée di Teatro Ragazzi. La conferenza stampa, alla presenza delle autorità politiche pontederesi con l’assessora alla Cultura Liviana Canovai ed il Sindaco Simone Millozzi, si è aperta con un video di illustrazione del nuovo progetto con un logo: la prua anche cavea di teatro insomma una nave-bastimento senza vele un po’ inquietante per la verità perché rassomiglia ad una nave internazionale da crociera, che tiene insieme o almeno prova, attraverso fili immaginari pubblici e persone. Introdotto da Luca Dini direttore del CSRT il nostro è uno dei progetti più innovativi in Italia e anche in Europa . Creiamo un pubblico variegato, Marco Giorgetti ha sottolineato come ci siano state “discussioni con i partner sulle programmazioni e sulle attività come sulla questione dei finanziamenti. Non sempre credevo in certe proposte per mia ignoranza”. Invece alla fine l’intesa sulla stagione è stata raggiunta, per il bene superiore di un’idea di comunità dentro la Fondazione. Sottolinea come siano circolate leggende metropolitane da altre città come Milano, Roma e altre, sul tema del pubblico- novemila presenze secondo dichiarazione dell’assessora pontederese Canovai: abbiamo chiuso il bilancio 2016 in disavanzo mentre chiuderemo quello del 2017 in attivo. Luca Dini rilancia, dopo l’intervento di Giorgetti, sottolineando come quello del Teatro Nazionale della Toscana, sia uno dei progetti più innovativi non solo in Italia ma in Europa anche per la sfida rispetto al pubblico che deve essere variegato e forse più in collegamento col territorio. A seguire l’intervento di Gabriele Lavia consulente artistico della Fondazione che debutterà proprio a Pontedera con Il Padre di Strindberg. Lavia da gran attore qual è, si cimenta in una micro performance fra storia delle origini greche del teatro da Delfi a noi, tracciando in una specie di metaforica vicenda forse tutta un po’ interna ai referenti – due aquile lanciate da Giove, che si ritrovano, finendo con una perorazione rivolta ai politici “ il Teatro è santo. Il Teatro sarà sempre fatto così. Come le lasagne della nonna”. Prende la parola Roberto Bacci grazie Lavia per il tuo voto di povertà, per sottolineare che oltre i ben 43 ani di storia del CSRT la Stagione non è stata solo il fulcro delle proposte dell’allora teatro sperimentale di provincia rammentando la collaborazione straordinaria in residenza artistica con Jerzy Grotowski che è stata alla radice delle figure oggi istituzionali che a Pontedera hanno anche creato un potenziale contributo allo studio universitario di figure uniche del Teatro novecentesco come appunto Grotowski. E il progetto anche editoriale CSRT si confronta sui quattro volumi curati da Carla Pollastrelli ( fra le quali lo stesso Roberto Bacci Giovanna Daddi e Dario Marconcini- fondatori del Teatro di Buti, che saranno in cartellone con due produzioni), fra pochi giorni presentati a Roma. Oltre che alla importante esperienza internazionale del Work Center- Mario Biagini Thomas Richards, ancora con base a Pontedera e che a Pontedera ha formato attori e anche Compagnie come quella di Cacà Carvalho, che oggi gira l’intero Brasile.

sabato 7 ottobre 2017


spettacoli — 07/10/2017 09:11 “Empire”:suggestioni in bilico fra Storia e narrazioni di guerra renzia.dinca PRATO – Una analisi di lucida antropologia nei confronti della distopia che potrebbe essere autodistruttiva (vedi Spagna e Catalogna, o la Brexit, ), il resto di una manovra di un continente quello Europeo, che per la prima volta dopo il secondo conflitto mondiale, prova a confrontarsi con profughi provenienti da diversi Paesi non europei di fatto o di diritto e da Paesi che si affacciano sul Mediterraneo quelli che il Medio Oriente che qui da noi non riscuote nessuna fortuna – come cantava Ivano Fossati negli anni Ottanta. Una Europa che forse solo per ora (almeno) non ce la fa a riscrivere un pensiero comune di inclusione. Questa impressione arriva da un lavoro del regista di cinema e teatro Milo Rau, (cittadinanza svizzera), in EMPIRE. Ha lavorato con una squadra di quattro professionisti: attori, fuggiti e scampati letteralmente dai loro Paesi d’origine; due arabi Ramo All, Rami Khalaf( curdo) dalla Siria sotto il regime di Assad, una donna, l’unica in scena, con un cognome tedesco da ebrea di nazionalità romena ai tempi di Ceausescu , Maia Morgenstern (un nonno morto ad Auschwitz), che è stata nel ruolo di Maria nel film Gesù di Mel Gibson ( e in ruoli importanti con Theo Anghelopulos), un greco Akillas Karazissis fuggito dal regime dei colonnelli che ha lavorato in Germania ai tempi di Fassbinder .   Età diverse, provenienze geopolitiche diverse, però tutti intorno ad un tavolo di cucina, forse rurale o semplicemente bombardato, dove ancora si può mangiare qualcosa insieme condividere, bere un caffè da diverse caffettiere, raccontarsi anche con l’ausilio di fotografie magari in bianco e nero. E soprattutto auto narrarsi fra attori di professione nella vita, quella attuale adulta hic et nunc. Attori di fatto nella vita dunque e nella finzione scenica. Già, ma qual è la distanza, la differenza fra vita e recitazione?, fra ciò che siamo nelle nostre biografie e nelle nostre vite, prima dopo e durante i nostri conflitti interni-esterni?, le nostre dispute intra ed extra psichiche? Lo snodo del lavoro di Rau sta qui?, è uno spettacolo di denuncia, di televisione verità? Un po’ fiction un po’ docu-film? Sì perché il dubbio nasce immediatamente dal fatto che la scena, fissa è molto curata nei dettagli e dominata da una telecamera che riprende i tre attori-il quarto, in scambio, si pone dietro la telecamera a riprendere il quadretto che si auto dichiara in confessione simil privata. Cos’è: è solo un outing allo specchio e proiettato in alto su macroschermo in bianco e nero dove ogni auto narrazione è ripresa sui volti in amplificazione dei quattro attori. Ma qui non si tratta di un dramma novecentesco europeo, magari alla svedese alla Bergman, per dire, di un interno di famiglia: la scena si apre su un teatro di guerra, una casa distrutta, infatti, è quella che si vede in scena perché la guerra/e non uccidono solo le persone ma anche le case gli asili gli ospedali. E’ un conflitto civile quella di cui narrano i quattro testimoni, ciascuno col suo peso, la propria esperienza infantile e giovanile di fuga per disperazione. Vengono alla mente certe dichiarazioni choc di Gino Strada, che niente hanno di ideologico ma frutto di esperienza nella medicina umanitaria, così come i resoconti anche recentissimi di Medicins sans frontieres nel mar Mediterraneo.   Guerra è solo distruzione della vita e di chi vive. Bambini donne giovani vecchi. Senza distinzione. Il lavoro del regista, anche giornalista e sociologo Milo Rau, prova a ripetere un copione che è non solo televisione o news da social. Qui si documentano storie vere con strumenti teatral-televisivi che hanno del reportage ma sono molto di più di una restituzione giornalistica deontologicamente corretta del dolore, individuale, dentro un teatro di guerra. Qui si fa del meta-teatro perché i corpi le voci le narrazioni, provengono da attori professionisti che quelle esperienze le hanno vissute e le vivono attualmente nello snodarsi delle proprie esistenze. E’ quando la realtà supera la fantasia, quando l’orrore non è più edulcorato dal buonismo-magari necessario, addomesticato per famigliole del Telegiornale di prima serata o in fascia protetta.   Dentro il Festival Contemporanea a Prato, quindicesima edizione diretto da Edoardo Donatini: Vivere al tempo del crollo con un ricco programma di proposte, Empire spicca per la crudezza di suggestioni in bilico fra Storia e narrazioni individuali. Il lavoro si inserisce come ultimo della trilogia dedicata all’Europa odierna e si suddivide in cinque siparietti Theory of Ancestry Esilio Ballata dell’uomo comune Lutto Ritorno a casa. Nelle affabulazioni, quasi monologhi interiori dei quattro attori non c’è traccia di sentimentalismi. Non c’è relazione neppure con gli altri co-protagonisti in scena. E’ come se ciascuno parlasse a se stesso come intervistato da un microfono e una telecamera segreta che amplifica il proprio personale viaggio dell’anima esterno- interno a se stesso. Un prosciugamento estremo sulle emozioni questo operato dal regista Milo Rau, che sul dramma personale e collettivo di esseri esiliati e anche torturati ( giovani siriani incarcerati sotto Assad: quando sono triste non piango, vomito), non vuole far piangere lo spettatore anche in momenti in cui si rivolge indietro al cimitero, al nostos ai genitori come ai figli di cui si va alla ricerca per amore, per protezione, ma farlo riflettere. E ricorda in qualche modo neanche troppo sottile magari attraverso citazioni da tragedie greche Schindler’s List di Steven Spielberg. Rau lo fa con magistrale controllo dei mezzi tecnici ed espressivi sia sugli attori-coautori che sulla scena. EMPIRE Concept, testo e regia di Milo Rau Testo e performance Ramo Ali, Akillas Karazissis, Rami Khalaf, Maia Morgenstern drammaturgia e ricerca Stephan Blaske, Mirjam Knapp Scenografia e costumi Anton Lukas Video Marc Stephan musiche Eleni Karaindrou sound design Jens Baudisch Produzione International Institute of Political Murder Prima Nazionale Festival Contemporanea     Visto a Prato , Teatro Fabbricone il 23 settembre 2017