venerdì 6 maggio 2016


Il colore rosa Posted by renzia.dinca Lucca. Si parte dalla poesia e dal simbolismo del colore: il poeta Baudelaire indossava guanti rosa, racconta una voce femminile-io narrante che ci accompagnerà fino in fondo allo spettacolo, mentre un misterioso personaggio da cartoon rosa peloso fra il Tenerone e il pupazzo un po’ scimmia un po’ orso di peluche, si rotola e irrompe più volte muto nello spazio scenico. E la Voce chiede e si chiede: la poesia è femminile o maschile? E la musica? Il cielo? Le stelle? L’acqua? Gli alberi? per bambini dai 6 agli 11 anni e loro famiglie- quelli a cui è rivolto il lavoro come da scheda tecnica- parrebbe complesso sulla carta decifrare la citazione colta ma ci pensa il pupazzone che a tratti ricompare dalle quinte, quasi Bianconiglio o Gatto dello Cheshire a mescolare e contaminare i molteplici codici e piani espressivi fra teatro-danza, voce e gestualità. In questo lavoro si individua immediatamente una scrittura alta, ricchissima di riferimenti letterari ma soprattutto sociologici legati al pensiero di genere femminil–femminista (sempre che questa terminologia anni Settanta possa ancora accendere qualche lampadina mentale) come: Dalla parte delle bambine di Gianini Belotti-aggiungerei Loredana Lipperini di Ancora dalla parte delle bambine che sono tra i testi citati nella narrazione vocale fuori campo ma anche Una bambola per Alberto di Charlotte Zolotow, mentre la messa in scena si sdipana in una macchina teatrale che mescola bene le sue carte. Tre personaggi in scena il Cavaliere, la Principessa e la, forse, cugina(molto sui generis questa, soggetto iniziale di disturbo, proiezione di un elemento innovativo-trasgressivo rispetto ai due stereotipi di genere da fiabesca e mai morta e trita tradizione). L’interscambiabilità di ruoli, costumi e azioni mimiche fra i tre attori sotto il segno di un contaminato impianto di teatro-danza che si fa a tratti performativo, segna fortemente questo Il colore rosa. Il percorso teatral-didattico della Compagnia (con Aline Nari ideatrice, regista ed anche in scena nelle vesti della Principessa), nasce da un’indagine sul femminile dal progetto Principesse e progetto Ri-flettere-genere allo specchio, promossi dalla Provincia di Massa Carrara e Fondazione Toscana Spettacolo. Ma quanti sono i colori del rosa? Quante le diverse tonalità? Dal rosa antico al fucsia fino al rosa shocking così caro alla Regina Elisabetta, quanto è lungo questo viaggio e ricco di screziate sfumature simboliche e naturali? Nel lavoro si racconta che il colore rosa è stato anche un colore maschile nel passato per poi trasformarsi nella più edulcorata versione di un femminile melenso e omologato che ancora non smette di imprigionare prima i corpi le posture e poi i vestiti gli oggetti da occhiali borse e zainetti delle bambine e in seguito rischia anche di condizionare scelte esistenziali di donne educate per essere ingessate in stereotipi culturali da abbattere rispetto alle scelte di studio, professionali e di vita per clichè purtroppo duri a morire. In questo lavoro si prova a spezzare con ironia e delicatezza il circolo vizioso dello stereotipo del rosa, per mescolare i ruoli, meticciare anche un po’ provocatoriamente (Alberto-attore e cavaliere, è maschio ma vuole danzare e per questo è deriso dai compagni di classe). Così scopriamo che tutti i tre i personaggi in scena tra un abbigliarsi e un disvelarsi di sottogonne e calzette sono rosa e possono scambiarsi giacche e sottane perché ciascuno deve cercare ma soprattutto ha diritto ad esercitare la propria identità senza vincoli di sovrastrutture culturali e sociali. E chissà, forse anche famigliari. Chissà. Il colore rosa-spettacolo di danza-teatro per ragazzi e famiglie ideazione coreografia e regia Aline Nari con Gabriele Capilli, Aline Nari e Giselda Ranieri voce recitante Graziella Martinoli drammaturgia Daniela Carucci musiche originali Valentino Corvino produzione ALDES con UBIDANZA Visto al Teatro San Girolamo- Lucca, il 29 aprile 2016

domenica 1 maggio 2016


THE GHOSTS Posted by renzia.dinca Prato. Potrebbe essere definito, liquidandolo, un suggestivo lavoro se solo letto in superficie e magari in altri spazi, come una affascinante macchina teatrale e performativa scritta e diretta da un famosa coreografa internazionale, magari indotta da sollecitazioni di importazione di esotismi dall’Estremo oriente. In realtà Ghosts è un lavoro di assai dura presa di posizione e denuncia per il messaggio sociale che trasmette e rilancia per rimbalzo di temi e condizioni professionali e artistici che sono presenti-sia pure in forme diverse, anche del nostro mondo occidentale. Un occhio davvero partecipe pur non integrato, quello di una viaggiatrice curiosa Constanza Macras, coreografa argentina, stella del Teatro- danza europeo, già allieva di Pina Bausch, da tempo naturalizzata berlinese con la sua Compagnia Dorkypark. L’idea nasce infatti da un viaggio compiuto da Constanza Macras nel 2013 fra Pechino, Guangzhou e Shangai (molti altri viaggi sono stati oggetto dei suoi lavori, una ricognizione sui Rom, il Sud dell’Africa, l’India, il Brasile e oggetto di collaborazioni artistiche in meticciato culturale). In questo nuovo viaggio artistico Macras si confronta insieme alla sua Compagnia, un ensembre multiculturale e multidisciplinare, con l’esperienza realmente vissuta e documentata attraverso interviste, foto e video fino alla collaborazione con artisti circensi incontrati in quel felice viaggio cinese. La miccia che accende la nuova produzione vista in prima nazionale al Fabbricone e dopo la prima mondiale berlinese (sarà al CSS di Udine), è ispirata dalla contaminazione artistica con un gruppo famigliare di artisti circensi conosciuti durante la trasferta nel Paese del Sol Levante, che sono entrati di fatto nella produzione di Ghosts, sia per il lavoro espressivo che nella scrittura drammaturgica. Sì perché, e qui sta il concept, in Cina anche ai nostri tempi e non solo in quelli della rivoluzione maoista ma per tradizione millenaria, il circo inteso come arte acrobatica è un marchio artistico di cui la politica si fa vanto ancora oggi rispetto al resto del Mondo. Salta subito agli occhi la peculiarità del lavoro: siamo in Cina sia per le morfologie dei corpi degli artisti – almeno quelli principali, sia per le performance che fin dall’incipit-insieme alle musiche strumentali suonate live-ci introducono in un mondo a noi misconosciuto ma anche in qualche modo assorbito ai nostri occhi di occidentali da visioni televisive del palinsesto italiano specie tra Natale e Capodanno: quello dei circhi equestri internazionali nelle spettacolari esibizioni acrobatiche-contorsionistiche specie al femminile. Sì perché in questa peculiare performance sono i corpi femminili adolescenziali ad essere al centro di prestazioni al limite della subcultura dell’esibizione a rischio dello sfruttamento-quanto di più simile nella subcultura delle modelle anoressiche di cui son piene le nostre riviste patinate anche lette e compulsate da milioni di signore – e signori in Occidente? cosa c’entra il corpo femminile sfruttato là e qua?. c’entra, perché il messaggio multimediale di Ghosts che ci arriva, è pieno di segni che, forse, potrebbero andare anche in quella direzione. L’azione parte da un urlo a scena aperta di una ragazzina occhi a mandorla esile sopra una piattaforma rialzata. A seguire inserti di donne-bambole che in equilibrismi nelle vesti bianche a veli dal perfetto virtuosismo, esibiscono scene con piattini rotanti in stupefacente simmetria. Nella non semplice ricostruzione a ritroso dei molti tableaux vivants che si susseguono mentre sullo sfondo si proiettano immagini della realtà cinese, alternati ad interviste, è così in realtà che entriamo nel vivo della performance in forma di patchwork che si apre a una contaminazione di segni verbali ed extra linguistici complessa e multi semantica proprio per la matassa degli intrecci restituiti in forma di arti performative, numeri acrobatici e composizioni da mozzare il fiato. L’intreccio non procede per logiche aristoteliche ma per accumulo di azioni fisiche e narrazioni biografiche relative alla famiglia cinese di artisti acrobati in scena (lo zio più anziano e tre ragazze, oltre agli artisti della Dorkypark Berlin), fornendo anche informazioni su uno spaccato di società cinese, rurale, povera dove la vita delle bambine è regolata dalla legge statale nazi del figlio unico e maschio. Dove la vita di questi straordinari atleti ed artisti circensi viene cannibalizzata da uno Stato padrone che prima investe sulle loro capacità di stupire e divertire per le masse ed i potenti stranieri per poi abbandonarli poco più che ventenni quando il corpo già non è più in grado di ripetere le performance precedenti. Ecco che questi artisti diventano ghosts- fantasmi appunto ricacciati nella povertà e nel silenzio dopo sfavillanti carriere al servizio dello Stato e dei propri cerimoniali autorappresentativi. The Ghosts coreografia e regia Constanza Macras drammaturgia Carmen Mehnert di e con Emil Bordàs, Fernanda Farah, Lu Ge, Yi Liu, Juliana Neves, Xiaorui Pan, Daisy Phillips, Wu Wei, Huanhuan Zhang, Huimin Zhang produzione Constanza Macras, Dorkypark Berlin, Goethe Institut China Prima Nazionale Visto il 17 aprile, Teatro Fabbricone di Prato