sabato 31 dicembre 2016


MADE IN CHINA-Postcards from Van Gogh su RUMORSCENA renzia.dinca Pontedera (Pisa). Delicato affresco a tenui /forti tinte e insieme graffianti metafore per parole suoni ed immagini, questo Made in China scritto e diretto da Simone Perinelli (anche in scena, con Claudia Marsicano in lizza per l’UBU come miglior attrice under 35), si confronta con una ideazione tanto originale quanto di impervia tessitura drammaturgica e di regia. Cosa c’entra l’opera ed il pensiero di Vincent Van Gogh ripercorso attraverso le parole di alcune fra le sue numerosissime lettere al fratello Theo, con la mentalità contemporanea del manufatto nell’era della riproducibilità ( e sostituibilità) tecnica e di schegge di vita e pseudo mode cinesi a pochi euro? Così, sulla carta, appaiono come due universi nemmeno paralleli, ma proprio appartenenti a due spazi-tempo incompatibili, categorie dello spirito incomparabili. Eppure è proprio questa contaminazione per magari un po’ contorte vie dell’assurdo di associazioni mentali, che l’autore sceglie con non poco coraggio di percorrere l’incontro paradossale. Del postcard cioè dell’immagine da cartolina illustrata riviviamo fin dalla prima scena calata dentro uno spazio vuoto in bianco e nero il fantasma della (improbabile) donna cinese col suo ombrellino di carta-che fatto vorticare, in assetto minimalistico, accenna al giallo dei girasoli delle tele, trascina la sedia della casa del maestro immortalata da tele fra le più battute a milioni di dollari nelle aste mondiali, con un sorriso stereotipato e una gestualità ipnotica straniante. Poi le cose si complicano ed è sempre più difficile afferrare almeno ad un primo livello logico-semantico, il senso dell’operazione. Ci troviamo a dover partecipare scendendo dentro i diversi quadri che scandiscono il lavoro, via via sempre più a livello emotivo e fantasmatico. Una volta abbandonate le logiche aristoteliche, ci si può incamminare dentro un doppio sistema di segni che coincidono con la performance vocale e fisica dell’attore-autore col suo microfono ad asta da un lato del palcoscenico: è Vincent Van Gogh col suo delirio monologante dal manicomio di Saint Remy in dialogo cartaceo col fratello, le sue allucinazioni visive e sonore, la frenesia dell’acme pittorica degli ultimi lavori ad Arles in Camargue, e con dall’altra la donna cinese che sciorina a sua volta perle di saggezza da rivista o TV di basso target economico discettante di regole per il perfetto selfie e il perfetto ordine della casa fra spazi e colori abbinati secondo il feng shui. Il collante fra i due diversi deliri, i due diversi setting: quello creativo, pulsante del genio solitario occidentale e quello della chiacchiera popolare da tinello, da pseudo cultura del nuovo un po’ Kitsch un po’ fascino dell’esotismo a tutti costi e a bassi prezzi, copia di copie, conduce al tema dell’autoritratto, fil rouge dei diversi piani di contatto fra le due poetiche ( e pratiche) indistricabili sul piano della comparazione razionale. Non è chiaro quanto il testo ed il pretesto confondano le linee guida dello spettacolo: Perinelli ha un’ottima presa sulla scena, il registro stilistico è in continua oscillazione tra i due mondi, l’alto ed il basso: la ricerca spasmodica dentro un sé drammatico che sprofonda nello scavo autoreferenziale, nei fumi dell’auto rappresentazione allo specchio dell’artista e quello di pura superficie, seriale della vulgata dell’essere per comparire, dell’esistere in quanto social in quanto autoscatto dell’hic et nunc. Non è affatto chiaro se la drammaturgia rifletta una critica alla società di produzione seriale cinese (dentro uno dei siparietti un occidentale chiede un orlo ad un vestito a poco prezzo in poco tempo), il tenutario uccide il suo lavorante che non rispetta i tempi : sì, ma quali? Ma davvero Van Gogh si può considerare un operaio-artista o piuttosto un outsider nato dalla unicità della sua stella (vedi gli ultimi capolavori, le ultime pennellate con corvi cui si accenna nella storytelling con Donna Cinese poco prima dell’exitus?). E l’assimilare le riproduzioni – i postcards delle opere del genio olandese alla capacità del mercato di riprodurre serialità a bassissimo costo per un turismo di massa mondiale che espone in salotto o in tinello copie di copie rispetto ad un mercato Sotheby’s che vende gli originali a prezzi che potrebbero salvare per fame bambini di mezzo mondo? c’entra, forse. Tuttavia è altresì vero che il sacro fuoco che domina artisti o scienziati niente ha a che vedere col commercio né la gloria-la loro. Perché ai geni, sani o malati che siano (il fisico Stephen Howking è sano o malato?), che portano avanti anni luce la coscienza e scienza di mondi come il nostro globalizzato, dovremmo solo essere grati. Il finale è aperto. E ciascuno arredi il proprio salotto come vuole. E soprattutto, come può. Drammaturgia Simone Perinelli Con Claudia Marsicano e Simone Perinelli Aiuto regia e consulenza artistica Isabella Rotolo Regia Simone Perinelli Musiche originali Massimiliano Setti Disegno luci Marco Bagnai Produzione Fondazione Teatro della Toscana Visto a Pontedera, Teatro Era, il 18 dicembre 2016

venerdì 23 dicembre 2016


renzia.dinca SPAM! Last but not least Intervista a Roberto Castello-rassegna di danza teatro e musica Porcari (Lucca) RUMORS: La rassegna di danza teatro e musica Last but not least nasce e si compie nelle ultime due settimane del 2016 Castello: Avevamo ipotizzato una stagione diversa ed uno spazio diverso, quello della ex Cavallerizza a Lucca, luogo polivalente in restauro, ma a novembre non avevamo ancora ricevuto i finanziamenti della Regione della programmazione triennale e quindi abbiamo dovuto ripensare uno spazio di recupero ed abbiamo ripiegato sul nostro spazio storico Spam a Porcari. La rassegna Last but not least, (che ha come logo un Dodo-animale estinto, pennuto uccello australiano, una volta scartata l’ipotesi di un Panda), nasce quindi all’insegna di realtà fra il teatro contemporaneo e la danza, meritevoli di uno sguardo più specifico da parte di un pubblico smaliziato, come quello di SPAM. In cartellone ho voluto Simone Perinelli (20 dicembre con Requiem for Pinocchio), un attore regista e drammaturgo di cui apprezzo lo stare il scena, a cui seguiranno serate di danza con poetiche diverse (il 22 e 26). Protagonisti di queste sono Simona Bertozzi con Prometeo: il dono, della Compagnia Simona Bertozzi/NEXUS. Di lei, che è una coreografa pura, apprezzo il dinamismo, il lavoro sull’ aspetto cinetico. A seguire Stefano Questorio con ALBUM (produzione Stefano Questorio/ALDES): ha dimensione teatrale non verbale, reminescenze punk. Entrambi gli artisti provengono dall’ambiente creativo di Bologna. Il 26 è la volta di Francesca Zaccaria e Fabio Ciccalé. Zaccaria con Carnet erotico-studio “cartoline del piacere realizzate come brevi racconti per immagini”, è ai suoi primi lavori come autrice e performer (già al Teatro della Tosse, ora a SPAM in anteprima regionale, è una danzatrice formata in Italia e poi in Germania. Diplomata alle Belle Arti, è pittrice. L’ho incitata a fare questo lavoro. Gli aspetti di danza e pittura sono presenti nella complessità della sua ricerca dove la componente visiva e visionaria sono centrali. Con INDACO-un colore per un danzatore Fabio Ciccalé è artista originale, con una poetica segnata da un grande talento, lavora sul movimento con strutture esatte, è coerente nel suo lungo percorso e anche divertente. Il 28 ci saranno Giovanna Daddi e Dario Marconcini con Minimacbeth. Un lavoro firmato da Andrea Taddei. Si tratta di un recente allestimento nato presso il Teatro di Buti (Pisa-Pontedera), che è un po’ un testamento artistico di due grandi pluripremiate personalità del Teatro nazionale di ricerca. Il 30 Marco Schenevier/TIDA- Theatre danse, valdostano con un lavoro delizioso, visto e premiato al Be festival 2015 di Birmingham. Rumorscena: Ad ogni incontro segue una “coda” musicale, dove si può anche ballare Castello: Sì. La parte musicale è curata da LIVE Dance Club (Organic Groove Deep beat, Emma Morton Quartet e altri), una collaborazione con Barga Jazz. Torno al tema: l’arte contemporanea richiede forme, chiede espressione e si è guadagnata la fama di essere poco piacevole. Bisogna ricreare la fiducia per gli spettatori. Fare arte può essere piacevole, come anche l’andare a teatro. E’ un dovere attuale da parte degli artisti. I musicisti dal vivo che improvvisano fanno scatenare le persone nelle danze, è un loro ruolo artistico. Ad ogni incontro teatrale della rassegna segue un incontro musicale live. Per dare spazio al ballare free, favorendo l’abbandono in una dimensione dichiaratamente analogica. Con poca amplificazione, dentro una dimensione umana di festa. un gesto politico, insomma. Rumors: torniamo alla progettualità di ALDES. Cosa bolle in pentola per i prossimi anni? Castello: Il logo del Dodo in Last but not least, è sinonimo non tanto del Panda ma di considerazioni più generali sugli intenti obiettivi, sulle linee guida di ALDES intese come premesse ideologiche. Intendiamo la nostra programmazione in quanto depositaria di una funzione pubblica, come risorsa economica di qualità. Penso che la pratica e frequentazione dell’arte sia crescita collettiva con funzione di ricaduta sull’economia delle persone. Pensiamo che il mondo ci è stato dato in prestito e che dovremmo restituirlo come l’abbiamo trovato. L’operatore culturale deve essere un veicolo, uno stimolo costante all’apprendimento. Il sapere non è statico, l’arte ne è un esempio, il pensiero è dinamico, implicita conoscenza delle frequentazioni dell’arte. Penso a dati OCSE: nel 2013 il 47% di 24 Paesi esaminati c’è analfabetismo. Ci sono persone che non riescono a comprendere cosa firmano. Anche fra laureati. Ci sono persone che hanno smesso di pensare. Il desiderio di sapere non deve smettere mai di essere alimentato, ché le società devono assumere decisioni appropriate. Perché non è vero che tutto può essere comprato, altrimenti non vale niente. E’ un pensiero questo di classi dirigenti del recente passato. Assistiamo adesso al fenomeno dell’immaterialità del valore finanziario del denaro: ogni 12 euro 11 non valgono niente. Per un artista la curiosità è un valore. Nulla va mai dato per scontato per chi fa questo mestiere. RUMORS: quali sono gli obiettivi di ALDES per il prossimo futuro in sede locale? Castello: Nel 2016 è iniziata la triennalità concertata con Regione Toscana. C’è una apertura con il Comune di Lucca che prevede l’ utilizzo della ex Cavallerizza, uno spazio indirizzo polivalente che allestito come sala teatrale può contenere gradinate per 200-300 persone. Si tratta di uno spazio con destinazione d’uso polivalente a fianco del Teatro del Giglio. La nostra programmazione sarà per il 2017-18 nella ex Cavallerizza. E’ prevista anche una programmazione estiva sulle Mura della città di Lucca. La nostra sede SPAM di Porcari rimarrà come sede amministrativa, spazio di prove ma anche luogo di ospitalità degli artisti internazionali in quanto agibile come foresteria. Rumors: Castello, può parlarci delle linee guida artistiche del progetto triennale ALDES oltre i confini della Toscana? Castello: Sostenere l’opera dei più significativi artisti emergenti in linea con una continuità delle produzioni. Come ALDES abbiamo sempre presentato e promosso artisti di impronta europea ed internazionale. Portare qua eccellenze artistiche per far conoscere e importare estetiche e modalità di lavoro straniero. Un esempio: riuscire a fare un bel lavoro in direzione della cultura africana non in chiave folcloristica. Abbiamo dell’Africa un’idea sbagliata, riduttiva, discriminatoria. Esistono tensioni politiche post coloniali, viviamo in un mondo di complessità. Ultima cosa: come associazione vorremmo creare con altre strutture il recupero di opere monografiche. Un solo esempio: Victor Cavallo di cui ricordo spettacoli memorabili. Non ci sono solo PP Pasolini e Fellini nella memoria storica del Paese. Con la città di Lucca stiamo anche creando un legame con le scuole attraverso Aline Nari e Giacomo Verde.

sabato 10 dicembre 2016


è su RUMORSCENA ALFA - Appunti sulla questione maschile renzia.dinca Vorno(Lucca). Uno spettacolo spiazzante dentro una cornice tradizionale affidata a parola musica canto e danza, una performance complessa che affronta e si interroga su un tema spinoso e quanto mai attuale: il Gender. E lo fa da un punto di vista maschile, quello del cosiddetto maschio Alfa, il dominante, il capobranco secondo la definizione dei primatologi riferito alle scimmie ma che per traslazione è usato anche per nominare una categoria del maschio del genere umano. ALFA è una produzione di Aldes, la Compagnia diretta da Roberto Castello che ha sede presso lo spazio SPAM, vicino a Lucca con il sostegno dell’Associazione dello Scompiglio diretta dalla performer Cecilia Bertoni che sempre nel Comune di Capannori dispone di uno straordinario complesso sede di installazioni concerti laboratori mostre e residenze. Lo Scompiglioin questi mesi ospita Assemblaggi provvisori, una programmazione tutta dedicata appunto alla questione di genere. Districarsi in una materia così densa e doverla trasformare in forme riconoscibili e compiute insomma in una forma artistica, richiede un bilancino di precisione. La questione del Gender appassiona e divide fin dagli anni Novanta sul piano di studi sociologici ma tuttora infiamma i sostenitori dell’una e dell’altra fazione: da un lato coloro che sostengono essere l’identità femminile e quella maschile prodotto della Natura con tutte le implicazioni sociali e culturali che ne conseguono-la Chiesa vede nella Teoria il demonio che distrugge le basi della Sacra Famiglia; dall’altra i sostenitori della differenza di genere che nasce sul terreno della Cultura e dei condizionamenti sociali entro i quali cresciamo e ci formiamo per entrare nel mondo adulto. Castello non prende posizione, si defila anche dalle diatribe attualissime sul tema legate al mondo gay e lgtb-pensiamo al fenomeno delle Sentinelle in piedi, si ritaglia un focus altrettanto incandescente, quello del maschio ALFA appunto e lo fa insieme al suo alter ego in scena Mariano Nieddu e alle coriste attrici performer rumoriste Alessandra Moretti, Ilenia Romano e Francesca Zaccaria. La scena è costellata da monoliti su cui sono tracciati graffiti da periferie urbane o porte interne di toilette di terz’ordine con riferimenti sessuali espliciti, un demi monde che in parte contestualizza e contiene ciò che andremo a vedere. Le azioni sceniche si susseguono a mosaico come siparietti: nello spazio in contemporanea i cinque performer si avvalgono di microfoni e fanno ampio uso di oggetti sonori che accompagnano i monologhi e i gramelot affidati a Castello, al suo alter ego maschio Alfa che di sé fa narrazione e alle tre ragazze che in vesti di groupier attrici amanti mogli vestali fanno da controcanto alla affabulazione del capobranco. Ma non c’è solo parola o suono in questa intricata elaborazione performativa: ci sono i corpi e le voci delle donne e del doppio-Alfa che scandiscono con danze tribali e suoni gutturali privi di contenuti ma ricchi di vibrazioni semantiche che giocano su molteplici piani linguistici. Fra verbale e non verbale in ALFA assistiamo a un buon contemperamento dei codici, operazione molto ardimentosa ancora suscettibile di lima. La parte più propriamente verbale è affidata a considerazioni fra il biografismo del maschio ALFA- l’educazione ricevuta dalle madri zie sorelle e il suo pseudo delirio di Potere sulle femmine. In quanto alle femmine anch’esse riproducono i clichè del femminile più trito: oggetto sessuale in funzione testosteronica del desiderio che si autoalimenta negli occhi dell’Altro, il tutto a sua volta in funzione di riproduzione e trasmissione dei geni (Natura). Tuttavia questo maschio ALFA in versione Roberto Castello trasmette anche un forte segnale di smarrimento e frustrazione come se indossasse la maschera del falso sé, insomma è un maschio in crisi di identità, che simula, che veste i panni di una identità fittizia costruita su paradigmi imposti che non risuonano, maschio vincente sì ma sofferente, imprigionato dai dettami socio culturali della società occidentale che lo vogliono produttivo e riproduttivo (Cultura?). La corda della maschera del personaggio viene tirata fino a trasformarlo in figura grottesca, caricaturale tanto che Castello resta in bilico come sospeso sul filo di lana di questo doppio messaggio: ci faccio o ci sono? non dando risposte, sospendendo il giudizio tuttavia lasciando la netta sensazione che a questo scimmione antropizzato Dominus gli sia un po’ scappata di mano il controllo della situazione scivolando nel paradosso, nella parodia di se stesso e nel ridicolo. E’ questa l’autoironia sottile spiazzante a segnare la cifra stilistica che percorre l’apparente rapsodica non linearietà di ALFA. ALFA- appunti sulla questione maschile- Prima nazionale di e con Roberto Castello con Alessandra Moretti, Mariano Nieddu, Ilenia Romano e Francesca Zaccaria Visto a Vorno (Lucca), Tenuta dello Scompiglio, il 4 dicembre 2016

giovedì 1 dicembre 2016


è su RUMORSCENA Il filo dell’acqua secondo ARCA AZZURRA renzia.dinca Pisa. Cinquant’anni sono tanti per la vita di una persona. Fra i tanti ricordi belli e brutti uno fra i più tragici impresso nella memoria collettiva di chi l’ha vissuta anche se piccolo, c’è stata l’alluvione del 4 novembre 1966 di cui ricorre quest’anno il cinquantenario. Una sorta di micro diluvio universale che ha messo sott’acqua mezza Italia con conseguenze disastrose specie a Venezia e a Firenze, città fra le più colpite. E proprio in questi giorni abbiamo assistito alla triste replica di disastri con esondazione di fiumi e torrenti in una Italia tutta disastrata da innumerevoli abusi nei confronti dell’ambiente. E non si tratta di profezie che si auto avverano ma di tragedie annunciate: una nuova alluvione nel Nord Ovest in Piemonte, Liguria e in Sicilia ha rinnovato lo spettro di un Paese che non è ancora riuscito a salvaguardare il suo territorio e le vite dei cittadini. Pare che la Storia davvero niente abbia da insegnarci, per citare un poeta quale Eugenio Montale che nelle Cinque Terre aveva la sua dimora estiva in una di quelle splendide cittadine affacciate sul mare che cinque anni or sono erano quasi state spazzate via dalla furia delle acque. Per questo triste anniversario del 4 Novembre, sono state numerose le iniziative affidate a spettacoli teatrali in Toscana che ricordano l’alluvione del ’66 in particolar modo con l’esondazione del fiume Arno a Firenze, che ha messo una città intera in ginocchio, che è stata vittima ma insieme protagonista a furor di popolo poiché ha coraggiosamente affrontato in sinergie efficaci la calamità. Una città che ha avuto inoltre dalla sua, una straordinaria solidarietà con la mobilitazione attiva di una estesa comunità internazionale che è confluita da ogni parte del mondo, una comunità giovanile che poi sarà resa famosa con la denominazione di Angeli del fango. Centinaia di giovani accorsi a fronteggiare curare e proteggere l’esorbitante millenaria cultura scientifica e letteraria ospitata a Firenze fra Musei, Biblioteche e istituzioni culturali sorte nei secoli a ridosso dei suoi gloriosi Lungarni offesi dalla fuoriuscita delle acque dell’Arno. Di queste epiche giornate tratta l’allestimento Il filo dell’acqua in prima nazionale al Verdi a Pisa ad opera della storica Compagnia di San Casciano fondata da Ugo Chiti Arca Azzurra. Tre i personaggi in scena a interpretare in forma di coro diverse voci di personaggi quali comuni cittadini di Firenze, testimoni e vittime della tragica esondazione dell’Arno nella notte fra il 3 e il 4 novembre ‘66. Lucia Socci, Dimitri Frosali e Massimo Salvianti si scambiano il testimone del racconto che parte dallo stupore –in un solo giorno cade la pioggia di tre mesi, della fuga sui tetti dei palazzi e della fame del freddo patito senza avere informazioni sulla sorte di loro stessi, delle loro cose, della stessa città. Una città abbandonata a se stessa anche dal potere del governo centrale romano. Una affabulazione a tre tesa ma mai concitata che restituisce una esemplare struttura cara al teatro di narrazione affidata alla penna magistrale di Francesco Niccolini. Un affresco dialogico che insieme attraverso i corpi e le voci dei tre protagonisti in scena, racconta sia le vicende spicciole dei malcapitati sia la storia di un popolo e di una città vittima dell’evento catastrofico. E si parla di numeri, di persone salvate per miracolo, di un milione trecentomila volumi portati in salvo dalla Biblioteca Nazionale, del Vieusseux, dell’Accademia dei Georgofili, del Museo della Scienza, delle opere d’arte: capolavori di Paolo Uccello recuperati in San Marco, mentre l’asticella del livello dell’acqua esondata sale e sale, chissà fino a quando e quanto? Il racconto corale si avvale di proiezioni sul fondale- a scena vuota, dove l’elemento colore prevale a inscenare e commentare stati d’animo come stati del cielo e della tempesta abbattutasi su uomini e cose. Ma dà anche conto di una paura che ha saputo reagire e si compatta con fierezza contro la comune avversità. Testimonianza di fatti e a monito che mai dovrebbero più ripetersi eventi così tragici, anche se a distanza di cinquant’ anni sappiamo per evidenza cronachistica fin troppo quotidiana, di novembre come d’estate, che purtroppo non è così. Il Filo dell’acqua Compagnia ARCA AZZURRA Regia Roberto Aldorasi e Francesco Niccolini Drammaturgia Francesco Niccolini Con Dimitri Frosali, Massimo Salvianti e Lucia Socci Scene e video Antonio Panzuto Musiche originali Paolo Coletta Visto a Pisa, Teatro Verdi, il 6 novembre 2016