giovedì 30 marzo 2017


Un quaderno per l’inverno ovvero il mistero della Parola renzia.dinca Prato. Nitore di scrittura colta, scomoda e insieme popolare nel senso che parla al cuore e va dritta al centro delle emozioni e dei temi universali: l’amore, la morte, la solitudine, la rabbia che può stravolgersi in violenza, la pietà, la paura, la solidarietà. Di questo si parla in Un quaderno per l’inverno del drammaturgo Armando Pirozzi, con la conduzione registica di Massimiliano Civica, una liaison fra due artisti che induce a riflettere su un lavoro niente affatto prevedibile fra le novità del panorama delle produzioni italiane di questa stagione. Un quaderno per l’inverno è campo di indagine che sonda nella psiche umana e nelle sue arcane messinscene sempre rinnovate nel tempo anzi attualissime, sensibili a rendere il teatrino della vita un po’ meno amaro, un po’ più accettabile e se non leggero almeno esistenzialmente possibile. La via regia per raggiungere questa metamorfica redde rationem in bilico tra una realtà dissonante a volte, spesso crudele senza apparente speranza, si incarna nelle vite incrociate dei due personaggi maschili lievemente beckettiani: il professore di filosofia Velonà, uomo solo e solitario e il ladro galantuomo Nino, forse un sognatore nella sua perenne disperazione d’esistere. Nino che perde la moglie ammalata e ha un figlio piccolo che deve crescersi da solo. Ma si risposa mentre il prof no. Lui rimane solo anche perché la sua donna si sposa con un altro. In tre quadri a distanza temporale di ben otto anni, i due uomini si re-incontrano e sempre per iniziativa di Nino, ladro anche, ma soprattutto di Parole. Sì perché il ladro Nino ( Luca Zacchini), davvero disarmante nella pulizia quasi candore del suo personaggio, si confronta coi limiti della Legge ma è attratto dal mistero del linguaggio di cui intuisce, attraverso meccanismi di sicuro poco consci in cui crede o forse spera depositario l’altro, il professor Velonà ( Alberto Astorri) che pratica il linguaggio della cultura alta, quella filosofica che insegna e della poesia, quella che scrive in maniera un po’ dilettantesca in quadernetti che tiene in una borsa assieme al PC di lavoro. Nino intuisce per vie altre-misteriche, la portata euristica, catartica, addirittura potenzialmente salvifica delle parole del professore da lui derubato. Perchè è l’arma della Parola, quella poetica, che il prof possiede, almeno secondo lui, e non quella del coltello- il suo, che Nino intuisce forse, essere superiore a quella che maneggia aggredendo. La metafora coltello-parola-vita è asse portante di questo lavoro. Mentre alla mente riecheggia un titolo: Che tu sia per me il coltello di David Grossman ed anche qui si tratta di solitudini di coppie e bambini in contesti diversi da quelli italiani, violenti tuttavia e di scontri ideologici e territoriali di confine geopolitici. Cosa più attuale di questo in questo paese Italia? portare la poesia, la sua pratica, come focus al centro di una micropiece per la scena contemporanea, potrebbe presentarsi come operazione molto coraggiosa oppure demenzial-masochistica nel senso dell’inutilità del mezzo, a meno che non si armeggi con materiali shakespeariani ma qui non è il campo della poesia in senso tecnico formale a dominare- ché il lavoro di Pirozzi è prettamente di scrittura drammaturgica, ma la semantica della Poesia ad essere al centro del discorso, un discorso che apparenta due entità non metafisiche ma umanissime: due persone che conducono esistenze molto diverse antitetiche, che si incontrano proprio al limite di un discorso- e qui sta il concept del lavoro, di un possibile umanissimo dialogo fra due creature, un incontro che dovrebbe essere almeno sulla carta, impossibile ed invece è: accade o comunque si fa accadere. E così Nino apostrofa il Professore, anche minacciandolo: ci sono bellissime poesie nel tuo quaderno/ le hai scritte tu? ne hai altre? e qui sta la sfida molto provocatoria lanciata dall’operazione di Massimiliano Civica. La vita è di per sé creativa e la messinscena, la sua rappresentazione arriva sempre dopo. Civica si sottrae nel manifesto di regista di questa sua nuova produzione ad un intervento personale incisivo. In effetti lascia letteralmente la parola al testo e ai due personaggi dentro una scena nuda e cruda che definire minimalista è apodittico . Sia la storia del Ladro che quella del Professore, sono micro-narrazioni quasi frammenti che però sottendono in filigrana lutti maschili di un femminile, l’assenza della –delle compagne. Di qua per malattia, di là per separazione e ricongiunzione con altro partner. Ecco che sia in Nino che nel Professore risuonano fragilità debolezze maschili anche in senso lato. ma in particolare è quella del Ladro che urla pretende cerca, e ricerca ben otto anni dopo la stessa persona in un confronto-scontro che niente ha di patetico ma di umanissimo: è il tema dell’incontro tra sconosciuti, magari anche nemici sulla carta, appunto, per status sociale- io non sono un simbolo sono un ladro dice Nino quando il prof prova a scambiare con lui qualche parola molto da intellettuale che però risuona vuota, e come non potrebbe?, accomunati però dallo stesso bisogno di comunicare condividere esser-ci per dare senso e ancora alle proprie disperazioni, ai propri urli esistenziali alla ricerca di una voce che sia tessuto, rispecchiamento. Bisogno arcaicissimo per la nostra specie che cerca un ri-conoscimento nell’Altro da noi. Perché tutti abbiamo bisogno di un nostro personale quaderno per il nostro inverno della psiche. Anche giocato sul senso del rapporto fra simbolo e foresta di significati. E qui il senso e lo statuto, lo specifico universale nei secoli della Parola e di quella poetica in particolare. Anche a Teatro. PRIMA ASSOLUTA di Armando Pirozzi uno spettacolo di Massimiliano Civica con Alberto Astorri e Luca Zacchini produzione Teatro Metastasio di Prato con il sostegno di Armunia- Castiglioncello Visto al Teatro Fabbricone ( Prato), il 17 marzo 2017

venerdì 24 marzo 2017


Il Nullafacente renzia.dinca Pontedera (Pisa) Una tessitura testuale e di scena che si intreccia e regala un lavoro di struggente riflessiva malinconia per i temi trattati-la fine vita, il dolore dentro la coppia in cui uno dei due sta per andarsene perché muore precocemente, il frastuono del mondo dentro e fuori di chi traffica, magari anche senza dolo, sulla vicenda di un dramma privatissimo dei due protagonisti. Il tutto trattato con levità, delicatezza e rispetto non serioso né retorico né scolastico. La vicenda così universale, pone questioni urticanti di scrittura e di trattamento risolto in modalità stoicheggiante tirata al limite del paradosso ma anche molto moderna come accade a temi filosofici classici rivisitati e riesce a strappare sorrisi e anche qualche secca risata. E’ Michele Santeramo l’autore di questa coinvolgente e a tratti annichilente pièce, anche attore in scena. L’altra, la compagna a fine vita, è una dolente Silvia Pasello, attrice storica dell’ex Centro di Ricerca e Sperimentazione Teatrale in una prova che segue il Lear sempre diretta da Bacci dello scorso anno. Il tutto in prima nazionale si svolge dentro la sala Cieslak di sessanta posti al Teatro Era-Centro Grotowsk nella Stagione del Teatro della Toscana. L’idea-come ci dice Roberto Bacci regista dello spettacolo, nasce ben cinque anni fa dopo la collaborazione con Santeramo per il nostro lavoro Alla luce. E’ stato discusso fra noi per due anni e mezzo. Avrei voluto come attore principale Savino Paparella ma non è stato possibile averlo per motivi tecnici. Quindi Michele Santeramo ha accettato la mia proposta di essere anche in scena. L’avvio del dramma può lasciare sconcertati. La coppia, senza figli, composta da un uomo ( il marito), una donna ( la moglie gravemente malata e senza rimedio) in un interno che non è casa, due sedie un tavolo. Però con altre tre sedie affacciate sul loro spazio interno: quella del medico di famiglia, del fratello di lei e del proprietario della casa dei due infelici coniugi; i tre personaggi che entrano ed escono di scena a modo loro ed in modalità relative alle proprie individuali necessità umane e molto utilitaristiche e/o semplicemente istanze di ruolo sociale ( vedi medico e fratello). Al centro la tragedia della coppia. Lo snodo che è il focus sulla malattia terminale della donna, in realtà fa esplodere le reazioni dei personaggi che ruotano attorno al suo destino di vittima. Il marito, anzitutto il coprotagonista, sceglie sorprendentemente, non un ruolo di resilienza, di resistenza o di semplice accudimento. Lui non fa nulla. Lui smette di vivere, a sua volta. L’unico riflesso rispetto al dramma alla Depardieu un po’ Mon oncle d’Amérique ma in altra modalità totale extravagante di scelta di funzionalità esistenziale è quello di smettere di vivere, a sua volta. Sceglie cioè di stare accanto alla donna, la sua donna senza fare niente perché niente vale, forse e solo il suo esserci. Perché perde di senso anche il lavorare, il comprare, mangiare, un po’ anche la sua stessa presenza. Quasi un vissuto al negativo ma complice, forse, del suo stesso senso di colpa per sopravviverle. Una co-esistenza stanca, rassegnata dell’ineluttabilità della morte, come quella della fatigue a cui assistiamo scritta in scena sul corpo della sventurata compagna. La parola chiave che registra il tono dei dialoghi a volte al limite del surreale fra i due è : perché? I perché della donna malata , i perché del compagno, una non- esistenza la sua dell’uomo, assorta, nel suo poetico tentativo di rendere e restituire forma e vita al bonsai a cui rende le sue piccole cure. Perché per il marito tanto in quegli ultimi mesi e giorni ore conta la presenza, l’esserci. Accanto a lei. C’è come un rumore assordante di fondo una sorta di basso continuo in tutta la pièce. Ad un certo punto gli spettatori della vicenda privatissima: medico, fratello, proprietario di casa, spostano il loro campo d’azione. Dal volgere lo sguardo assistendo da spettatori fra spettatori quali siamo al dramma interno della coppia dove vorrebbero anche loro esser-ci , provando a cambiare qualcosa- soprattutto a interesse loro, ad un certo punto dello sviluppo del plot narrativo voltano loro le spalle. Restano sempre dentro lo spazio scenico, ma escono dalla comprensione-interazione al dramma. La scrittura chirurgica di Santeramo narra con esaustiva crudeltà essenziale il dramma interiore privatissimo di una coppia in un estremo atto di addio. E lui, Il Nullafacente che potrebbe sembrare un asettico a tratti cinico spettatore del dramma della sua compagna e delle loro vite ne è in realtà un amorevole testimone. Solo, come tutti davanti alla tragedia di una vita che si spezza. Spezzando a sua volta, necessariamente, la propria. Un atto di pietas portato alle conseguenze estreme perché il dolore e l’affrontarlo guardando in faccia la morte è un diritto civile, una scelta individuale. In un momento in cui la cronaca tratta con sempre più insistenza ed urgenza i temi dell’eutanasia e del testamento biologico, Il Nullafacente è una prova d’autore che pone molte riflessioni. Prima nazionale Fondazione Teatro della Toscana di Michele Santeramo con Michele Cipriani, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini musiche Ares Tavolazzi immagine Cristina Gardumi regia e spazio scenico Roberto Bacci Visto a Pontedera ( Teatro Era) , il 12 marzo 2017

domenica 12 marzo 2017


Rumor(s)cena – Teatro, spettacoli, cinema e film in Italia, backstage, foto, interviste e curiosità – istruzioni per una visione consapevole 7 scene d'Europa | Teatro Arte Culture Festival(s) Costume e Società Cinema Danza Musica e Concerti Culture — 11/03/2017 01:17 L’identità di genere, le paure infondate, lo spettacolo “Fa’afafine..” e il teatro che difende la libertà d’espressione renzia.dinca roberto.rinaldi RUMORSCENA – Cosa accade quando uno spettacolo teatrale suscita reazioni di intolleranza da esigere perfino la censura preventiva al fine di impedirne la visione? Una domanda che si sono chiesti in molti a proposito di “Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro”, il titolo del tanto contestato e vituperato testo, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato (prodotto dal CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia – Udine e dal Teatro Biondo Stabile di Palermo), e recitato dall’attore Michele Degirolamo. Da Bolzano a Trento, da Vicenza a Pordenone da Pistoia a Potenza, ovunque sia stato programmato, si sono registrate azioni di protesta, richieste di cancellazione, previo monito di non portare gli studenti delle scuole medie a vederlo; interventi di politici locali determinati ad impedire la messa in scena con tutti i mezzi. Reazioni anche scomposte, aggressive, incapaci di cercare un confronto equilibrato e ragionevole. Senza nessun tentativo di dialogo e la necessità spesso di far intervenire le forze di polizia, al fine di garantire la libera rappresentazione a teatro. I contestatori hanno accusato il pericolo di creare divisione tra genitori e i loro figli, ritenendo la visione pericolosa per la loro crescita educativa. Fonte di turbamento tale da creare confusione nell’ identità dei minori, induzione alla omosessualità. La paura di qualcosa che non si conosce contribuisce a mistificare la realtà. Nessuno tra i “censori” aveva visto in precedenza lo spettacolo, basandosi solo sulle note di regia o improvvisati studi senza nessun riferimento scientifico che giustificassero la famigerata “teoria del gender”. Allarmati dal pericolo che si possa diffondere tra le giovani generazioni, compresa la Chiesa e le Curie di molte città, da cui sono partite intimidazioni rivolte alle direzioni artistiche dei teatri e alle scuole, colpevoli di permettere la partecipazione degli studenti. Diversamente dagli adulti, si sono dimostrati più attenti e sensibili se non intelligenti, entusiasti dopo aver assistito alla rappresentazione. Il Teatro Stabile di Bolzano ha proposto ben 11 recite scolastiche dove lo spettacolo è stato visto da 2700 studenti delle scuole medie di tutta la provincia. L’esito è sempre stato quello di assistere al gradimento da parte delle scolaresche che hanno dimostrato di apprezzare la messa in scena. Il 16 marzo andrà in scena a Genova dove tutti i teatri si sono tassati per il costo della replica, offrendo alla città, la rappresentazione gratuita. Alle 18.30 il Teatro della Tosse ospiterà Fa’afafine con ingresso libero fino ad esaurimento dei posti in sala. “Identità di genere questa sconosciuta“: Saveria Capecchi docente di Comunicazioni di massa e Sociologia all’Università di Bologna, citando il saggio “Le identità di genere” (Carocci editore) di Elisabetta Ruspini, docente di Sociologia e Ricerca Sociale (Università di Milano – Bicocca) , spiega che «l’identità di genere è un processo che comincia con la consapevolezza di appartenere all’uno o all’altro sesso e che lungo l’arco della vita subisce continui aggiustamenti e ridefinizioni. Il ‘genere’ è una costruzione sociale e non un dato biologico immutabile». Il libro parla infatti di genere, generi. Diventare donne e uomini. Si pone degli interrogativi: cosa si intende con genere? Le differenze tra mascolinità e femminilità sono naturali, universali e immodificabili oppure si tratta di una costruzione sociale? Sono argomenti che si possono affrontare con la dovuta serietà scientifica e accademica, evitando stereotipi, discriminazioni e i tanti pregiudizi ricavati dalla non conoscenza dell’argomento. Rumorscena ha chiesto un parere autorevole ad una psicoterapeuta e sessuologa clinica, la dottoressa Ilaria Genovesi (a cura di Renzia D’Incà) «Si trae spunto dal documento redatto dall’ufficio regionale per l’Europa dell’OMS (Organizzazione Mondiale della sanità) e BZgA (General Center for Health Education) denominato “Standard per l’educazione Sessuale in Europa: quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti” nell’edizione italiana promossa dalla FISS (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica). Un sguardo su quali siano le indicazioni proposte sul tema dell’educazione sessuale. Si parla di un approccio olistico all’educazione al tema della sessualità: “L’educazione sessuale olistica comprende vari argomenti relativamente ad aspetti fisico, affettivi, sociali e culturali, non deve limitarsi alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, bensì deve includere questi aspetti. Nell’ambito di un approccio più ampio e non giudicante e non deve basarsi sulla paura. L’educazione sessuale in senso olistico richiede un’attenta scelta di metodi diversi che attraggano vari tipi di allievi e sollecitino i diversi sensi”. dottoressa Ilaria Genovesi In questa ottica, “l’educazione alla sessualità è basata sulla sensibilità di genere per garantire che bisogni e problemi diversi legati alle differenze di genere trovino risposte adeguate.” Nella prima parte del documento, si tratta tutto il tema dello sviluppo sessuale del bambino, del bisogno di contatto e della ricerca del piacere che non è ovviamente ricerca sessuale, prosegue spiegandoci l’importanza di una educazione sessuale formale nel bambino e come questa, se organizzata correttamente, possa portare grandi benefici allo sviluppo affetto dei giovani. Nella prima infanzia 2-3 anni i bambini stanno acquisendo già consapevolezza di se è del proprio corpo ed imparano che sono maschi e femmine: sviluppano la loro identità di genere. Dai 4 ai 6 anni, i bambini imparano le regole, giocano e fanno amicizia; sanno di essere maschi oppure femmine, si fanno un’idea ben chiara e definita di “cosa fa un maschio” e “cosa fa una femmina”: si definiscono i ruoli di genere. Dai 7 ai 9 anni si formano il gruppo dei maschi ed il gruppo delle femmine ciascuno dei quali “tasta il terreno” con gli altri; è il periodo del primo amore e delle fantasie sull’amore. Dai 10 ai 15 anni sboccia la pubertà e aumenta l’interesse per la sessualità; a poco a poco i ragazzi e le ragazze scoprono se provano desiderio per i maschi o per le femmine: scoprono il loro orientamento sessuale. Dai 16 ai 18 anni, alle soglie dell’età adulta, i ragazzi sanno più chiaramente se sono eterosessuali o omosessuali. Nella seconda parte vengono proposte delle tabelle suddivise per fascia di età, con gli argomenti idonei da trattare in quel periodo dello sviluppo, suddivisi per tematiche generali. Dai 9 ai 12 anni è prevista la trasmissione di informazioni su “orientamento di genere, differenze tra identità di genere e sesso biologico”; ed ancora, aiutare i ragazzi a “accettazione, rispetto e comprensione delle diversità nella sessualità e nell’orientamento sessuale”. Dai 12 ai 15 anni, il lavoro di informazione si concentra anche su “aspettative di ruolo e comportamenti di ruolo rispetto all’eccitazione sessuale e alle differenze di genere” Infatti, tra i risultati perseguiti da un’azione educativa alla sessualità globale ed adeguata, si legge: “rispettare la diversità sessuale e le differenze di genere, essere consapevoli dell’identità sessuale e dei ruoli di genere“. L’OMS afferma che “a partire dalla nascita i genitori in particolare mandano ai bambini messaggi inerenti il corpo e l’intimità. Fanno educazione sessuale” – e prosegue – “gli adulti attribuiscono un significato sessuale ai comportamenti sulla base della loro esperienza di adulti e talvolta hanno molta difficoltà a vedere le cose con gli occhi di un bambino o di un ragazzo”. Per questo è necessario ed essenziale che gli adulti adottino “la prospettiva di bambini e ragazzi.” Concludo, invitando alla lettura più accurata del documento ufficiale citato in questo scritto, inteso come linea guida per insegnanti, genitori, educatori, professionisti, sessuologi che direttamente o no fanno educazione sessuale, sottolineando quanto il diritto di essere informati su temi così delicati offra la possibilità di costruire, progettare, essere consapevoli, liberi da pregiudizi, preconcetti. Per “educare” nel vero senso stretto del termine “ex-ducere” ossia ” tirar fuori”. Non basta solo informare, sia in forma scritta e orale, oppure attraverso forme più disparate di comunicazione, ma occorre promuovere azioni che aiutino gli individui ad esprimere se stessi, comportarsi in modo conforme alla propria personalità, rispettandone l’originalità. Per far si che ciò avvenga è essenziale la collaborazione tra le varie figure educative che credo anche esse abbiano bisogno di essere, non solo informate, ma formate adeguatamente per una maggiore presa di coscienza di che cosa significhi “educare alla sessualità” in modo libero e responsabile, lasciando a se stessi, ed agli altri, lo spazio di trovare il proprio percorso individuale, nella sua autenticità.» Dottoressa Ilaria Genovesi (Psicoterapeuta, Sessuologa Clinica – Pisa) http://www.fissonline.it/pdf/STANDARDOMS.pdf I Teatri e le Associazioni di Genova a difesa della libertà d’espressione GENOVA – Giovedì 16 marzo, alle ore 18.30, il Teatro della Tosse Sala Trionfo, i Giardini Luzzati – Spazio Comune diventano la “piazza dei diritti” insieme a tutti i Teatri, Festival e Associazioni genovesi, che invitano ad replica a ingresso gratuito dello spettacolo “Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro.” L’evento è voluto per manifestare la protesta contro il tentativo di censura in atto in molte città italiane e contro la raccolta di firme che vorrebbe l’impedimento formale del Ministero dell’Istruzione alla partecipazione delle Scuole, a sostegno della tutela di spazi di elaborazione critica per i più giovani. Vincitore dei premi – Eolo Award 2016, Infogiovani – FIT Festival Lugano 2015, Scenario Infanzia 2014 – ha ottenuto anche il patrocinio di Amnesty International – Italia “per aver affrontato in modo significativo un tema particolarmente difficile a causa di pregiudizi ed ignoranza, rappresentando con dolcezza il dramma vissuto oggi da molti giovani”, e da parte del Comune di Udine, Assessorato alle Pari Opportunità e Commissione per le Pari Opportunità e dal Comune di Genova. Aderenti: Giardini Luzzati – Spazio Comune – progetto socio – culturale, nel cuore del Centro Storico cittadino, a cura del Ce.Sto con Cooperativa Archeologia e Fondazione Luzzati Teatro della Tosse – insieme ai Teatri e Festival del capoluogo ligure: Teatro Akropolis, Teatro dell’Archivolto, Teatro Bloser, Teatro Cargo, Circumnavigando Festival, Narramondo Teatro/Altrove – Teatro della Maddalena, Life Festival – Persone oltre il genere, Officine Papage, Teatro dell’Ortica, Politeama Genovese, Teatro Stabile di Genova, Suq Festival. Agedo Genova, Arci Genova, Arci Liguria, Arci Solidarietà, Arcigay Genova – Approdo Lilia Mulas, Gruppo Giovani Arcigay Genova, Coordinamento Liguria Rainbow, Love what U Love. Comunità di San Benedetto (Don Gallo) (L’elenco delle adesioni è in aggiornamento sul profilo Facebook Giardini Luzzati – Spazio Comune). Spiegano gli organizzatori: «Ciò che sta accadendo è molto grave e con questa iniziativa vogliamo dare un segno di tangibile protesta contro il tentativo di censura in atto programmando una replica gratuita, a ideale “compensazione” delle date annullate o osteggiate, in tante città italiane. A sostegno dell’attività di chi produce e cura la diffusione di teatro e cultura e deve poter continuare a farlo nella massima libertà. Insieme alla libertà di espressione vogliamo porre l’accento sull’importanza delle opportunità educative, sulla responsabilità degli adulti verso i più giovani nella tutela di spazi di ascolto ed elaborazione critica di tematiche attuali, diffuse e delicate che si tenta insensatamente di rimuovere, che diventano oggetto di banalizzazione e strumentalizzazione, o peggio, movente di azioni di violenza e intolleranza. Cittadini, genitori, insegnanti, educatori, politici, siete tutti invitati a sentirvi attivamente membri di una Comunità educativa indispensabile per una crescita collettiva consapevole.» Su iniziativa di CitizenGo è in atto una raccolta di firme per chiedere al Ministero dell’Istruzione di impedire la partecipazione delle Scuole, mentre un’altra petizione a favore dello spettacolo è pubblicata su http://you.allout.org/petitions/stand-with-fa-afafine Il parlamentare europeo Daniele Viotti sta sostenendo pubblicamente la causa insieme tra gli altri, a Monica Cirinnà, Gianni Cuperlo, Magda Angela Zanoni, http://www.danieleviotti.eu/a-sostegno-dello-spettacolo-fafafine-mi-chiamo-alex-e-sono-un-dinosauro/ Ingresso libero fino ad esaurimento posti Biglietteria Teatro della Tosse tel. 010 2470793 Fa’afafine uno spettacolo che divide (di Renzia D’Incà) PISA – Un’ondata di protesta si è manifestata anche in Toscana. Questa volta però non è si è trattato di scioperi degli operai della Piaggio o della Breda, di portuali o del personale di Trenitalia ma di una strutturata rete di associazioni di cittadini. Una petizione on line ( oltre centomila firme raccolte ), gruppi politici istituzionali che hanno preso posizione contro la programmazione dei Teatri della Regione, nei quali era stato programmato lo spettacolo “Fa’afafine-mi chiamo Alex e sono un dinosauro”, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato. Rivolto ad un pubblico di adolescenti, era stato inserito nella normale programmazione del Teatro per Ragazzi (e nei Teatri di tradizione), destinato alle scuole e alle famiglie. Le polemiche hanno creato disagi piuttosto importanti, coinvolgendo istituti scolastici, genitori e studenti ma anche un rilievo sulla società civile non solo perché i Teatri come la Scuola (quella dell’obbligo e non solo) sono parte integrante in quanto luoghi di istruzione e cultura, centrali del tessuto sociale, ma perché solleva questioni più prettamente etiche e morali, nonché giuridiche rispetto al diritto costituzionale, alla libertà di espressione. Nel clima della querelle in corso, ormai diffusa a livello nazionale (in Veneto, in Emilia Romagna,Trentino Alto Adige e in altre Regioni) si sono verificati episodi analoghi. Sollecitare la censura, un termine che credevamo confinato a periodi storici del passato, evidentemente non è una pratica del tutto scomparsa. Lo spettacolo, vincitore del Premio Eolo Awards 2016 e Scenario Infanzia 2014, indicato come pedagogicamente corretto e in linea con decenni di esperienza riconosciuta a livello ministeriale, da esperti di Teatro Ragazzi, tratta di un tema intensamente delicato, quello delle differenze, del rispetto dell’altro da sé. Anche dell’educazione alla salvaguardia e difesa della sensibilità interiore, delle parti più vulnerabili intime e profonde dell’identità. Degli individui in quanto aventi diritto di cittadinanza nel mondo degli adulti, proprio a partire dai più piccoli. Frettolosamente liquidato da alcuni come “spettacolo sul Gender” ( una teoria peraltro inesistente, frutto di mistificazioni ideologiche anche vaticaniste e non solo), tratta poeticamente le fantasie e gli innamoramenti di un ragazzino di otto anni per un suo compagno di classe. Fa’afafine che significa in lingua Samoa, una sorta di terzo sesso, di bambini e bambine che non amano identificarsi nel sesso a cui la genetica e/o la cultura li vuole ingabbiare. Per la cronaca, l’ultimo numero del National Geographic magazine dai contenuti scientifici seri e certificati, ha dedicato la copertina proprio a questo tema. Attraverso una mappatura dei teatri della Toscana dove si sono verificate le proteste, abbiamo chiesto di raccontare cosa è accaduto. Ne abbiamo parlato con Rodolfo Sacchettini presidente dell’Associazione Teatri di Pistoia, con Giancarlo Mordini, direttore artistico del Teatro di Rifredi di Firenze, con Silvano Patacca direttore artistico del Teatro di Pisa, Fabrizio Cassanelli ex direttore del Centro studi della Città del Teatro di Cascina ( Pisa), e Barbara di Cesare responsabile della comunicazione per la rassegna Teatro Ragazzi del Teatro del Giglio di Lucca. Suscita scalpore non certo e non solo nella comunità teatrale, la campagna denigratoria nei confronti di uno spettacolo come Fa’afine. La Toscana è un presidio culturale che dagli anni Settanta ha creato centri di rinomanza nazionale ed internazionale a difesa dei diritti dell’infanzia . Si avvale del patrocinio di Amnesty International ”per aver affrontato in modo significativo un tema particolarmente difficile a causa di pregiudizi ed ignoranza, rappresentando con dolcezza il dramma vissuto da molti giovani”. Sorprende che stia causando così tante censure preventive e polemiche pretestuose. Rodolfo Sacchettini @Ilaria Scarpa Rodolfo Sacchettini: «Ritengo che dietro il flop di presenze delle scolaresche ci siano cause dovute a questioni legate a propaganda politica. Nel programma di Piccolo Sipario 2016/17 inviato alle scuole. lo spettacolo era stato proposto con due recite mattutine rivolte alle scuole medie inferiori. Abbiamo specificato che avremmo potuto accettare le classi V delle scuola elementari, solo previo specifico contatto con il nostro ufficio scuola. In realtà la produzione segnala lo spettacolo per una fascia d’età tra i 8 e 16 anni, ma data la tematica abbiamo preferito proporlo agli studenti che avessero qualche anno di più. Dopo aver inviato il materiale informativo alle scuole con la relativa scheda didattica della compagnia http://www.teatridipistoia.it/spettacoli/fafafafine-mi-chiamo-alex-e-sono-un-dinosauro/), abbiamo ricevuto la prenotazione da parte di sole 5 classi, nonostante il nostro grande impegno. Tre di queste si sono ritirate per volontà della stessa preside a seguito delle polemiche suscitate e ciò ha causato l’annullamento di una recita. Si è invece potuta effettuare per 2 classi (una IV elementare e un I liceo) la seconda recita. A fronte delle polemiche cresciute in città e poi a livello nazionale, è stato deciso di organizzare una recita straordinaria in orario serale per il pubblico. L’intento era che ognuno potesse liberamente valutare la proposta artistica. Per la recita serale sono state 118 le presenze; per la recita scolastica 52 presenze. Sia il direttore artistico ATP, Saverio Barsanti, sia io quanto presidente, siamo intervenuti sulla stampa locale per difendere la scelta. A Pistoia contro lo spettacolo si sono mossi consiglieri di Alleanza Nazionale, Forza Italia, i gruppi Forza Nuova e Evita Peron e poi i consiglieri della lega Nord, assieme a formazioni come Generazione Famiglia – La Manif pour Tous. Mentre, a favore dello spettacolo, è intervenuta la Rete. https://rete13febbraiopt.wordpress.com/ Alla recita della mattina era presente un presidio di consiglieri regionali della Lega Nord e anche Forza Nuova. Dopo le due rappresentazioni e dopo aver assistito alla replica serale, l’assessore all’educazione e alla cultura del Comune di Pistoia, Elena Becheri, è intervenuta con un comunicato stampa nel quale ha difeso lo spettacolo raccontandone le tematiche affrontate. Abbiamo però dovuto chiamare le forze dell’ordine per presenziare sia in Teatro che all’esterno, al fine di evitare disordini durante le recite. Sono preoccupato di quanto accaduto – sostiene Rodolfo Sacchettini – c’è un regime alimentato dalla paura, un clima che coinvolge genitori insegnanti e studenti, dove chi insegna viene screditato. Lo spettacolo non è stato visto da chi lo ha contestato, a priori. Questo regime che alimenta paura è molto insidioso. Noi come istituzione abbiamo agito su un piano di corretta comunicazione e vissuto il tentativo di censurare lo spettacolo come un sabotaggio.» Giancarlo Mordini Giancarlo Mordini del Teatro di Rifredi di Firenze. «Avevo visto Fa’afafine alla Tenuta dello Scompiglio, diretta da Cecilia Bertoni a Lucca nella primavera 2015 e mi era sembrata una fiaba contemporanea. Con questo spirito l’ho scelto per due recita serale. Un lavoro che ritengo estremamente educativo adatto alle famiglie e riguarda la sensibilizzazione alle diversità, per esempio verso l’immigrato. Credo che in questa polemica ci sia dietro una crociata anacronistica e mortificatoria. Un pregiudizio. E’ folle pensare che lo spettacolo sia fautore di una qualsivoglia iniziazione all’omosessualità. C’è un gran rispetto dell’altro in questo lavoro di Scarpinato, grande poeticità. Ho ricevuto telefonate e messaggi allucinanti, di persone che pur non avendo visto lo spettacolo lo volevano censurare. Lo stesso è accaduto da noi quando avevamo programmato BENT nel 2016, un testo di quasi quarant’anni fa legato alla memoria dell’Olocausto. Perfino monsignor Betori arcivescovo di Firenze, ha invitato le famiglie a non autorizzare la visione agli studenti. Questa si chiama censura preventiva.» Silvano Patacca Silvano Patacca direttore della Fondazione Teatro Verdi di Pisa. «Abbiamo avuto anche noi delle contestazioni su BENT( opera teatrale che debuttò al Royal Court Theatre di Londra nel 1979), un lavoro scritto da Martin Sherman, testimonianza sull’Olocausto vista dagli omosessuali. Inserito nelle giornate dedicate alla Memoria, una delle iniziative storiche del nostro Teatro da parte di alcuni genitori ed in rete. La nostra situazione era diversa da quella dei Teatri di Pistoia. Siamo stati accusati di necrofilia, di istigazione al suicidio, di alimentare e favorire la Teoria Gender. Accuse pesanti assolutamente infondate. Avevamo inviato molti mesi prima delle informative alle scuole relative ai contenuti della nostra proposta didattica. Come sempre da decenni facciamo per promuovere il nostro lavoro sulla città.» Fabrizio Cassanelli regista e formatore. «Anche alla Città del Teatro di Cascina (Pisa), la tematica “Gender” deve aver creato qualche problema alla nuova gestione artistica di Andrea Buscemi dopo l’uscita di scena di Donatella Diamanti defenestrata a causa della vittoria della Lega nelle amministrative 2016. Questo spazio è nato negli anni Settanta come Teatro Ragazzi con la direzione storica e ventennale di Alessandro Garzella in carica fino al 2011. Fa’afafine era stato programmato dall’ex direttrice e visto nel 2015 (sulla linea di lavori come “La peggiore e Io femmina e tu?”, diretto da me e Letizia Pardi che faceva parte dello staff del Teatro a quel tempo. Nella programmazione 2017 Teatro e scuola ideata da Donatella Diamanti, ora il termine “gender” non compare più. Tra le tante polemiche che sono state rivolte allo spettacolo, c’è stata anche quella di Lorenzo Gasperini (oggi ex capo dell’Ufficio di Gabinetto del Comune di Cascina governato da Susanna Ceccardi), che era intervenuto anche nel merito della programmazione della Città del Teatro, sostenendo che la proposta teatrale era stata inficiata da una forte degenerazione ideologica definendo oggi in voga la variante peggiore quella nichilista, quella per cui non si nasce né maschi né femmine, né bambini né bambine, essendo l’identità sessuale una imposizione della società, dunque da smantellare. » http://iltirreno.gelocal.it/pontedera/cronaca/2016/08/13/news/l-assessore-teatro-ostaggio-del-degrado-1.13959417 Nel frattempo al Teatro del Giglio di Lucca è in attesa a fine marzo, previsto nella rassegna dedicata alle scuole, lo spettacolo, che per il momento registra il tutto esaurito da parte delle scuole, ci spiega Barbara Di Cesare della “Cattiva Compagnia”, ospite del Teatro pubblico lucchese, dentro la rassegna “Che cosa sono le nuvole”. Fa’afafine era stato già stato programmato lo scorso anno in provincia alla tenuta dello Scompiglio nel Comune di Capannori, e in quell’occasione non c’erano state polemiche. A primavera nella città dell’arborato cerchio, ci saranno le elezioni amministrative comunali. Donatella Diamanti Donatella Diamanti. «Ho sostenuto e sempre sosterrò lo spettacolo di Giuliano Scarpinato perché è uno spettacolo, a mio avviso, soprattutto bello. Per chi scrive testi per il teatro ragazzi, la questione del destinatario è una questione seria e non aggirabile, che induce a interrogarsi su competenze, ritmo, funzione educativa e ludica. Alla fine però, quando tutto questo si assembla in un racconto che è una visione del mondo, grazie a quella meravigliosa occasione di sperimentare e sperimentare, ovvero il fare creativo, ecco che se ne perde traccia perché la volontà e le professioni d’intenti non debbono emergere fra le righe. Resta il fatto che questo spettacolo adatto a tutti ma soprattutto agli studenti, a cui è destinato perché, seppur non si vede, tutto quello che c’era da fare è stato fatto. Con arte e con mestiere. Anche se la Curia dice di no e lo dice, probabilmente, senza averlo visto. Anche se si raccolgono centomila per ostacolarlo. Anche se si invoca l’arresto per chi, come me, lo ha programmato in tempi meno bui di questo e ora si trova precipitata nell’oscurità. E mentre sostengo Giuliano Scarpinato, sostengo anche il giovane attore che lo porta in scena, perché è un attore, a mio avviso, soprattutto bravo. Sosterrò sempre ogni cosa che trasuda competenza e professionalità, perché credo che sia la mancanza di questo che fa male al teatro. E spero che ogni teatro si riempia di persone desiderose di verificare con i loro occhi, quanto è bello questo spettacolo. Non quanto è innocuo o pericoloso.»

mercoledì 8 marzo 2017


Un'immagine per l'8 Marzo, pensando a un vecchio slogan del movimento femminista "l'utero è mio e me lo gestisco io" ... Annette Messager Mon Utérus à mon désir, 2016 Acrylique sur papier (70.5 x 57 cm)

Non c'è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente. Virginia Woolf

venerdì 3 marzo 2017


Allo Scompiglio con Camera#4-Il naufragio e ID renzia.dinca Vorno ( Lucca) In concomitanza con il Convegno Interrogare e scardinare il naturale: l’eresia degli studi di genere, abbiamo scoperto uno spazio complesso di una bellezza straordinaria a pochi chilometri da Lucca a ridosso delle note colline che sul versante versiliese hanno creato l’Ottocentesco buen ritiro di Paolina Bonaparte mentre sul crinale quello pisano e verso il pistoiese, aree più recenti ed industrializzate come quelle della vicina Porcari sede di cartiere famose. Si tratta della Tenuta dello Scompiglio, centinaia di ettari di terreno fino a dieci anni fa lasciati in balia della natura selvaggia per assenza di una mano sapiente in grado di non abbandonare bosco, piante, colture alla mercè degli eventi naturali. Ripristinata a luogo metamorfico di eventi culturali nel bel mezzo di una natura finalmente restituita ad un ordine rispettoso (tanto che dentro la Tenuta esiste un piccolo ristorante che propone cibi ed ingredienti di base prodotti entro quel territorio), allo Scompiglio abbiamo respirato una progettualità internazionale che spazia concretamente in territori multiculturali, una sorta di cittadella internazionale dell’arte, ideata e diretta dalla performer Cecilia Bertoni. Camera #4-Il naufragio è l’ultimo anello di un percorso performativo ideato da Cecilia Bertoni con Claire Guerrier. L’installazione, visibile ad uno spettatore per volta, introduce ad un’esperienza multisensoriale. Siamo soli a perlustrare la stanza o meglio la camera. Invitati a levarci le scarpe chiudendoci la porta alle spalle, entriamo in una atmosfera rarefatta e mentre a piedi nudi sulla fine sabbia che ricopre il pavimento ci immergiamo nel ground della installazione che da qui incomincia l’osservazione dei materiali sia in forma di oggetti disposti in diverse modalità come fossero stazioni di una via crucis su cui fermate lo sguardo e far azionare per mimesi e associazioni mentali memorie e storie, proiezioni sulle pareti, parole da voce suadente femminile registrate su nastro a far da voce narrante o forse solo specchio sonoro seguendo un personale forse inconscio tragitto di conoscenza e appercezione sensoriale dello spazio. Ciò che personalmente a me spettatrice unica ha restituito l’installazione, è la sensazione di un luogo claustrofobico dove ammassi di oggetti hanno riportato alla coscienza certe tele di Fridha Kalho. Corpi segnati da cicatrici, operazioni chirurgiche non si sa se del corpo o della psiche. Tentativi di ricuciture che potrebbero essere reali dopo cadute e rottura di ossa come tele da ricostruire, vestiti da continuamente rammendare. E qui mi è venuto alla mente il lavoro di una straordinaria artista come Louise Bourgeois di Distruzione del padre -Ricostruzione del padre. Camera è una teca di cristallo di raffinata eleganza dove ogni dettaglio è pensato con cura maniacale. Un confronto coi fantasmi del femminile e del maschile che sono stereotipi culturali ma anche figure reali appartenenti alla nostra storia di donne e uomini a cominciare dai nostri genitori e poi dai nostri compagni di vita. Se ne esce ponendosi molte domande e qualche risposta la si può trovare nella propria “camera” interiore. Anche ID propone un progetto performativo per un solo spettatore-attore. Entriamo in una stanza accompagnati da una voce che ci parla attraverso delle cuffie e dirige. Ci viene chiesto di posizionarci in uno spazio ben definito. La stanza è vuota con luci e microfoni. Entra il nostro interlocutore che si posiziona esattamente di fronte a noi. Veniamo invitati a rispondere a delle semplici domande oppure possiamo anche uscire. Una volta stabilito il patto-rimanere, rispondiamo alle domande che ci vengono rivolte attraverso le cuffie da un voce maschile neutra. Le domande sono poste contemporaneamente a noi e al nostro interlocutore. Stessa domanda a doppia risposta. Si crea un campo emotivo fra due sconosciuti a rivelare mano a mano dettagli anche molto intimi della propria identità che vanno dalle scelte sessuali all’uso del linguaggio verbale e oggettuale legato al cosiddetto genere perlustrando zone grigie e zone più cristalline della propria autobiografia dall’infanzia alla prima adolescenza fino a raccontarsi il proprio animale-totem. Il tutto in un faccia a faccia ad alta intensità emozionale. Ci si spoglia simbolicamente davanti ad un interlocutore sconosciuto per uscirne arricchiti di una relazione forse non psicanalitica e non perfettamente autentica- gli spazi di nascondimento ci sono eccome, però dentro un perturbante che lascia il segno in un progetto performativo in progress molto interessante. Camera #4 Installazione di Cecilia Bertoni e Claire Guerrier con Carl Beukman allestimento e tecnica Paolo Morelli e Cipriano Menchini con Alice Mollica, Daniele Ghilardi e Alfredo Dell’Immagine fino al 25 giugno Dynamis ID performance per uno spettatore ideazione e realizzazione Dynamis Progetto visivo e comunicazione Co.Co Produzione Associazione dello Scompiglio e Teatro Vascello Centro di produzione Teatrale La Fabbrica dell’Attore Visti a SPE Spazio performativo ed espositivo- Tenuta dello Scompiglio (Vorno-Lucca), il 28 gennaio 2017