mercoledì 23 settembre 2015


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martedì 22 settembre 2015


La voce del padre

lunedì 21 settembre 2015


Dal Paese che c’è di renzia.dinca Monticchiello (Siena) Domanda retorica: per scrivere e descrivere uno spazio|tempo di immobile secolare bellezza e di fronte alle parole sensibili dei suoi abitanti-quelle della fenomenologia del Teatro Povero (50anni nel 2016) oltreché assistere allo spettacolo in piazza, occorre partire a riflettere sulla location o semplicemente ascoltare le voci delle persone che quel luogo lo hanno abitato e lo abitano? Di fatto Monticchiello è un luogo di straordinaria bellezza della Val d’Orcia, dalla parte senese del Monte Amiata: un piccolissimo borgo di poche anime ed oggi come da tempo, in via di disabitazione a causa di mancanza di lavoro e di crollo delle nascite, che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso viveva di mezzadria. Oggi i più fortunati sono passati, in pochi, alla realizzazione e conduzione di B&B e agriturismi. La zona è dagli anni Novanta Patrimonio universale dell’Umanità. Ne scrivono e descrivono soprattutto gli stranieri, magari sulle mappe dei tour internazionali, specie gli inglesi (forse anche per via della forte loro presenza nel vicino Chianti shire, magari sulla scia di Sting) e i fiorentini, appunto, che qui hanno avuto casa-vedi Mario Luzi che da Firenze si trasferiva nella rinascimentale cara agli storici dell’arte Pienza, a pochi chilometri di distanza da Monticchiello, per trascorrervi le estati sulle crette, insieme ad alcuni stretti amici poeti, fino a diventarne cittadino onorario. A Monticchiello esiste una forma pluridecennale di resistenza che non è più quella partigiana (per fortuna), che qui il Nemico è insidioso, non si appalesa se non per piccoli o macro indizi quasi sempre politici – affaristici ( lo Stato nelle sue svariate forme) ed è resistenza sotto forma di rappresentazione storicizzata da quasi cinquant’anni di tradizione teatrale. Lo spunto dell’autodramma (definizione di Strehler) di questa edizione numero 49: Il Paese che manca, è la chiusura dell’unico ufficio postale ed il compleanno dell’ultimo ventenne del posto-ma dietro le quinte e nella ideazione del regista e autore genius loci Andrea Cresti, c’è quella di un popolo sanguigno d’origini contadine orgogliose e prima sottoposte a latifondismo che, caparbio, e con fortissimo senso di appartenenza antropologica alla propria terra, ha creato una forma unica di teatro in Italia dove le “piccole” urgenze paesane sono diventate consustanziali ai cambiamenti del Paese e sussidiarie con i bisogni della comunità. Ne abbiamo parlato con Giampietro Giglioni, giovane antropologo (anche autore)che ci ha introdotto alla realtà montichiellese dove in un gomitolo di pochi metri di spazio si trovano: piazza con bella chiesa gotico-rinascimentale, straordinario interno ristrutturato ad hoc con funzioni di punto di incontro essenziali per la piccola comunità come: biblioteca dotata di accesso internet, museo della storia del Teatro Popolare (Teatro Povero è definizione data da Grotowski) in cui si converte in via sostitutiva la funzione amministrativa di un luogo dove arrivano i farmaci per gli anziani che non hanno occasione di spostarsi ai più vicini centri per comprarsi medicinali, insomma anche un po’ emporio assai strutturato e funzionale che sostituisce mansioni in cui lo Stato è assente (con un ristorante attivo tutto l’anno). Sembra davvero di essere entrati in un luogo dove solidarietà e fede per l’identità collettiva non è platonica utopia magari un po’ vetero-comunista, ma realtà vissuta sulla pelle. Del resto le radici sono solidissime: lo spiega il presidente della cooperativa che gestisce lo spazio Luchino Grappi ricordando :“Quel 6 aprile del 44 in cui la signora Irma Angheben riuscì a convincere i tedeschi in ritirata a non ammazzare i civili già schierati per la fucilazione proprio sotto le mura medievali del borgo”. La dimensione del “collettivo” si avverte anche parlando con una memoria storica, la signora Gabriella Della Lena che fin dal 1957, lei appena adolescente, si unì al gruppo come attrice in quello che fu poi individuato come realtà nazionale unica del Teatro Povero di Monticchiello. “Eravamo abbandonati dalle istituzioni politiche- dice. Non ci conosceva nessuno. Anche allora le campagne erano spopolate nella Val d’Orcia. Già nei primi esperimenti c’era Andrea Cresti. L’idea nacque da diverse persone fra cui Aldo Nisi ed il prete don Vasco Neri. Ci partecipava l’intero paese. Poi Mario Guidotti , giornalista capo ufficio stampa alla Camera dei Deputati. Avevamo spettatori come Zeffirelli, Ghigo de Chiara, Nico Garrone”. Pur sotto tale osservatorio critico, nessun abitante si è mai montato la testa. La signora Della Lena ha lavorato proprio alle Poste italiane come impiegata e nella edizione del Paese che manca, è la nonna del ragazzo per cui la comunità festeggia l’evento. E così assistiamo in piazza all’autodramma che quest’anno tratta di problemi inter-generazionali di una società arcaica ma che guarda al futuro e ne è strettamente connessa. Dove i cavi della banda larga e wi-fi si mescolano coi quotidiani regimi domestici in cui le donne ancora impastano a mano farina e uova per fare una torta di compleanno per il nipote. In scena abbiamo visto una famiglia, allargata, dove una nonna fa la pasta in diretta, due genitori un po’ demoralizzati riguardo ai temi che corrono- disoccupazione giovanile- un po’ litigano, mentre il ragazzo che deve essere festeggiato sta per andarsene. Gli amici vanno al compleanno dotati di smart phone. Non si sa con chi parlino. Solo un ragazzo invitato- di colore- parla a qualcuno nella sua lingua di africano. I dialoghi nascono da improvvisazioni o meglio da riunioni che almeno sei mesi prima si accendono nel borgo montichiellese. E’ così da ben 50 anni. Gli incontri sono in un primo tempo allargati all’intera comunità, su temi di interesse prioritario comune, poi snelliti e reinterpretati per lo spettacolo dal regista e autori per andare in scena per ben 22 repliche, una gran fatica nel pieno della ferragostana – ci dice Andrea Cresti. Sullo sfondo del soggetto drammaturgico in cui si delineano tre quadri scenografici, compare una figura misteriosa e fantasmatica, quella del Giocattolaio. Figura-ombra, un perturbante che svolta o prova a spostare altrove sguardi e inconsci del realismo ben poco magico a cui assistiamo in scena. E forse le soluzioni per uscire dalla crisi della comunità- paese stanno proprio là, nel reinventarsi percorsi altri di invenzione del futuro. Mentre una personalità come il professor Asor Rosa presente alla prima, che non molti anni fa si interessò ad un lavoro del Teatro Povero in cui l’intera comunità si scagliò contro un eco-mostro che stava per crescere come un cancro nello splendore delle crette saluta e si complimenta con il Maestro Cresti. Il Cinquantenario è alle porte e dovrebbe andare celebrato, anche dalle istituzioni nazionali, come questa realtà merita: con amore e grande cura, quella che mettono i cittadini montichiellesi a tener salda la propria identità culturale anche attraverso la tradizione del Teatro Povero. Il Paese che manca -49 esima edizione Regia di Andrea Cresti con gli attori-abitanti Monticchiello, Visto il 25 luglio 2015