domenica 24 aprile 2016


In questo post ho raccolto la lezione che ho tenuto al Collegio Superiore dell’Università di Bologna, il 21 aprile 2016. Gentili e cari amici, innanzitutto un sincero ringraziamento va agli organizzatori di questo incontro, per avermi voluto invitare a parlare di un argomento che tanto mi sta a cuore quale quello della cultura come mezzo di rilancio economico, ma soprattutto civile e sociale, per il nostro Paese. Affrontare questo tema all’interno di un istituto di formazione d’eccellenza quale il Collegio Superiore dell’Università di Bologna è un’occasione che mi pare davvero proficua, specie per i ragazzi che si stanno formando per divenire i futuri operatori del settore. Ho più volte sottolineato, in altre occasioni, come l’investimento nella cultura rappresenti per l’Italia un’occasione unica, quella di coniugare alla tutela e alla valorizzazione del suo patrimonio culturale, che costituisce a tutti gli effetti la sua più grande ricchezza, la possibilità di attivare una crescita economica virtuosa e sostenibile: il nostro è il Paese della Bellezza, e la bellezza è un alleato prezioso per contrastare il degrado ambientale e per favorire la coesione locale, l’inclusione sociale e lo sviluppo dei territori, trasmettendo alle nuove generazioni quanto ci è stato tramandato dal passato. Spesso, infatti, quando si parla di cultura come volano di rilancio per il nostro Paese, esagerandone a volte la sua funzione di nuovo ‘petrolio’, si tende a porre in secondo piano il valore morale e civile che soggiace all’investimento in questo settore. Io credo, invece, che sia un vero e proprio dovere quello di custodire e tramandare alle generazioni future l’immensa ricchezza che abbiamo ricevuto in retaggio dai nostri predecessori; ed è un dovere che non riguarda soltanto gli addetti ai lavori – le soprintendenze, i musei, le biblioteche –, ma piuttosto riguarda ognuno di noi. Ogni cittadino è responsabile per gli spazi pubblici, i monumenti, l’integrità ambientale del luogo in cui vive, e ognuno dovrebbe saper attivare buone pratiche che ne favoriscano la tutela. Già diversi sono gli esempi, più o meno noti, di quanto l’iniziativa dei cittadini, in un’ottica di impegno comunitario e no profit, possa giovare al nostro patrimonio culturale: uno fra tutti, che non rinuncio mai a menzionare per l’importanza che esso riveste a mio avviso nel difficile e spesso drammatico contesto sociale della Terra dei Fuochi, è il recupero della Reggia di Carditello, acquisita dallo Stato grazie all’interessamento di una rete di cittadini che non si è mai arresa al secolare degrado dello splendido sito reale borbonico, che si avvia a divenire un vero e proprio presidio istituzionale in un territorio tanto compromesso quanto ricco di risorse umane. Ma sono tantissime le iniziative che fioriscono quotidianamente, su tutto il territorio nazionale, con lo scopo di curare gli spazi pubblici; tantissime le associazioni che si occupano di promozione sociale, eventi, luoghi di cultura; e sono anche numerosi, ormai, sul web, gli strumenti nati con l’intento di condividere e promuovere questa varietà di esperienze, superando le distanze materiali e mettendo in comune conoscenze e, appunto, buone pratiche. La piattaforma multimediale #laculturachevince è una di questi, ed è votata a raccogliere e recensire proprio le buone pratiche di chi è impegnato nel mondo della cultura: si tratta di un portale wiki, incrementato da tutti coloro che partecipano al progetto e da un team ‘redazionale’ incaricato di coordinare i materiali che vanno ad arricchire quotidianamente il database, la cui consultazione fornisce un ulteriore riscontro sulle straordinarie opportunità di crescita economica e civile offerte dall’iniziativa in ambito culturale nel nostro Paese. Sono convinto che strumenti di questo tipo possano garantire ulteriore visibilità e favorire lo scambio di competenze e strategie tra coloro che operano nel campo della promozione del patrimonio culturale, ad ogni livello. Esiste davvero un’energia positiva che attraversa il nostro paese, costituita dalle tantissime persone che si prendono cura dei beni culturali, creano progetti e diffondono cultura. È un’energia che va oltre la “cultura” e che pervade il nostro modo di essere, richiedendo nuove forme di partecipazione alla vita pubblica e risposte alle domande esistenziali di ognuno di noi. Questa energia rimane il più delle volte nascosta e inascoltata: dobbiamo allora farla emergere per il bene del nostro paese perché con la cultura si vive, si migliora, si agisce, si vince. La cultura conta, appartiene a tutti, non fa paura, non è alta, ma implica valori. A giudicare dal numero di imprese e progetti culturali che quotidianamente fioriscono in tutta la Penisola, è evidente che, almeno tra gli operatori del settore, regna l’accordo sul fatto che con la cultura si può vivere perché la cultura dà lavoro. Sono, semmai, le istituzioni e la classe politica che spesso non riescono a comprendere appieno le potenzialità offerte dall’investimento in questo ambito. Deve essere chiaro, invece, che l’attività culturale favorisce la presenza istituzionale, aumenta la sicurezza e rende i cittadini più consapevoli delle ricchezze del loro territorio e più disponibili ad attivarsi in prima persona per tutelarle, oltre ad incrementare i flussi turistici, l’occupazione, l’integrazione e l’interesse verso i beni comuni. Ma il rilancio del settore culturale e turistico passa anche dall’individuazione di figure professionali specifiche, che siano in grado di mettere in campo approcci innovativi e funzionali che contribuiscano a riorganizzare la gestione del patrimonio culturale riducendo gli sprechi, lavorando sulle criticità e incrementando la comunicazione e i canali informativi, specie grazie alle possibilità offerte dai nuovi media. Sono diversi i profili che il mercato richiede al momento: si tratta nella maggior parte dei casi di professioni parzialmente nuove, o che comunque necessitano di un’impostazione differente rispetto a quella tradizionalmente attuata nel mondo della cultura, che spesso adottava linguaggi elitari e non riusciva ad aprirsi al grande pubblico, lasciando la fruizione del patrimonio e degli eventi ai cittadini di livello culturale più elevato. L’avvento dei social network e del web 2.0 ci permette di ripensare la comunicazione dei contenuti culturali, a patto che alla rapidità e semplicità di trasmissione delle informazioni si affianchi il necessario approfondimento, il livello qualitativo che permetta il mantenimento di un’offerta culturale di alto profilo, quella che ha sempre caratterizzato gli operatori del settore italiani anche grazie a una formazione d’eccellenza. Attualmente il percorso di studi di un manager culturale non è ben definito, e il suo stesso iter professionale possiede ancora caratteristiche in gran parte connesse alle esperienze individuali. Tuttavia, diversi atenei del nostro Paese hanno saputo adeguarsi rapidamente a questi mutamenti ed hanno avviato percorsi formativi ad hoc per la preparazione di nuovi esperti nel mondo del cultural management, soprattutto attraverso l’organizzazione di master di primo o di secondo livello rivolti ai laureati in materie umanistiche, per fornire loro gli strumenti per incrementare le proprie attitudini gestionali e competenze tecnico-organizzative. Sembra, dunque, che l’alta formazione italiana stia iniziando ad adeguarsi all’approccio di altre nazioni europee in fatto di cultura: la stretta integrazione tra curricula umanistici e tecnici, impensabile fino a pochi anni fa, sta diventando rapidamente una realtà diffusa. Un caso esemplare è quello del rapporto tra informatica e discipline umanistiche, spesso considerato secondario nelle facoltà scientifiche come in quelle letterarie fino a non molto tempo fa, e che sta rapidamente acquistando un ruolo di primo piano nella formazione universitaria e post-universitaria. La causa è a mio avviso da rintracciarsi in una radicale ridefinizione della dicotomia tra materie letterarie e materie scientifiche, ridefinizione che sta avvenendo proprio in questo momento, e che dunque non è facile ancora analizzare e comprendere appieno. È chiaro, tuttavia, che discipline scientifiche e humanities saranno sempre meno contrapposte e anzi andranno sempre più intrecciandosi in un futuro che ci prospetta lo sviluppo sempre maggiore di una società della conoscenza. A chiunque operi nel settore della cultura è ormai nota la necessità di familiarizzarsi con linguaggi, contenitori e mezzi di comunicazione sempre più avanzati, che presuppongono conoscenze sempre più tecniche e specifiche. I numerosissimi blogger freelance che si occupano di informazione culturale, i social media manager delle più varie istituzioni culturali, gli editori digitali, i numerosi altri profili professionali emergenti dalla rivoluzione digitale in atto: tutti sono venuti in contatto, solo per fare alcuni esempi, con la marcatura SEO, con gli hashtags, i metadati, tutto ciò che consente di comunicare cultura attraverso il web 2.0. E, d’altronde, la comunicazione della cultura sta assumendo un ruolo sempre più importante all’interno del mondo digitale. Quella del manager culturale si configura dunque come una figura professionale ibrida, che deve saper coniugare alle conoscenze in campo culturale anche gli aspetti di natura finanziaria, economica, organizzativa, giuridica e di marketing, e saper assumere, accanto alla funzione conservativa del patrimonio, anche un approccio divulgativo e volto alla valorizzazione dello stesso. Anche il suo statuto legale è tuttora incerto, tanto che recentemente è stata fondata l’Associazione Nazionale Manager Culturali, che si prefigge proprio di ottenere il riconoscimento giuridico-legislativo della figura del manager culturale e l’affermazione del suo ruolo professionale. Diverse sono le declinazioni che può trovare la professione del cultural manager: agli allestitori di mostre ed eventi si affiancano le società specializzate in servizi editoriali, i lavoratori del cinema, della musica e delle arti performative, i privati e gli enti no profit che partecipano ai bandi pubblici per la gestione di monumenti, musei, biblioteche, nonché le associazioni e i comitati che si occupano della preservazione e della divulgazione di un patrimonio altrettanto ricco e importante, quello immateriale delle tradizioni, degli usi, dei saperi popolari, insomma del complesso di pratiche di tipo folklorico, artigianale, enogastronomico che il nuovo interesse verso la green economy e la naturalità delle filiere produttive sta gradualmente riportando in auge. È necessario, in definitiva, che il manager culturale conosca i fattori determinanti delle politiche culturali, la legislazione nazionale e comunitaria che regola il campo culturale, le normative contrattuali, le tecniche di marketing, e che sia in grado di sviluppare progetti anche a medio e lungo termine, avvalendosi, oltre che dei canali tradizionali, delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il mercato del lavoro è certamente pronto ad assorbire questo nuovo tipo di professionalità, di cui si sente anzi la crescente necessità: alle istituzioni spetta invece il compito di comprendere le reali potenzialità di questo settore, uscendo dall’ottica ormai superata per cui il mantenimento del patrimonio culturale si riduceva a un gravoso onere e non ci sarebbe mai stata possibilità, in questo campo, di pareggiare i conti tra spesa e ricavi. Ma per superare questo pregiudizio occorre inaugurare una nuova strategia che contempli, accanto a una gestione più efficace dello sterminato patrimonio artistico, archeologico, paesaggistico di cui disponiamo, anche l’attivazione di politiche in favore dell’iniziativa in campo culturale e creativo; ciò potrebbe rappresentare l’occasione per un rilancio dell’economia e insieme una spinta per il cambiamento politico, sociale e culturale del Paese. Peppino Impastato disse che “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”; questo mi sembra il miglior manifesto di una società che voglia fare della bellezza non solo e non tanto una nuova industria da sfruttare indiscriminatamente, quanto un veicolo di crescita civile, per una comunità più consapevole, equa, solidale e inclusiva verso tutti i cittadini. Nel concludere, vorrei davvero augurare a tutti voi di riuscire a guardare al futuro del Paese con una prospettiva condivisa, che ridia speranza e costruisca una società migliore, più solidale e aperta per i nostri figli e le generazioni future. Dobbiamo lavorare insieme per cambiare l’Italia e dare ai nostri figli la speranza di avere un futuro migliore. Massimo Bray Categorie diario Tags:bologna, collegio superiore bologna 0 comments

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