mercoledì 2 maggio 2018


renzia.dinca





Pontedera ( Pisa)

Questa è una storia di vite intrecciate in labirintiche alchimie. Che hanno fatto un pezzo importante di Storia del Teatro italiano ed internazionale. Vite vissute, intense, di passione estro determinazione e un po' di sagace follia. E' la storia di una coppia, nella vita e in scena: Giovanna Daddi e Dario Marconcini, figure storiche del Teatro toscano e nazionale. Ma è anche un affresco collettivo di un territorio e di un'epoca: il territorio è quello di Pisa e della sua provincia che confina ad est con quella empolese e prima ancora nel tempo, fiorentina. E di una stagione quella post Sessantotto, che nella città della Torre pendente ha avuto esiti di forte segno culturale politico e sociale tanto quanto il Sessantotto a Parigi, a Roma, quello tedesco e quello californiano. Ispirati dal Living Theatre di Julien Beck e Judith Malina per poi passare al sodalizio con l'Odin Teatret di Eugenio Barba e la residenza internazionale di Jerzi Grotowski (che ha partorito l'esperienza attuale di Mario Biagini e Thomas Richards), Daddi e Marconcini sono stati coppia del gruppo fondatore del Teatro di Pontedera poi CSRT (Centro di sperimentazione e ricerca teatrale) e ad oggi confluito nel Teatro Nazionale della Toscana con il Teatro della Pergola di Firenze. Con loro altri giovani fra cui Roberto Bacci e Carla Pollastrelli. La coppia si è poi staccata dal gruppo pontederese per dirigere il Teatro di Buti, un teatro all’italiana scrigno di stucchi e velluti sulle colline fra Pisa e Lucca dove hanno creato uno dei centri di produzione e ricerca teatrali fra più interessanti del nostro Paese. A Buti hanno accolto e prodotto una lunga stagione di spettacoli da Pinter a Beckett a Peter Handke e ospitato un artista come Jean Marie Straub.
Nel nuovo lavoro di Roberto Bacci, da sempre direttore artistico della esperienza pontederese che qui si relaziona in multipli ruoli: regia, co-drammaturgia, scenografia e costumistica nonché ideazione del progetto (in Prima nazionale all'interno delle produzioni del Teatro della Toscana), molteplici sono i segni sia nella tradizione che nel tentativo di nuovo. In scena la coppia, con quattro attori, si cimenta in un non facile filo narrativo in cui entrano pezzi di vissuto della scena e della vita, sessant’anni di storie intime e pubbliche: un caleidoscopio di parole immagini suoni emozioni azioni, uno zoom fra il privatissimo delicato rapporto a due dentro le mura domestiche fatto di memorie, carezze, viaggi, cartoline, progetti, oggetti feticcio e il fuori che è quello della scena praticata per un’intera vita, quella del palco. In Quasi una vita, però, non c’è traccia di facile biografismo ma una quintessenza di sapori umori schegge di autentica poesia. Al centro della scena c’è una porta con doppia apertura. Se si apre da una parte si chiude dall’altra. A scena aperta Giovanna è seduta su una panchina accanto a Dario mentre l’incipit del discorso drammaturgico si apre con una frase che sembra una didascalia: c'era una volta una ragazza… Ma niente è di troppo in questo lavoro che dà attribuzione di segno e significato ad una coppia che ha letteralmente cambiato e rinnovato il senso e l’obiettivo dell’attuale Teatro toscano e nazionale
La scena passa direttamente alle parole di Pinter, uelle di una micropiece- Night (di recente rivisitata anche da Binasco in Night bar), un autore amatissimo da Giovanna e Dario, proposto proprio nelle sue drammaturgie più scarne e proprio per questo graffianti al Teatro di Buti, in cui una coppia rimemora il loro primo incontro erotico. La narrazione della donna e dell’uomo, non combaciano. Perché così è la memoria. Così l’eros. Così è la differenza fra il femminile ed il maschile nel corpo e nella psiche. Non per caso si parte da Pinter, questo Pinter in particolare, per poi trapassare ad un altro cavallo di battaglia della storia delle scelte artistiche che hanno fatto la macrostoria delle stagioni butesi, questa volta caro a Dario, il Faust di e da Goethe. I quattro attori- fra cui Silvia Pasello in abiti cechoviani (Silvia in conferenza stampa ha dichiarato: per me Giovanna e Dario sono il mio modo di pensare il Teatro), come gli altri, eleganti da messinscena di Giardino dei ciliegi tuttavia diafani quasi fantasmi, hanno funzione di appoggio rispetto alle azioni della coppia. E’ come se sostenessero i due attori e sposi ad affrontare i diversi temi in ballo: l’amore, la malattia, il viaggio, i ricordi, il senso dell’esistenza nella vita quotidiana e nel lavoro del palcoscenico nelle domande dai sapori shakespeariani: cos’è la vita?, cos’è l’attore? fino al tema heideggeriano per eccellenza: il senso della vita come specchio dell’unica possibilità per cui tutte le altre sono rese possibili, il tema della Morte, che sottende il focus dominante dell’intera pièce, che non a caso ha per sottotitolo Scene dal Chissàdove. Si perché per tutto il lavoro l’impressione è quella di assistere ad un pensiero che sta come sospeso fra il sonno e la veglia, in uno spazio ipnagogico fluttuante come ben illustra quella porta che si apre e si chiude su se stessa imprigionando corpi e pensieri dentro universi paralleli, dentro leggi fisiche dove vita e coscienza si sfiorano in luoghi tra l’onirico ed il metafisico. Via via che si snoda il plot narrativo il focus si allarga in una scena dove Dario è disegnato sul volto da un ragazzo (Tazio Torrini, prima diavoletto nella scena del Faust) con la biacca: e lo trasforma in una maschera da triste clown o forse in un malato terminale faccia a faccia col trapasso. Il finale si chiude ad anello. I diversi passaggi dove i temi sono il timbro che segna questo bel lavoro che è messinscena teatrale ed anche doveroso omaggio alla coppia, sono ben collegati fra loro come pensati da cesello dentro un flusso di coscienza individuale e relazionale.
Niente è di troppo in questo lavoro per la scena che dà attribuzione di segno e significato ad una coppia che ha letteralmente cambiato e rinnovato il senso e gli obiettivi artistici di un pezzo importante di storia del teatro di un territorio che molto ha dato al Teatro di ricerca nazionale e internazionale fino al contributo più recente, quello all’attuale Teatro toscano e nazionale.

QUASI UNA VITA- Scene dal Chissàdove

drammaturgia Stefano Geraci e Roberto Bacci

regia scene e costumi Roberto Bacci

con Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini

interventi sonori a cura di Ares Tavolazzi

luci Valeria Foti

Produzione Teatro della Toscana Teatro Nazionale

PRIMA NAZIONALE

visto a Pontedera il 16 Aprile 2018


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