venerdì 24 marzo 2017


Il Nullafacente renzia.dinca Pontedera (Pisa) Una tessitura testuale e di scena che si intreccia e regala un lavoro di struggente riflessiva malinconia per i temi trattati-la fine vita, il dolore dentro la coppia in cui uno dei due sta per andarsene perché muore precocemente, il frastuono del mondo dentro e fuori di chi traffica, magari anche senza dolo, sulla vicenda di un dramma privatissimo dei due protagonisti. Il tutto trattato con levità, delicatezza e rispetto non serioso né retorico né scolastico. La vicenda così universale, pone questioni urticanti di scrittura e di trattamento risolto in modalità stoicheggiante tirata al limite del paradosso ma anche molto moderna come accade a temi filosofici classici rivisitati e riesce a strappare sorrisi e anche qualche secca risata. E’ Michele Santeramo l’autore di questa coinvolgente e a tratti annichilente pièce, anche attore in scena. L’altra, la compagna a fine vita, è una dolente Silvia Pasello, attrice storica dell’ex Centro di Ricerca e Sperimentazione Teatrale in una prova che segue il Lear sempre diretta da Bacci dello scorso anno. Il tutto in prima nazionale si svolge dentro la sala Cieslak di sessanta posti al Teatro Era-Centro Grotowsk nella Stagione del Teatro della Toscana. L’idea-come ci dice Roberto Bacci regista dello spettacolo, nasce ben cinque anni fa dopo la collaborazione con Santeramo per il nostro lavoro Alla luce. E’ stato discusso fra noi per due anni e mezzo. Avrei voluto come attore principale Savino Paparella ma non è stato possibile averlo per motivi tecnici. Quindi Michele Santeramo ha accettato la mia proposta di essere anche in scena. L’avvio del dramma può lasciare sconcertati. La coppia, senza figli, composta da un uomo ( il marito), una donna ( la moglie gravemente malata e senza rimedio) in un interno che non è casa, due sedie un tavolo. Però con altre tre sedie affacciate sul loro spazio interno: quella del medico di famiglia, del fratello di lei e del proprietario della casa dei due infelici coniugi; i tre personaggi che entrano ed escono di scena a modo loro ed in modalità relative alle proprie individuali necessità umane e molto utilitaristiche e/o semplicemente istanze di ruolo sociale ( vedi medico e fratello). Al centro la tragedia della coppia. Lo snodo che è il focus sulla malattia terminale della donna, in realtà fa esplodere le reazioni dei personaggi che ruotano attorno al suo destino di vittima. Il marito, anzitutto il coprotagonista, sceglie sorprendentemente, non un ruolo di resilienza, di resistenza o di semplice accudimento. Lui non fa nulla. Lui smette di vivere, a sua volta. L’unico riflesso rispetto al dramma alla Depardieu un po’ Mon oncle d’Amérique ma in altra modalità totale extravagante di scelta di funzionalità esistenziale è quello di smettere di vivere, a sua volta. Sceglie cioè di stare accanto alla donna, la sua donna senza fare niente perché niente vale, forse e solo il suo esserci. Perché perde di senso anche il lavorare, il comprare, mangiare, un po’ anche la sua stessa presenza. Quasi un vissuto al negativo ma complice, forse, del suo stesso senso di colpa per sopravviverle. Una co-esistenza stanca, rassegnata dell’ineluttabilità della morte, come quella della fatigue a cui assistiamo scritta in scena sul corpo della sventurata compagna. La parola chiave che registra il tono dei dialoghi a volte al limite del surreale fra i due è : perché? I perché della donna malata , i perché del compagno, una non- esistenza la sua dell’uomo, assorta, nel suo poetico tentativo di rendere e restituire forma e vita al bonsai a cui rende le sue piccole cure. Perché per il marito tanto in quegli ultimi mesi e giorni ore conta la presenza, l’esserci. Accanto a lei. C’è come un rumore assordante di fondo una sorta di basso continuo in tutta la pièce. Ad un certo punto gli spettatori della vicenda privatissima: medico, fratello, proprietario di casa, spostano il loro campo d’azione. Dal volgere lo sguardo assistendo da spettatori fra spettatori quali siamo al dramma interno della coppia dove vorrebbero anche loro esser-ci , provando a cambiare qualcosa- soprattutto a interesse loro, ad un certo punto dello sviluppo del plot narrativo voltano loro le spalle. Restano sempre dentro lo spazio scenico, ma escono dalla comprensione-interazione al dramma. La scrittura chirurgica di Santeramo narra con esaustiva crudeltà essenziale il dramma interiore privatissimo di una coppia in un estremo atto di addio. E lui, Il Nullafacente che potrebbe sembrare un asettico a tratti cinico spettatore del dramma della sua compagna e delle loro vite ne è in realtà un amorevole testimone. Solo, come tutti davanti alla tragedia di una vita che si spezza. Spezzando a sua volta, necessariamente, la propria. Un atto di pietas portato alle conseguenze estreme perché il dolore e l’affrontarlo guardando in faccia la morte è un diritto civile, una scelta individuale. In un momento in cui la cronaca tratta con sempre più insistenza ed urgenza i temi dell’eutanasia e del testamento biologico, Il Nullafacente è una prova d’autore che pone molte riflessioni. Prima nazionale Fondazione Teatro della Toscana di Michele Santeramo con Michele Cipriani, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini musiche Ares Tavolazzi immagine Cristina Gardumi regia e spazio scenico Roberto Bacci Visto a Pontedera ( Teatro Era) , il 12 marzo 2017

Nessun commento:

Posta un commento