giovedì 2 febbraio 2017


I passi ultimi: un cabaret danzante sull’orlo della fine su RUMORSCENA renzia.dinca Pontedera (Pisa). Quel sapore di balera molto retrò, quegli anni Cinquanta-Sessanta, nostalgici ricordi di nonni e genitori che non ci sono più e sono comunque stati, sono la memoria storica di altre generazioni, quelle venute dopo, con la Febbre del sabato sera di John Travolta, dei Bee Gees, di Thanks god it’s Friday. Riproporre quei suoni, quelle atmosfere da parte di Teatro delle Briciole, sa di operazione di recupero o di rottamazione? ché ancora a qualcuno viene in mente coll‘aiuto di reminescenze arcaiche o sinapsi metafisiche un’orchestra-spettacolo allora nota al grande pubblico come la Casadei, quella della “mazurca di periferia scaccia pensieri tanta allegria, metti la quarta e vieni con me?”. Eppure quella fenomenologia pop, romagnola del ballo liscio, modello costa adriatica per famiglie non degna di studi antropologici universitari magari alla Umberto Eco ma tanto cara alle orecchie e alle saghe domestiche di migliaia di danzatori improvvisati e non, ha fatto la storia del popolo italiano di nonni bisnonni e genitori. Quella della balera era la preistoria del luogo di socializzazione delle fasce sociali contadina operaia e piccolo borghese, che ha ricostruito l’Italia nel dopoguerra, divertendosi in modalità semplice, frugale, quella della TV bianco e nero di Mike Bongiorno del Rischiatutto (e non a caso in riedizione Fabio Fazio), di Non ho l’età e del falsetto di Anima mia torna a casa tua (in seguito affidata anni Ottanta Novanta alle cure per attività da divano familistiche dei berluscones Mediaset). Ingenua, allegra. Bei tempi. Si fa per dire: il Teatro delle Briciole, storico gruppo parmense, ripropone con ironia e un po’ di sberleffo quel clima da balera dove l’interazione col pubblico o meglio quello che era il rapporto col pubblico, potrebbe apparire in prima istanza gioioso, da cena di classe di ex liceali oggi ultra sessantenni. Invece tutto crolla in questa serata magari affittata in una sala triste, di bicchierate di vino bianco, di fotografi improvvisati, di luci al neon appese a festoni da circo che vanno bene per capodanno carnevale compleanni cresime e seconde nozze (forse coi fichi secch). Mentre è il tema della Morte che si annuncia fra uno stacchetto e l’altro, magari occasione per riffe a prezzo stracciato di piccole cose di pessimo gusto, oggetti di svendita di case e vite in disfacimento. Lo spettacolo continua con l’ombra della fine: cosa accadrà a fine spettacolo? la fine del mondo? le danze in cui ad un certo punto non sono più neanche coinvolti gli spettatori-che fin dall’ingresso in sala vengono travolti a coppie nelle danze, perché non c’è più niente da festeggiare ma qualcuno prova o ci prova a rappresentare la morte quella finta, in scena, una in particolare quella di Desdemona che strappa qualche risata allo spettatore-attore, che così le parti si rovesciano o almeno ci si prova a rimetterle in gioco, le vite, le possibili morti di donne a cominciare da Desdemona; così come l’annunciato fallimento del capo-balera e capocomico venditore di sòle – ricordate le gite fuori porta con vendita di pentole?, il capocomico Savino Paparella, neanche in grado di pagare il dj che si limita a mettere la base sonora. E sono bravi Elisa Cuppini e Paparella i due imbonitori-danzatori coppia circense, a raccontarcela questa vita, che come cantava un dì la Berté è: vita balera. Sempre appesa al filo della fine. Un lavoro I passi ultimi che è metafora di vite tempi e insieme anche della società dello spettacolo italiana, quella attuale. Un lavoro che tange una visione esistenzialista delle parole e delle cose. Ma ci si alza un po’ alleggeriti, noi spettatori, certo non scherzosi uscendo dalla sala Thierry Salmon del Teatro Era di Pontedera? Forse un po’, magari pensando che le cose belle non ritornano, vanno vissute hic et nunc. E così era e, forse, è. Oppure no. E comunque perché: questa è la vita, bellezza.

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