venerdì 20 novembre 2015
venerdì 13 novembre 2015
Pontedera – Lari (Pisa)
Dentro una cornice toscanissima-un poderoso castello medievale che dall’alto si affaccia su una campagna d’ulivi e terrazze da un lato e dall’altro colline e monti che sfiorano il confine con il territorio della lucchesia, dentro il festival Collinarea diretto da Loris Seghizzi, abbiamo visto in edizione estiva dopo il debutto pontederese, questo lavoro di Michele Santeramo che sarà in replica a novembre a Pontedera al Teatro Era, nella stagione della Fondazione Teatro della Toscana e poi a Cascina alla Città del Teatro a gennaio, in una collaborazione artistica per le nuove drammaturgie.
Un lavoro delicato ed insolito–pluripremiato di recente non a caso a livello nazionale dalla critica più attenta-dove si reinventano spazi e tempi che guardano altrove e lontano ma anche dentro un futuro pensabile con gli strumenti dell’hic et nunc. L’ideazione viene dallo stesso attore e regista e da Luca Dini, anche dirigente del nuovo Teatro Nazionale della Toscana. Che così è la narrazione- minimalista, come lo spazio dove Santeramo legge la sua partitura – e qui sta il concept – con accanto un video su cui sono proiettate immagini che corredano con sottotitoli ma anche commentano a scandire e/o interrompere la narrazione interagendo in modo originalissimo ciò che andremo a vedere. Il plot è quanto di più essenziale si possa immaginare: la storia di una ragazza ed un ragazzo Viola e Massimo, trentenni che non sarebbero dovuti nascere. Entrambi rifiutati- quantomeno psicologicamente – il che non è affatto poco, dai propri genitori biologici. E che sarà di quei due? delle loro vite insieme come coppia, per ben sessant’anni di convivenza e fra il 2015 ed il 2065? ce lo raccontano nel lungo tempo di ben cinquant’anni le parole di Michele Santeramo che dà voce ad entrambi i personaggi assecondato e insieme stimolato dai quadri delle straordinarie tavole disegnate da Cristina Gardumi. L’esperimento, che di questo si tratta, vede infatti l’attore davanti ad un leggio e microfonato mentre si interfaccia con le silhouettes di Viola e Massimo proiettate su maxi schermo dai disegni originali della Gardumi, che si sta rivelando creatrice raffinata e riconoscibile per un’ironica graffiante galleria di personaggi da bestiario medievale antropomorfo. Legati per la vita dalla stessa fune (o catena) ciascuno dando le spalle all’altro|a nel vano tentativo di fuggire- ma che si può fuggire al destino il proprio e quello che unisce, ha unito e unirà per un’intera esistenza Viola e Massimo? Disincantato eppure tenero, esistenzialista il lavoro di Santeramo/Gardumi passa attraverso quadri da un decennio all’altro della coppia un po’ intimistici un po’ sociologici gli scenari futuribili dei due trentenni. Si va dalla disoccupazione al precariato all’inventarsi lavori, dalla possibilità di diventare genitori alle difficoltà relative- siamo gente del secolo scorso, dalle App di realtà virtuale alle memorie al rimpianto, alle macchine della verità, dall’odore del tradimento al clistere di notizie, alle barrette sostitutive dei pasti, dai soldi sostituiti dal sangue, dentro il leit motiv di una rivoluzione mancata che la coppia non ha saputo o voluto intraprendere dentro il proprio tinello e fuori se stessa se è vero che il privato è politico e fino alla fine, dissanguati, nel proprio torpore di settantenni.
La prossima stagione
di e con Michele Santeramo da un‘idea di Michele Santeramo e Luca Dini
Immagini Cristina Gardumi
Musiche di Sergio Altamura Giorgio Vendola Marcello Zinni
Produzione Fondazione Teatro della Toscana
Centro per la Sperimentazione e la Ricerca teatrale –Pontedera
Visto a Lari Collinarea festival, 31 luglio 2015
In replica a Pontedera dal 13 al15 novembre e 12-13 dicembre
domenica 8 novembre 2015
venerdì 6 novembre 2015

Posted by renzia.dinca
Pisa
Spettacolo vincitore nella recente edizione estiva ai Teatri del Sacro di Lucca, approda nell’ambito della rassegna Teatri di Confine Pisa|Buti 2015 il De Revolutionibus-sulla miseria del genere umano di Carullo e Minasi.
Una coppia di giovani artisti assai coraggiosi che si misurano nientepopodimeno che con alcuni testi del “Giovane meraviglioso “, quel Giacomo Leopardi ritratto pochi mesi or sono per il grande schermo dal regista Mario Martone (che ci ha regalato anche un’altra regia, questa volta teatrale visionaria sempre attingendo dal sommo recanatese delle Operette morali, premio UBU 2011).
Il cammino della coppia Carulli|Minasi nella scelta impervia di confrontarsi con due delle Operette morali “ Il Copernico” e “Galantuomo e Mondo”, è quanto di più antiteatrale si possa immaginare: siamo di fronte a testi filosofico-letterari in una lingua italianissima ma letteraria, a volte complessa e oscura, ricca di metafore, riferimenti dotti, insomma lontana dalla più corriva ideazione di messinscena delle più recenti generazioni di artisti del palcoscenico, perlomeno rispetto alle scelte di linguaggio. Una scelta di campo un po’anomala, insomma. Eppure il trattamento che la coppia è riuscita a dare alla complessità dell’operazione di translitterazione per la scena è interessante. E qui sta il valore meritorio di questo efficace lavoro. Carullo e Minasi si presentano nello spazio della Chiesa di Sant’Andrea-con il Teatro Francesco di Bartolo a Buti, uno dei due luoghi della rassegna-come due saltimbanchi di teatro delle origini, col loro carretto girovago a rotelle di legno componibile e scomponibile. munito di musiche di organetto da cantastorie comprensivo di palco, sipario e siparietti, praticabili, abito che fa da robe manteaux (anche epistemologico) per la donna e tenda da circo per lo spettacolo con tanto di luci da baraccone. Ma qui niente è improvvisato. I due personaggi si muovono con estrema disinvoltura impersonando i due personaggi delle Operette. La prima è definita “operetta infelice e per questo morale”, Il Copernico, dove la Terra deve confrontarsi col Sole vestito da gerarca con le ghette mentre l’altra, al rovescio è “operetta immorale e per questo felice” dove la Virtù (lui, imbranato occhialuto vittima dallo sguardo perso e perdente) ha da vedersela col Mondo e le sue miserie (lei, cinica tracotante ). L’ironia o meglio l’autoironia dei due interpreti è molto sottile come la loro bravura nel muoversi fra le trappole del testo e il conseguente rischio della mancata empatia del pubblico. Una recitazione mai urlata ma assolutamente in linea con le azioni e le intonazioni nel reciproco dialogo intessuto del leopardesco intreccio di senso e di rimandi nei rimandi, in una sorta di mise en abime. Infatti il gioco del teatro, alla fine si spoglia di abiti e fogge per restituire allo spettatore la verità dei corpi e delle maschere: i due attori lasciano gli abiti di scena raccogliendo un primo applauso. Per poi rimettere a posto chiodo su chiodo la macchina del carro di Tespi che hanno creato da veri cantastorie.
De Revolutionibus di e con Carullo/ Minasi
Visto a Pisa, Teatro Sant’Andrea il 3 novembre 2015 in Teatri di Confine
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