martedì 17 febbraio 2015


Zombitudine di e con Elvira Frosini e Daniele Timpano posted by renzia.dinca su RUMORSCENA di Roberto Rinaldi Porcari (Lucca) In scena una coppia. Una coppia scoppiata? No. Una coppia quarantenne, senza figli. Due “normali” sia pur retro-datati insomma in flash-back. Si vede dai vestiti: lui Daniele Timpano, indossa un improbabile completino beige molto anni Cinquanta da impiegato, con capello assai impomatato, mentre Elvira Frosini è in tacchetti e abito longuette iperfemminilizzato portato con grazia, forse perché trattasi di casalinga bene educata o dattilografa o addetta alla telefonia pubblica. Ricordano un po’ la coppia dei televisivi in bianco e nero Paolo Panelli e Bice Valori. A sipario chiuso la prima scena vede lui sdraiato, la sala rimane illuminata-e non si spegnerà mai(che fa? è morto? sta male? dorme), fino alla scena finale(che apparentemente stravolge, senza cambiare nulla del plot), mentre lei sembra più reattiva, lo incita a fare qualcosa: a prendere posizione. Destra, sinistra, seduti su una eloquente valigia si scambiano di posto senza che cambi niente. Sì, ma quale sarebbe la migliore di posizione se sono una coppia che anche si rispecchia? e tutto- almeno fino al finale- si svolge al di qua del sipario mentre in un misterioso al di là avvengono cose terribili visto che di là ci stanno i Morti, gli Zombi che avanzano per cannibalizzarli(ci). Ma questa prospettiva, che si sdipana fra la coppia e quell’ineffabile sipario che limita e copre impedendone la vista ad altri spazi e genti, spesso si inverte perché la dialogazione avviene oltre che nel reciproco gioco delle parti, direttamente col pubblico che assiste e assume così un ruolo un po’ da comprimario rispetto all’azione dei due coniugi sfuggiti, almeno per il momento, alla dannata mattanza dei morti viventi. Ma chi sono lui e chi è lei? sono una sana(?)coppia che parla litiga mangia mentre dalla valigia, unico oggetto di scena, spuntano due tristissime razioncine, forse di bresaola, dentro una carta stagnola, da subito entrate nel ruolo di fonte di conversazione fra i due-un tormentone che ci porteremo fino al finale- del chi mangia chi e del chi ci stiamo mangiando?. Insomma chi è questa coppia che potrebbe anche far l’amore, una coppia che si è rifugiata in un luogo chiuso (in questo caso, un teatro, in condivisione con noi spettatori) per sfuggire ad un Nemico invisibile, ad un al di fuori che si appalesa solo per indizi, micro – segnali fino ad una significativa decapitazione di bambina zombie di colore, causata dal suo pianto molesto ad opera della Frosini, dotata di coltellone fuoriuscito dalla valigia? Quanto alle ricognizioni verso l’altra parte della scena, dietro le quinte, che al pubblico risulta invisibile, quella dei due che ogni tanto si affacciano a spiare, con terrore (anche temendo che loro, gli alieni, siano già entrati e si siano confusi col pubblico), attraversando e superando la cortina del sipario, la coppia è in grado di fare uso abbondante ed attualissimo di mezzi tecnologici come smartphone-pistole e relative videoriprese, sia pur amatoriali. Che poi ce li descrivono anche, questi mostri assassini- gli zombies appunto a noi pubblico, come: brutti brutti e vecchi vecchi. L’evidenza di valore fortemente etico|estetico del progetto teatrale di Frosini|Timpano è strettamente collegato con tematiche legate a spettacoli che stanno attraversando il clima culturale del nostro Paese. Lavori complessi che hanno al centro i temi della famiglia, delle generazioni, della riproduzione dei saperi in una fase di gravissima crisi identitaria della società occidentale. In uno spazio, quello italiano, dove le paure, le paranoie individuali e sociali- chi sono loro? I diversi gli altri? sono centrale materia di dibattito. E’ che gli altri siamo noi. Siamo sempre e solo noi con le nostre proiezioni prive di filtri se non salvati dalla cultura e dall’empatia. Non a caso la Compagnia Frosini|Timpano porta in giro questo progetto in varie città italiane proponendo in forma di situazionismo debordiano provocatorio, eppure attualissimo, delle performance che anticipano in spazi fisici, antropologici e sociali nelle varie piazze in cui poi, la sera, a teatro si esibiranno, la camminata oscena degli zombies-i dead walking. Zombitudine è infatti un progetto laboratoriale in workshop dal 2012, dove l’ideazione è nata fin dal romano Teatro India, per poi passare da Milano, nel tunnel della metropolitana, ad un supermarket di Genova, a Roma in Piazza Navona, a Bassano del Grappa sul famoso Ponte, a Napoli e a breve in altre città italiane. In questo gioco di specchi dove i mostri sono ovunque perché i mostri siamo noi- da qui Zombitudine (è una attitudine antropologica: la caccia al diverso che adempie a molteplici metafore politico-sociali e dichiara collegamenti col lavoro che ha molto del teatro politico in linearità con la ricerca di Timpano fin da Dux in scatola a Aldo morto), il lavoro di Frosini/Timpano che raccoglie, e come non potrebbe, molti spunti che giungono dal film di Romero (ambientazione, plot, risoluzione finale), risulta originale soprattutto per la testualità di una ricchezza raffinata ricca di rimandi e su rimandi cinematografici, fumettistici e teatrali. Colpisce complessivamente il progetto, coraggioso, proprio ed al di là della scontatezza apparente del tema che dal cinema al fumetto ha contaminato generazioni di amanti del genere e che ai quindicenni dell’oggi fa vendere e collezionare ancora copie su copie del buon old boy Dylan Dog e amare- ancora, un regista come Quentin Tarantino. La compattezza del testo, l’eleganza della coppia in interazione magistrale, dove Elvira Frosini si muove con naturalezza di gesto e voce ineccepibili, fanno di questo lavoro teatrale, e perché no, magari anche con l’esperienza dal vivo da spettatori-attori di un workshop, un evento da non perdere. Visto a Spazio SPAM- Porcari (Lucca) il 24 gennaio Progetto, testo, regia, interpretazione di Elvira Frosini e Daniele Timpano-Kataklismateatro

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