mercoledì 16 luglio 2014

Renzia D’Incà, Bambina con draghi, Ila Palma, Biblioteca dei Leoni, Castelfranco Veneto,
2013


E' su La tribuna letteraria

Notevole per potenza visionaria e per spessore esistenziale quest’ultima raccolta di Renzia D’Incà,
arricchita dalla bella prefazione di Paolo Ruffilli e scandita in cinque sezioni che segnano un
crescendo di sbalzi onirici, di interrogazioni, di lacerti memoriali.
Il crescendo è in realtà lo sviluppo e lo spiegamento di un unico discorso, di un monologo doloroso
e graffiante, impietoso e ribelle, che dallo stillare frammenti dell’iniziale sezione Affioramenti si
dilata e dilaga in una cascata di immagini, di assonanze, di umori contrastanti che nell’ultima
sezione Dell’incurabile curagione proiettano infine i versi in un ritmo incalzante e continuo.
Dall’iniziale punteggiatura dei sintagmi dunque il discorso interiore dell’autrice, notturno e
labirintico, si espande in un gioco di contrasti, di allusioni, di caustiche sferzate. Gioco che intinge
il suo affilato pennino nella materia oscura di un’infanzia che è scenario di desiderio e di disincanto.
Il teatro simbolico di questa corposa scaturigine domestica è abitato da un fitto e a volte inquietante
bestiario (il pavone, il gatto mammone, il gatto vampiro, il ragno madre, lo Stregatto...) il cui apice
allegorico è però rappresentato proprio dai “draghi” del titolo, emblema di un rovente e profondo
stigma esistenziale che l’autrice vuole liberare in questo suo flusso di versi, come uccelli migratori
verso un orizzonte catartico.
Ciò che però risalta in queste poesie è la sincerità del dettato autobiografico, che si fa confessione
spiazzante e indocile, cura di sé nel convogliare un immaginario che è dolce e feroce insieme,
ribelle nel suo darsi e affidarsi a una parola acuta e tagliente. I versi appaiono spesso stilettate,
affilate dal ricordo e piantate nella carne viva del lascito di antichi dissapori. In questo coraggio
della poesia come nuda rappresentazione dell’abisso e dell’intimo cozzare di passioni, sta la
bellezza della restituzione che la scrittura riesce a generare. Renzia D’Incà ha appreso
efficacemente l’epimeleia donata dalla parola, la metamorfosi che dall’oscuro catino dei fantasmi
tira fuori, alla luce della coscienza, figure di lotta e di speranza.


Daniela Monreale

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