mercoledì 26 aprile 2017


È lei che ha scritto il libro sul prete pedofilo? - Sì, e allora? - Allora lei è disonesto, perché ho letto che lei è un ateo e non è pedofilo. - E con questo? - Niente, dico solo che prende in giro i suoi lettori. - E perché mai? - Perché mente, perché mette in scena un personaggio che non è lei, mica come Agassi che racconta del tennis e infatti è un tennista. - Ma che c'entra, quella è un'autobiografia! - No guardi, mica m'incanta, oggi i romanzi sono così, sono scriti da persone serie che se sono zoppe parlano di zoppi, se c'hanno il babbo massone parlano di babbi massoni, se c'hanno la mamma morta parlano di mamme morte. [brutto giorno, quando la menzogna della letteratura smetterà di essere creduta] Luca Ricci su fb/ Pisa

FRANCO STONE una storia gotica semi vera renzia.dinca Pisa. A chiusura della stagione del Teatro Verdi di Pisa un nuovo lavoro de I Sacchi di Sabbia ( Premio UBU 2008, Premio speciale critica 2011, Premio Lo Straniero 2016) in collaborazione con Sergio Costanzo e I Gatti Mezzi, giovane gruppo musicale di stampo jazzistico formato dal duo Tommaso Novi e Francesco Bottai, anche in tournèe internazionali con sei album. Stavolta il tema trattato prende spunto dal capolavoro di Mary Shelley, autrice di Frankenstein che insieme al marito il poeta Percey Shelley (mori trentenne per naufragio nel Golfo di La Spezia), furono ospiti della città di Pisa e delle Terme di San Giuliano, piccola cittadina a pochi chilometri di distanza fra Pisa e Lucca, già nota nell’Ottocento per le sue acque salutari. Fra i dati documentati, il fatto che i due scrittori inglesi sono stati in soggiorno a Pisa nel 1818 e poi nel 1820. La presenza dei coniugi Shelley si inquadra in quel peculiare clima pisano segnato e attraversato dalla stagione del Romanticismo letterario in cui la città era meta di ambiti soggiorni di importanti scrittori fra cui Lord Byron, quasi in concomitanza tra l’altro con Giacomo Leopardi che in via della Faggiola nel suo soggiorno fra il 1827 e il 1828, iniziò a scrivere alcuni dei suoi più importanti Grandi Idilli: i Canti pisano-recanatesi, fra cui A Silvia. Tutto questo materiale entra nel nuovo lavoro dei Sacchi di Sabbia in collaborazione con artisti che in città vivono come I Gatti Mezzi o con cui ci sono forti rapporti artistici di lungo corso, come quelli maturati nel tempo con Marco Azzurrini e GIPI, film maker, fumettista ed illustratore di fama internazionale. In questo nuovo lavoro dal curioso titolo Franco Stone, si affronta in scena la sperimentazione di una scrittura multi-codice, un’invenzione concertata in bilico tra dati documentari storici e fantasia in salsa gotica risultato degli apporti e delle contaminazioni fra i diversi artisti che hanno collaborato al progetto. Ne risulta un pastiche linguistico-visivo- musicale-sonoro molto godibile che ha alcune caratteristiche di un raffinato musical tenuto bene in saldo dal filo rosso di un’epica narrazione affidata a Marco Azzurrini in gran forma di affabulatore. Il nucleo del lavoro ruota intorno alla presenza in città dell’autrice di Frankenstein Mary Godwin Shelley e all’ipotesi che l’ispirazione del suo gotico romanzo sia nata proprio dalla frequentazione di luoghi e personaggi qui realmente vissuti : i medici chirurghi e docenti universitari di fama internazionale Francesco Vaccà Berlinghieri ed il figlio Andrea Vaccà detto il Vampiro, Giuseppe Morosi di Ripafratta, ingegnere ed inventore di automi e Andrea Valli di Casciana, fisico e scienziato noto per i suoi studi sull’elettricità sulle orme di Galvani. Gli illustri medici pisani erano noti per i loro studi sui cadaveri e per i loro esperimenti legati alla ricerca della possibilità di rendere “immortali” gli esseri umani, una utopia Illuminista e massonica. Il personaggio, che secondo leggenda avrebbe ispirato Mary Godwin, sarebbe dunque un mitico medico pisano detto Franco Stone, cioè Franco Pietra che tradotto in tedesco si enuncerebbe appunto come Frankenstein. Partendo da queste premesse il lavoro Franco Stone, costruito su un solido testo drammaturgico di tipo narrativo-storiografico-letterario, si sdipana fra citazioni storiche, miti e leggende a ruotare intorno al personaggio reale e letterario di Frankenstein. All’evocazione delle diverse personalità pisane coinvolte nella presunta ricerca ispiratrice di Mary Shelley, ecco che partono siparietti quasi in forma di Carosello, che di volta in volta commentano le vicende oggetto di intreccio letterario e meta-letterario attraverso ora brani musicali dal vivo ( pianoforte e chitarra nelle mani del duo in scena aperta Tommaso Novi-Francesco Bottai), ora con canzoncine e filastrocche orecchiabilissime e passi di danza d’antan di un duo di bambine terribili che fanno il verso alle gemelline di Kubrick in Shining ad evocare e sottolineare i contenuti thriller oltre che macabri dell’impianto narrativo. Vari personaggi si appalesano in scena ( bardati dai costumi d’epoca primo Ottocentesca, disegnati dal pittore Guido Bartoli, che ha anche curato le scene) , dai quattro scienziati pisani impersonati da Giovanni Guerrieri, ad un buffissimo automa: il famoso Turco ( Enzo Illiano) che gioca a scacchi, inventato da Giuseppe Morosi, al Frankenstein sdraiato sul suo letto-tomba oggetto di esperimenti ( Gabriele Carli), mentre sul fondale appaiono via via proiezioni video a disegnare personaggi e ambienti citati dal narratore che è continuamente interrotto in scena a cominciare dai due musicisti anche in veste di attori. E così vengono anche a galla nell’intreccio, gli esperimenti sulle rane del Valli, gli studi sull’elettricità che portarono Alessandro Volta alla invenzione della pila, in un avanti e indietro temporale di esilarante comicità condito con espressioni in vernacolo pisano. Fra verità storiche e leggenda metropolitana non è certo se la scrittrice Mary Shelley abbia trovato ispirazione per il suo soggetto del dottor Victor Frankenstein nel pisano dottor Franco Stone. Si tratta di un gioco di rimandi, di toponomastica? di sicuro però I Sacchi di Sabbia con il loro ensemble di collaborazioni artistiche, hanno trovato un ispirato materiale per uno spettacolo che si prospetta aggiungersi alla già lunga lista di lavori di meritato successo di pubblico e di critica, in linea con una poetica comico-surreale di originale riconoscibilità stilistica. PRIMA NAZIONALE I Sacchi di Sabbia, Gatti Mezzi, Marco Azzurrini, Guido Bartoli con il contributo di GIPI da un’idea de I Sacchi di Sabbia, Sergio Costanzo, I Gatti Mezzi con Marco Azzurrini, Francesco Bottai, Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Illiano, Tommaso Novi, Rosa Maria Rizzi, Giulia Solano testo e regia I Sacchi di Sabbia musiche I Gatti Mezzi scene e costumi Guido Bartoli produzione Internet festival/I Sacchi di Sabbia in co-produzione con Armunia Visto al Teatro Verdi di Pisa, l’8 Aprile 2017

venerdì 14 aprile 2017


Rien ne va plus renzia.dinca Pontedera(Pisa). Un lavoro destinato sulla carta alle scuole superiori ma che riguarda in realtà un problema diffuso ed una piaga sociale: il gioco d’azzardo e la dipendenza da gioco. La ludopatia è un fenomeno di cui da non molto tempo si incomincia a parlare senza però essere mai arrivati almeno nel nostro Paese a trovare dei provvedimenti legislativi che possano arginare il complesso mondo che gira intorno alle scommesse e ai giocatori. Sì perché è lo stesso Stato italiano che autorizza il gioco come nel caso delle slot che sono ovunque a disposizione, dai bar alle tabaccherie a portata di mano di chiunque abbia in tasca anche pochi spiccioli della paghetta o interi stipendi o pensioni. E magari proprio da qui si incomincia a sviluppare quella malattia della psiche che è la ludopatia che può portare intere famiglie sul lastrico e mettere a repentaglio tante vite. Ma al di là della fenomenologia della vera e propria dipendenza da gioco, materia trattata dai manuali psichiatrici e oggetto di lucro della malavita che spesso guadagna su alcune forme di gioco d’azzardo, in Rien ne va plus, la brava Marina Romondia anche coautrice con Nicoletta Robello Bracciforti della drammaturgia, affronta il tema dal punto di vista della narrazione autobiografica della giovane adolescente Martina che per il gioco d’azzardo vive e ne diventa vittima. In prima persona Martina narra ad un interlocutore immaginario, a noi pubblico ma potrebbe anche essere la sua una descrizione delle emozioni e vicende affidate ad un blog o a pagine di diario, come la sua ossessione-passione per il gioco le sia connaturata, sottopelle e come ne sia dominata. Inizia come gioco adolescenziale: scommettevo anche sul risultato del m’ama non m’ama sfogliando la margherita dei primi amori. E da qui parte un percorso in cui si narra in scena lo stato d’animo di esaltazione, di eccitazione compulsiva dove la posta diventa sempre più alta come l’asticella con cui la ragazza si misura per scavalcare mete sempre meno reali e razionali, allontanandosi dalla vita dei suoi coetanei. In scena Martina si muove restituendo col corpo le sensazioni che prova nel momento in cui il demone la impossessa: rituali fisici magici che compie prima di una nuova avventura che l’infervora ossessivamente trascinandola verso il gioco e la posta sul gioco. L’unica interlocutrice dentro questo teatrino della sua autocoscienza narrante è l’anziana nonna (da lei stessa interpretata). E qui, nel dialogo con la sola figura genitoriale e/o comunque adulta presente, Martina scopre che nella sua famiglia, il fantasma del gioco ha mietuto vittime eccellenti. Ma non sarà questo a farla smettere. Martina ci proverà. Ma non ci riuscirà perché il fascino diabolico del gioco, ciò che la fa sentire viva più di nessun altro piacere compreso quello del sesso, la trascinerà di nuovo dentro il vortice della scommessa. Martina ha bisogno di aiuto. Martina è sola. Purtroppo nessun adulto o amica o compagno è consapevole o almeno presente alla sua discesa all’inferno. Di qui la necessità di un intervento che le tenda la mano. Che forse potrebbe anche incominciare dalle Scuole e dagli insegnanti-Martina si iscrive a Medicina ma dopo pochi esami smette perché di nuovo attratta dalle sirene della roulette. Non a caso è proprio la Fondazione Sipario Toscana di Cascina, ad aver prodotto questo lavoro che con venti anni di attenzione sulle problematiche giovanili delle quali aveva fatto una sua bandiera in Toscana e in Italia con la collaborazione di Libera di don Ciotti. Proprio nelle vicinanze di Cascina, a Perignano in provincia di Pisa vive e si occupa di ludopatie un sacerdote don Zappolini che della questione è esperto nazionale. Che la ludopatia non sia più un problema sociale. Che chi ne soffra scopra presto la sua iniziale dipendenza e riesca a liberarsene. di e con Marina Romondia ispirato a un racconto di Alberto Di Lupo regia Nicoletta Robello Bracciforti drammaturgia della scena Nicoletta Robello Bracciforti e Marina Romondia musiche originali Arturo Annecchini produzione Fondazione Sipario Toscana-La Città del Teatro Visto a Pontedera- Teatro Era il 30 Marzo 2017

martedì 11 aprile 2017


Terre noire- Irina Brook su testo di Stefano Massini renzia.dinca Pistoia. Dopo Lehman Trilogy, che sta facendo il giro del Mondo in tournée, questo nuovo lavoro Terre noire scritto da Stefano Massini, di fatto il drammaturgo italiano più internazionale a cui è stato commissionato il testo dalla regista franco-inglese Irina Brook, è un manifesto di dura protesta nei confronti di multinazionali che rubano, letteralmente, quel poco ai poveri fino a portarli alla disperazione, al suicidio. Continua quindi per Massini l’impegno di scrittura su temi di forte impegno civile e sociale che hanno contraddistinto la sua già lunga carriera artistica nel nostro Paese. Questa volta il focus di scrittura in tandem con Irina Brook alla regia, è rivolto ad una storia vera, quella una giovane coppia di contadini neri sudafricani, coltivatori di canna da zucchero da generazioni. Poveri sì ma felici nella loro essenzialità quasi edenica di vita semplice decorosa- ogni sera il marito Hagos torna a casa dopo aver duramente faticato nei campi, lei lo aspetta per cena. La scena domestica è a dir poco spartana: un piccolo tavolo ma col cibo caldo, un rito da condividere come l’affetto, il sesso. Come la vita a due. Il calore della vita umile ma autentica. Questa serenità di giovane coppia si dovrà confrontare e si frantuma con la vita dei vicini, stessa classe sociale, analoghi appezzamenti di terre confinanti dove sta per arrivare la peste. Ciò che basterebbe alla coppia per la propria serenità anche forse di lungo periodo, è messa in discussione dalle scelte frutto di corruttela di una multinazionale chimica che riesce a irretire i confinanti che svendono le loro terre in cambio di pesticidi per poter avere come a loro promesso ben cinque raccolti. In cambio macchine di lusso e bella vita. Purtroppo non sarà così. Purtroppo l’industria chimica distruggerà colture e vite. In scena assistiamo ad una metafora molto occidentale che racconta con terribile verità una filigrana dei nostri stili di vita europei. Magari non così violenti almeno apparentemente o forse solo meno rapidi nella loro evidenza. Perché in Europa ed in Occidente in generale lo stillicidio ambientale e della salute degli uomini e delle donne si manifesta in maniere più soft, una morte più lenta insomma, addomesticata attraverso stili di vita diversi dove per fortuna ancora si vigila o almeno ci si prova, ad arginare disastri sulla salute e sul territorio. Lo storytelling africano in Terre noire è una microstoria che riflette però malgrado tutto e a metafora a specchio storie altre. Che forse ci riguardano più da vicino come bianchi e occidentali per lo meno perché siamo stati informati sui fatti, anche se spesso le metodiche truffaldine non sono dissimili dal caso africano. E ci viene in mente il film anno 2000 Forte come la verità- Erin Brockovich con Giulia Roberts dove negli Stati Uniti sono le acque ad essere contaminate e dove una madre attivista combatte e vince contro una multinazionale. Ma anche richiama le più recenti vicende di Monsanto, la multinazionale che vende semi transgenici accusata nientedimeno che di crimini contro l’umanità. Il lavoro di Irina Brook composto in 31 quadri è narrazione di questa piccola ma significativa storia africana. In questo caso è una donna bianca, avvocato, a provare a prendere in mano la situazione della coppia di contadini e a farsi paladina solitaria contro la multinazionale mortifera delinquenziale che ha distrutto vite umane e ambiente in nome del profitto, del raggiro contro povera gente che vede seccare attorno a sé ciò che era vivo, la distruzione di saperi arcaici trasmessi di generazione in generazione che erano vita e si confrontano con lo spettro della morte. Terre Noire ha i tempi e i ritmi di un film. E’ scritta e pensata sulla scena per quadri, recitata in francese con sottotitoli in italiano. Una regia di estrema pulizia formale. Un gran bel lavoro di denuncia sociale che accende i riflettori sull’Africa, un continente con cui dovremo fare sempre più i conti noi Europei ex colonialisti, sfruttatori storici di risorse umane ed ambientali.

giovedì 6 aprile 2017


La Cerimonia una famiglia problematica ed irrisolta renzia.dinca Per affrontare un tema come quello della triangolazione famigliare: Padre Madre e Figlia dentro un contesto privatissimo e contemporaneo (retrocesso temporalmente agli anni Novanta, quello dei I Migliori anni della nostra vita del Renato nazionale), quale il tinello di casa dove sempre scoppiano le peggiori deflagrazioni del terzetto della classica famigliola piccolo borghese- vedi Mulino Bianco alla rovescia, ci voleva un autore – attore e regista outsider come Oscar De Summa. Protagonista della vicenda l’adolescente(una bravissima Marina Occhionero), un po’ hikkomori all’italiana, una diciassettenne benestante anoressica-bulimica (anche questo un classico ever green delle adolescenti non povere anni Settanta- Ottanta, il regno inesausto delle Claudie Schiffer), alle prese con il rifiuto dei modelli genitoriali ma e qui sta il ma, anche con quelli extra famigliari, quelli della finestra sul mondo. I “ mostri” si fa per dire, sono la coppia dei quarantenni-adolescenti genitori che la ragazza mette in croce, sfida e vorrebbe” uccidere” senza farlo ( si inventa una cenetta con veleno -cucina lei per metterli alla prova, smascherarli), in realtà perché ha una protesta in corso, sì ma razionale fortemente simbolica e non del corpo per fortuna anche se e solo dentro la pancia, ma la sua, che non passa per droghe o altre trasgressioni mortifere o via rete, tipiche di quelle delle attualissime peraltro generazioni, ma semplicemente per la decisione di non agire ( e la ragazza non è affatto sdraiata modello italico Michele Serra ma molto agente e pensante no wireless). E glielo urla loro in faccia. Non vuole più andare a scuola, non vuole più odiare non vuole fare proprio niente. Insomma una ribellione adolescenziale molto moderna, no post sessantottina, e tipica delle società altamente connesse, altamente tecnologiche che però funzionano al contrario per alcuni e per niente disfunzionali ma apertamente critiche e che niente hanno a che vedere con le generazioni dei genitori anni Ottanta-Novanta con figli adolescenti. Ma allora chi sono questi genitori che oggi potrebbero sfiorare i Sessanta?, due mostri? no. forse due adulti che hanno disertato il loro ruolo genitoriale perché incapaci di rivolgersi al loro passato in modalità consapevole e quindi sprovvisti, pur nelle loro migliori intenzioni, di proporre modelli altri. e gli è andata bene. perché anche nella generazioni passate madri quarantenni avrebbero voluto e spesso lo hanno fatto, rompere schemi, tradire, andarsene, sì insomma parliamo ancora delle cosiddette, date per spacciate e ridicolizzate Femministe. Ma qui le due figure veramente deboli sono sia quella materna che paterna. lui chiamato da sirene di una omosessualità irrisolta. lei sembra uno sbiadito decontestuallizzato esempio di madre inetta ed anche irresponsabile perché assente rispetto ai bisogni e al dialogo con la Figlia, non si sa presa da che. Di lei Madre non si sa se lavora se fa la casalinga cosa cavolo faccia. Una Madre profondamente confusa. perché è proprio dalla Figlia che i due impareranno, forse, qualcosa. aleggia un’ombra sbiadita di Freud e del freudismo. qui non ci sono figli che diventano padri-madri dei propri genitori. qui esplode-implode proprio la santità della struttura familistica, quella classica freudiana. Qui si intravede quello che è da sempre è ed è stata nella cultura occidentale la rottura del patto intergenerazionale. Niente a che vedere con la rivolta Sessantottina che ha creato peraltro pessimi genitori e ne sanno qualcosa gli studi pieni di pazienti- genitori degli psicoterapeuti (Recalcati docet: vedi Il complesso di Telemaco). Qui siamo di fronte a due genitori quarantenni adolescenti senza polso senza futuro ( di fronte all’anti Cerimonia di desco famigliare, quella creata dalla sulfurea Figlia). Lei:- Vanessa Korn la Madre, messa di fronte allo psicodramma inscenato dalla Figlia: mio padre non mi amava, ecco perché sono così; Lui: Marco Manfredi il Padre:ho sempre raccontato menzogne su castelli di menzogn). Siamo di fronte ad una testualità che si avvicina ad una certa forma di Teatro Sociale attuale oltre certi canoni e soprattutto che scavalca cliché della retorica del Teatro Ragazzi. Qui i figli ma soprattutto una Figlia sono più avanti dei genitori perché hanno compreso che i ruoli Padre Madre Figlia sono morti: che nessun padre o madre saprà o potrà o vorrà proteggere, perché categoria incapace di essere responsabile della vita dei figli, ma anche della propria e non solo di quella di coppia. Ne La Cerimonia il pretesto ricontestualizzato è il Millenium Bug la bufala per cui fine anno 1999 tutto il sistema della Rete spariva. Adesso sta scoppiando il vero caso: I Millenials a livello occidentale ( Occidentali’s Karma non a caso canzonetta che ha vinto a Sanremo 2017), sono i nuovi figli che rifiutano o inglobano i modelli capitalistici e finanziari e tecnologici ( mentre risuona in Rete e TV la sera - con TIM è bello avere tutto, con uno splendido ballerino gran professionista che non danza ma che vola). In scena sono quattro i personaggi: i genitori, la figlia e lo “ zio”, impersonato dallo stesso Oscar De Summa. Questo “zio” che potrebbe essere un amico di famiglia, ma anche una figura maschile esterna al triangolo, una sorta di esperto di fiducia che interagisce sia con la ragazza che col Padre, cercando di tirare fuori i desideri profondi della coppia Padre-Figlia e ne diventa un po’ taumaturgica Ombra. Ciò che davvero è irrisolta è la figura della Madre mentre su una scena spoglia, quella della sala da pranzo con interventi massicci di musiche anni Novanta, non riusciamo a rintracciarla. E forse, se questa è la prima parte di una scrittura drammaturgica che sarà trilogia, sarebbe il caso di trovarla, la Madre. Perchè c’è. Ci sono. E comunque panta rei. PRIMA NAZIONALE Drammaturgia e regia Oscar De Summa con Vanessa Korn, Marco Manfredi, Oscar De Summa e Marina Occhionero Visto a Prato, Fabbricone- spazio Fabbrichino, il 31 marzo 2017