giovedì 22 luglio 2021

SCARICA IL PDF da WWW:DROMORIVISTA:IT ISTITUTO DI RICERCA STUDI PSICOANALISI - ROMA direttore prof Raffaele Bracalenti IL GIOCO DEL SINTOMO: UNA ESPERIENZA DI TEATRO E DISAGIO MENTALE Una scommessa vincente fra l'ASL Nord Ovest Toscana e il regista Alessandro Garzella Renzia D'Incà ...prendersi cura è un'azione violenta bisogna armarsi di un amore pieno di collera ( Alessandro Garzella) Il volume:I l Gioco del Sintomo narra del lavoro congiunto ideato da Alessandro Garzella regista e allora direttore artistico de La Città del Teatro di Cascina (Pisa), secondo Polo regionale toscano di Teatro per le Nuove generazioni, con la psichiatra Consiglia Di Nunzio. Di Nunzio è stata Dirigente sanitario di Psichiatria ASL 5 di Pisa, coordinatrice delle attività riabilitative e responsabile delle strutture residenziali psichiatriche della stessa Azienda Sanitaria locale. L'esperienza, tuttora in corso con l'ASL Nord Ovest Toscana, è stata da me seguita per molti mesi con cadenza bisettimanale dall' anno 2000, in qualità di studiosa e critico teatrale, si è svolta fra la sede del Servizio territoriale e il Teatro di Cascina a San Frediano a Settimo (Pisa), su un'esperienza laboratoriale di teatro e disagio mentale. Quell'esperienza pilota, nata per scommessa (parole della dottoressa Di Nunzio), sulla scia della riforma Basaglia che avviava alcuni pazienti psichiatrici all'esperienza del teatro, si è trasformata in un processo di lavoro che da “scommessa” si è aperto a prospettive inimmaginabili. Dall'osservazione dei laboratori tenuti da operatori teatrali in collaborazione con il CIM sono stati pubblicati due volumi: Il Gioco del Sintomo-crudeltà e poesia teatro e disagio mentale (2002) e anni dopo Il Teatro del dolore-gioco del sintomo e visionarietà (2011), una ristampa del primo volume con prefazione di Giuliano Scabia arricchito di aggiornamenti di ordine scientifico-didattico in un ambito di studio e riflessione con contributi di Dario Capone, attuale didatta e direttore didattico dell'Istituto di Psicoterapia relazionale (IPR) e di operatori socio sanitari. Il libro è ad oggi materia di studio presso l'Università di Pisa alla Facoltà di Medicina nel corso di Laurea per tecnici di Riabilitazione psichiatrica. A tutt'oggi in piena crisi mondiale pandemica, sono in corso laboratori guidati dal regista Alessandro Garzella in virtù dell'articolo 3 del DPCM del Marzo 2021. Sollecitata a raccontare di questa esperienza come contributo al nuovo numero di DROMO, mi sono interrogata sulla attualità e sulla urgenza di ancora e ancora seguire percorsi che erano stati segnati dalla rivoluzione attuata da Franco Basaglia a Gorizia e poi a Trieste con Marco Cavallo e gli artisti che hanno accompagnato quella straordinaria stagione. Sono arrivata alla conclusione che quella di Basaglia non è stata una rivoluzione mancata, e nemmeno una rivoluzione adesso “stanca”, come suggerisce il titolo provocatorio di questo numero della rivista. Sostengo che ad essere stanca è la società italiana e occidentale in generale, quella europea di fatto, e per ragioni socio-politiche croniche (ora aggravate e slatentizzate da esplosioni impensabili socio-sanitarie mondiali). E' la società ancora, come negli anni Sessanta e Settanta, ad essere malata forse e anche più di allora, nei tempi della rivoluzione mancata(?) basagliana: Abbiamo l'orgoglio di stare con gli ultimi cerchiamo di ascoltare i bisogni, l'essenza di ciò che siamo, la natura dei nostri istinti irrazionali, cerchiamo di ribellarci a certe regole sociali, a volte riusciamo a smascherare la falsità di un benessere sempre più indifferente e vuoto abbiamo messo la marginalità al centro della nostra ricerca artistica, con quell'amorevole crudeltà che fa dell'arte un luogo di contagio, dove il grave è lieve e l'indicibile talvolta può essere vissuto e detto, includendo ciò che l'ipocrisia sociale ritiene sconveniente e osceno (Alessandro Garzella). Quanto riportato sopra è il Manifesto del lavoro che Alessandro Garzella ha ideato e messo in piedi creando la sua Compagnia Animali Celesti-teatro d'arte civile: un gruppo di artisti, utenti psichiatrici e persone interessate a valorizzare l'espressione delle diversità. Animali celesti è una Compagnia nata per sperimentare il rapporto fra teatro e follia attuando la metodologia del Gioco del sintomo in ambito artistico e relazionale. L'opera Il Sigillo, installazione performativa di teatro, danza, musica e video arte ideata dal regista con il collega Satyamo Hernandez nell'ambito della Festa della cittadinanza universale prodotta in collaborazione con AEDO, Cantiere delle Differenze per il Comune di Viareggio, ha ottenuto la menzione speciale del Premio MigrArti2018 dove, alla fine dello spettacolo, viene distribuito agli spettatori un passaporto di apolide multiculturale. Spiegare in cosa consiste la tecnica teatrale del Gioco del sintomo è affare complesso perchè andrebbe vissuta dentro il corpo e la relazione di uno spazio teatrale con altri utenti. Nel mio libro ho provato a sintetizzarlo in uno schema consistente in tre figure; il Conduttore, il Paziente e la Relazione che si celebra. Il Conduttore opera l'Individuazione del sintomo, assume su di sé la maschera del Paziente, la porta al parossismo. La Relazione si incentra in forma di rappresentazione del sintomo portato dal Paziente in modalità caricaturale-parodistica. Il Paziente risponde con Rispecchiamento, spiazzamento per riconoscimento del proprio sintomo e con tentativo di simbolizzazione. Ho assistito a numerose altre esperienze di Teatro sociale nel nostro Paese. E sempre sulla scia della stagione esperenziale e culturale di Giuliano Scabia. In particolare il lavoro di Vito Minoia presso Università di Urbino che in Convegni internazionali ha portato pratiche teatrali coi malati mentali e con handicap fisici, esperienze di tutto rispetto nell'ambito del Teatro delle diversità (vedi rivista Catarsi-Teatri delle diversità). Vorrei altresì segnalare numerose altre esperienze a cui ho partecipato in veste di giornalista teatrale in diversi Convegni e rassegne, anche ben segnalate e descritte dal collega Andrea Porcheddu in Cosa c'è da guardare- La critica di fronte al teatro sociale d'arte. Fra le svariate cito Lenz Rifrazioni di Parma, Il Teatro dell'Ortica di Genova, il lavoro di Antonio Viganò, Isole Comprese Teatro di Firenze. Abbiamo rivolto alcune domande ad Alessandro Garzella per capire a dieci anni di distanza dall'uscita del saggio Il Teatro del dolore cosa sia cambiato rispetto alla ventennale esperienza descritta: Rispetto a dieci anni fa, le sembra che siano cambiate le tipologie di pazientirispetto agli storici delle precedenti esperienze in carico ai servizi ( anni Novanta), di invio dalle Istituzioni psichiatriche verso le cure di arte-terapia e in particolare al Teatro in quanto a patologie, comportamenti, relazioni con conduttori teatrali e con gli operatori sia teatrali che dei servizi? Rispetto a 10 anni fa il gruppo si è auto selezionato, anche a causa di un minor apporto logistico organizzativo da parte dei servizi; nell’ultimo periodo, per reazione al Covid ed alle conseguenti ricadute degli utenti derivanti dal maggior isolamento sociale, i nostri servizi hanno invece investito maggior interesse rispetto al progetto laboratoriale contribuendo fortemente a motivare il gruppo che oggi, sia nella dimensione del laboratorio ristretto, sia nella dimensione del laboratorio allargato a tutti i componenti della compagnia, manifesta una partecipazione attiva e creativa particolarmente intensa; la tipologia della nostra utenza non è mutata anche se i servizi non hanno ancora immesso nuovi utenti (avverrà da settembre) che pare siano portatori di dinamiche comportamentali e patologie diverse (ludopatia, disaffezione) rispetto a quelle sperimentate finora (psicosi, schizofrenia, disturbi del comportamento borderline). Rispetto a dieci anni fa, le sembra che stia cambiando o sia cambiato il rapporto fra pazienti / famiglie e società civile sul tema dello STIGMA della malattia mentale? Si tratta e ancora di un tabù o la questione rispetto agli anni Novanta-Duemila rappresenta ancora un sensibile tema di discriminazione sociale su cui lavorare sul piano etico-politico? Nella sostanza è cambiato poco anche se la maggiore apertura e pratiche mediatiche anche discutibili rispetto alla spettacolarizzazione dello stigma hanno reso meno distante la follia sanitaria dalla follia civile che governa gli Stati e la morale standard; ciò che non è cambiato nello stigma è la pratica della separazione dal sociale, attuata anche attraverso interventi ipocritamente solidaristici che, in realtà, determinano una ghettizzazione culturale delle persone che presentano stili di vita, idee, comportamenti fuori dagli schemi culturali dominanti. Il Teatro come terapia ha ancora una valenza terapeutica? Il teatro è arte, gratuita e inutile come deve essere; una sensibilizzazione artistica del corpo, dell’espressione, è di per sé terapeutica, così come terapeutico è l’incontro con un amico affettuoso e intelligente o un buon cibo, una serata di festa; la differenza dell’arte scenica è la pratica di teurgia (rapporto con un divino del tutto laico o pagano) che l’artista sperimenta ogni volta che si mette in gioco in quanto corpo anima trasfigurante; l’intensità di questo gioco induce due possibili processi di cura: l’arte che cura e cura sé stessa attraverso la frequentazione della malattia; l’altrove del teatro come spazio di ricerca e di contagio reciprocamente sano. È stato superato il paradigma basagliano e adesso la Rivoluzione è solo stanca dal punto di vista della cura? La Rivoluzione è stanca oppure proprio in questa fase di trasformazione antropologica mondiale ( anche legata al Covid) bisogna ripensare le categorie di cura della “ follia” e di “arte” come cura delle Persone? Entrambe le cose sono in divenire: per un verso la privatizzazione della sanità pubblica ha arrestato il compimento del processo di liberazione della follia, riducendo i livelli di inclusione e limitando la così detta riabilitazione a piccoli garage di conservazione se non cristallizzazione delle patologie (senza incentivare progetti di ricerca innovativi poiché contrastanti con l’egemonia dei protocolli e della farmacologia); in questo la rivoluzione non è stanca, è imprigionata dalla politica e dalla prassi della burocrazia sanitaria; per l’altro verso la crisi sociale è così esplosiva da determinare processi in cui si formano piccole comunità in cui il diritto di cittadinanza della parte sana della follia è sempre più sentito come bisogno individuale e sociale; in quale direzione evolverà questo scontro non so dirlo: dipende molto dalla capacità di integrare processi di settori attualmente troppo separati tra loro per determinare una forza d’urto capace di incidere sui rapporti di forza e sulle dinamiche esistenziali della società. Bibliografia: Il teatro del dolore di Renzia D'Incà -Edizioni Titivillus Teatro Stalla: Animali Uomini e dei a cura di Andrea Porcheddu- Edizioni Moretti e Vitali Che c'è da guardare?-La critica di fronte al teatro sociale d'arte Andrea Porcheddu -CUE PRESS A.Di Benedetto, Prima della parola. L'ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell'arte-Edizioni Franco Angeli