giovedì 30 novembre 2017


Immigrazione, salute e pregiudizi: l’ex ministro Kyenge a Pisa PisaCronaca CRONACA Immigrazione, salute e pregiudizi: l’ex ministro Kyenge a Pisa Doppio appuntamento all'ex convento Cappuccini e a Cascina Pubblicato il 30 novembre 2017 Ultimo aggiornamento: 30 novembre 2017 ore 15:41 Vota questo articolo Pisa, 31 novembre 2017 - L’ex ministro Cecile Kyenge a Pisa. “Immigrazione, salute e pregiudizi” è il titolo del seminario (ad ingresso gratuito) organizzato per sabato 2 dicembre a partire dalle 8.30 presso la Biblioteca Storica dell’ex convento dei Cappuccini da agenzia formativa Aforisma, società cooperativa Pegaso Lavoro e Acli Provinciali di Pisa in collaborazione con Caritas Diocesana, Patronato Acli Pisa, Centro Studi e CSSS iCappuccini. L’evento formativo affronta, in una prospettiva medico-scientifica, il tema dell’immigrazione e dell’impatto sanitario nel Paese, troppo spesso al centro di paure infondate, pregiudizi, polemiche e divisioni nel dibattito sull’accoglienza. Tra i relatori del seminario, moderato dal giornalista Francesco Paletti, dopo i saluti dell’assessore al sociale Sandra Capuzzi interverranno il dott. Francesco Menichetti, Primario UO malattie Infettive, la dott.ssa Manila Bonciani, GrIS Toscana-SIMM Gruppo Immigrazione e Salute –Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, il dott. Riccardo Bosi medico pediatra e membro dell’INMP - Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà , Antonio Russo Responsabile Immigrazione /Legalità di Acli Nazionali ed il dott. Emiliano Carlotti, Presidente IPASVI Collegio di Pisa. Nel pomeriggio a partire dalle 14.45 tavola rotonda con l’ex ministro per l’Integrazione oggi europarlamentare e membro della Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni, Cecile Kyenge, il Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, Lauro Mengheri e ancora Antonio Russo del dipartimento welfare Acli. Al dibattito verrà presentata anche la relazione della commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza dei migranti da parte del presidente della commissione on. Federico Gelli. Per partecipare al seminario è sufficiente scaricare la scheda d’iscrizione da www.aforismatoscana.net e www.pegasolavoro.eu/it/corsi?tipo=ecm. Per maggiori informazioni: ecm@aforismatoscana.net; info@pegasolavoro.eu e 050.2209491. Alle ore 21:15 l’appuntamento culturale si sposta a Cascina con l’europarlamentare ed ex ministro per l’integrazione Cecile Kyenge presso il teatro parrocchiale del circolo Acli “L. Tellini” di San Prospero (via M. Giuntini 135, loc. San Prospero) dal titolo “Racconto migratorio. Prospettive locali, nazionali, europee tra opportunità e criticità”. Dopo i saluti di Paolo Martinelli presidente Acli Provinciali e don Emanuele Morelli direttore Caritas Diocesana, interverranno Francesco Paletti giornalista e redattore del Dossier immigrazione IDOS, Antonio Russo responsabile alle Politiche Sociali e welfare Acli Nazionali. L’iniziativa è promossa dalle Acli Provinciali all’interno del progetto Punto Famiglia Acli in collaborazione con Caritas Diocesana, Aforisma, Nucleo Acli San Prospero e Nucleo Acli “C. Ciucci”, Centro Studi iCappuccini. “L’iniziativa punta ad approfondire il complesso fenomeno migratorio attraverso un racconto realistico e non strumentale, nel tentativo di comprendere le criticità e le opportunità che le migrazioni pongono>> affermano gli organizzatori .

Repubblica.itPolitica Dietro i saluti fascisti contro Boldrini spuntano tanti sospetti Inviata su Fb alla presidente della Camera una vecchia foto di parà che fanno il saluto romano. Il post è di una simpatizzante leghista, e tra i sostenitori un imprenditore sospettato di coinvolgimento nel caso Alpi di PAOLO BERIZZI 10 giugno 2017 Dietro i saluti fascisti contro Boldrini spuntano tanti sospetti MILANO - Un gruppo di soldati che fanno il saluto romano. Basco amaranto e divisa mimetica. Come i paracadutisti della Brigata Folgore (estranei alla vicenda). Sotto la foto, la dedica: "Con tanto affetto a Laura Boldrini". E' un post su Facebook, l'ultimo di una lunga serie con destinatario la presidente della Camera. Del messaggio colpisce non solo il contenuto (il saluto romano è vietato da due leggi italiane e, indirettamente, dalla XII disposizione transitoria della Costituzione che bandisce la ricomposizione del disciolto partito fascista). Ma anche altri due particolari. Il primo: circola in rete a pochi giorni dalle polemiche - montate da alcuni giornali - sul fatto che Boldrini non abbia applaudito al passaggio della Folgore durante la parata del 2 giugno a Roma per la festa della Repubblica. Il secondo: tra coloro che per primi hanno condiviso il post - di cui è autrice tal Paola Giacobbi, simpatizzante padovana della Lega Nord - c'è il nome di un imprenditore italiano noto alle cronache. Lui è Giancarlo Marocchino, origini vercellesi, per anni potentissimo a Mogadiscio. Di Marocchino si parlò a lungo (ma non fu mai indagato) per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin il 20 marzo 1994 nella stessa Mogadiscio (una vicenda oscura: gli assassini sono ancora senza nome). Una fonte dei servizi segreti italiani aveva detto che poteva essere lui uno dei mandanti dell'omicidio. Una testimonianza risultata senza fondamento. È certo invece che Marocchino si prodigò per portare in Italia la jeep coinvolta nell'agguato, quella sulla quale avrebbero viaggiato la giornalista italiana del Tg3 e il suo cineoperatore: lo fece su incarico della commissione parlamentare d'inchiesta sulla Alpi (presieduta da Carlo Taormina, allora avvocato di Silvio Berlusconi). Dalle carte desecretate del Noe dei carabinieri nel 2015 emerse inoltre che mentre collaborava con la commissione, Giancarlo Marocchino trafficava per organizzare "navi cariche di camion militari", "gomme triturate" e "acido solforico" da spedire in Somalia per aiutare i signori della guerra. È curioso ritrovare ora il suo nome tra coloro che hanno condiviso il post "politico" contro la seconda carica dello Stato. In generale, la foto del saluto romano collettivo suona come una risposta "mirata". Dopo la recente parata per la Festa della Repubblica, la presidente della Camera era stata oggetto di un'aspra polemica da parte di alcuni giornali di destra: colpevole di non avere applaudito al passaggio dei paracadutisti della Brigata Folgore. Per come sono vestiti - divisa mimetica e basco amaranto - i soldati che fanno il saluto fascista nella fotografia postata su Fb ricordano quelli della Folgore. Si tratta di un'immagine che gira in rete da anni. Nell'aprile del 2016 è stata ripresa anche sul sito del periodico d'area "A tutta destra" a corredo di un articolo dove si parlava del caso di un gruppo di parà che in un video cantava l'inno facista "se non ci conoscete": una vicenda sulla quale lo Stato Maggiore dell'esercito avviò un'inchiesta interna. Tornando al post dedicato "con tanto affetto" a Boldrini, va infine ricordato l'impegno della presidente della Camera sul tema dell'odio che circola sul web e in particolare sui social network. Odio di cui la stessa Boldrini ha denunciato di essere stata più volte vittima (in alcuni post veniva insultata la sorella, morta da anni, ndr).

mercoledì 29 novembre 2017


Invia per email Stampa 29 novembre 2017 di Tommaso Cerno 1,6mila Il caso di Como inquieta più della violenza di Ostia. Pochi fotogrammi di un video che ci mostrano il ritorno di una destra fascista che si sente nel pieno diritto di cittadinanza democratica. La scena che abbiamo documentato è surreale. Ed è destinata a ripetersi ancora. Perché ci mostra il salto di qualità che i gruppi neonazisti stanno facendo in Italia, coscienti che la pregiudiziale contro di loro è caduta e che a destra ormai il ritorno di slogan, sigle e simboli che credevamo sepolti dalla storia è considerata normale da molti italiani. Accade qualcosa di simile a ciò che avveniva negli anni Venti, quando ancora ripetevamo che non c'era alcun pericolo. Che tutto era normale. Che si trattava di gruppi isolati. LA CRONACA L'irruzione in stile squadrista Ecco, un gruppo "isolato" di Skinhead è partito dal Veneto per una trasferta "ideologica" nel comasco. Si tratta di uno dei gruppi neofascisti più antichi e forti della destra estrema italiana. Non hanno in mente di menare le mani, ma di spaventare le menti. Di interrompere la vita democratica del Paese comparendo dal nulla, di congelare per qualche minuto il diritto di discussione durante una riunione di "Como senza frontiere", una rete che unisce decine di associazioni che si occupano di migrazioni. Siamo a Como al chiostrino di Santa Eufemia. Gli Skinhead venuti dal Veneto entrano in fila indiana, come una squadra militare. Sono tutti rasati, identici nell'espressione del volto, chiusi nel loro bomber nero, con lo sguardo vuoto. Il capo banda, o chi è stato delegato a parlare per tutti, si porta al centro della sala. Tiene in mano un foglio per leggere. L'effetto è quello di un vero e proprio proclama dai toni inquietanti. Il tono è pacato e scandito. Nella sua voce c'è qualcosa di freddo. La lettura è frastagliata, come se non comprendesse a pieno il senso delle parole scritte lì sopra, probabilmente scritte da qualcun altro. Como: blitz degli skinhead nella sede pro-migranti, la forza pacifica degli aggrediti Non ci sono voci alzate, né urla. Non c'è la violenza fisica e nemmeno la minaccia. Non c'è il sangue di Ostia, il giornalista con il naso rotto dal rampollo Spada. C'è il gelo di chi vede accadere qualcosa che sembrava sepolto nella storia. E che invece riemerge dal buco nero del nazionalismo che l'Italia, come l'Europa, in questi decenni hanno tenuto sotto le braci ma non hanno mai spento davvero. Ciò che inquieta di queste immagini è proprio la normalità, il conformismo di quel gruppo di neonazisti che si sentono di nuovo in pieno diritto di agire alla luce del sole. E' un gruppo conosciuto, sono partiti da Como due giorni fa per un tour neonazi. Qualcosa che somiglia all'annuncio di un ritorno nelle strade. Una specie di avvertimento, di rito iniziatico che annuncia la loro battaglia nel silenzio generale del Paese. E di fronte a uno Stato impotente, che non sa come classificare questo episodio. Non usano la parola fascismo, non inneggiano al Duce o al Führer, schivano le trappole dei divieti di stato. Parlano di migranti, di razza, di patria. Le parole d'ordine sono quelle della destra xenofoba, ma sono agganciate alla paura di futuro dell'Italia degli ultimi: lavoro, schiavismo, padroni, immigrazione, popoli sacrificati al capitalismo, propaganda, clericalismo. Le facce di chi ascolta sono basite, a metà fra gentilezza e paura. Lo skinhead con il foglio in mano finisce di leggere e si commiata "autorizzando" il gruppo a riprendere la discussione su "come rovinare la nostra patria". E' la minaccia più velata e più strisciante, quella del conformismo fascista che più di tutte ricorda gli anni Venti. La gentilezza di chi ti dice che puoi continuare a parlare, ora che ti è stato detto che ciò che dici sta tornando a essere pericoloso. Per te e per gli altri. Si sente una voce alzarsi dal gruppo e chiedere "rispetto" allo Skinhead. E' lo stesso rispetto, dicono quelli di "Como senza frontiere", che loro hanno tenuto nei confronti degli skinhead. I quali, ordinatamente, come militari, escono dalla stanza lasciando il proclama - in modo da poter essere studiato - uno identico all'altro. Per spostarsi chissà dove a ripetere quelle inquietanti e pacate minacce. Nell'Italia che, ormai settantadue anni fa, aveva bandito dalla Costituzione il fascismo.

Qualcuno ogni tanto mi chiede che cosa realmente io voglia dire quando scrivo “mondo civile” o “paesi civili”. Ebbene oggi in parlamento il premier canadese Justin Trudeau ha chiesto formalmente scusa alle persone Lgbt in passato oggetto di discriminazioni per il loro orientamento sessuale, stanziando 100 milioni di dollari perché siano - per quanto possibile - risarcite. Io definisco il Canada un paese civile. Franco Buffoni su FB

Saranno tutti denunciati per violenza privata, già quattro identificati. Irruzione squadrista di una quindicina del Veneto Fronte Skinhead durante una assemblea della Rete Como Senza Frontiere. La lettura del proclama: "Basta invasione". E la forza pacifica degli aggrediti di PAOLO BERIZZI Stampa 29 novembre 2017 Un'irruzione in pieno stile squadrista, ma con una pacatezza inquietante. Fermi, in piedi. Il cranio rasato, i bomber scuri. E un volantino. Letto a mo' di "proclama" per dire "basta invasione", stop ai migranti e a chi li accoglie. Il blitz fascista e razzista - di cui "Repubblica" mostra il video (diffuso in rete da Baobab Experience) - è andato in scena l'altra sera a Como. Gli autori sono una quindicina di naziskin del Veneto Fronte Skinhead, che - rende noto la questura - saranno tutti denunciati per violenza privata (già quattro dei partecipanti al blitz sono stati indetificati grazie alle immagini). Como: blitz degli skinhead nella sede pro-migranti, la forza pacifica degli aggrediti Che cosa è successo. In una sala al primo piano del Chiostrino di Santa Eufemia era in corso una riunione di Como Senza Frontiere, una rete che unisce decine di associazioni a sostegno dei migranti. Migranti il cui flusso, da un paio d'anni, sta interessando Como (passa di qui una delle rotte dei profughi verso la Svizzera). Sono le 21.15 quando il gruppo di militanti neofascisti irrompe nei locali del Chiostrino. Il "portavoce" legge un volantino delirante in cui si parla di "sostituzione" del popolo europeo con dei "non popoli", e che dà contro a chi offre aiuti e assistenza ai migranti: i "soloni dell'immigrazionismo a ogni costo". "Per tutti voi figli di una patria che non amate più...", scandisce il capo del gruppo, mentre gli altri militanti sono disposti a semicerchio intorno al tavolo dove siedono gli attivisti di Como Senza Frontiere. Lo stupore di chi partecipa alla riunione, e la forza pacifica con la quale i presenti decidono di non reagire alla provocazione, è disarmante. La migliore risposta alla violenza e alla prevaricazione squadrista del gruppo. Ma è evidente che i rappresentanti delle associazioni pro-migranti sono anche spaventati. La scena dura pochi minuti. Dopo la lettura del proclama, il capo del gruppo di Vfs si rivolge così ai padroni di casa: "Ora potete riprendere a discutere di come rovinare la nostra patria e la nostra città". I naziskin a quel punto abbandonano la sala. "Nessun rispetto per voi", dice una delle teste rasate. Il blitz dei neofascisti veneti - hanno sede a Lonigo, in provincia di Vicenza - segue le iniziative di due anni fa, sempre a opera loro e sempre a Como e in altre città: sagome di migranti dipinte a terra di fronte alle sedi della Caritas. In un comunicato diffuso su Facebook il presidente del Vfs, Giordano Caracino, attacca Repubblica e gli "antifascisti": "Siete in grado di trasformare in violenza la lettura di un comunicato...antifascisti. Passi lo scontro che sappiamo rifiutate sempre, ma se proprio non reggete neanche più il confronto democratico basato sull’avere delle idee discordanti, se i vostri timpani sono talmente fragili che si lacerano all’ascolto della verità, smettetela di fare politica, fate altro, origami o ricamo per esempio!". Fondato nel 1986 da Piero Puschiavo e Ilo De Deppo, il Veneto Fronte Skinhead è noto nella galassia dell'ultradestra per la sua matrice antisemita e razzista. E' stato uno dei primi movimenti che hanno importato in Italia la subcultura giovanile del movimento naziskin. A lungo legati alla tifoseria dell'Hellas Verona, nei primi anni 2000 hanno perso smalto a favore di altri gruppi: alcuni militanti sono migrati in Forza Nuova e in altre formazioni "nere". Da qualche mese Vfs è tornata in scena con iniziative sul territorio, sempre nel nord Italia. Nuovo nemico da combattere: i migranti. Dura la condanna dell'Anpi nazionale. "E' intollerabile - dichiara la presidente Carla Nespolo - che un gruppo di chiara ispirazione neofascista interrompa una pacifica riunione per declamare uno sproloquio razzista. Questo ennesimo e vergognoso episodio, come anche la vicenda del corso di formazione per avvocati a Verona presentato dal presidente di un'associazione che si richiama al nazismo, impone una reazione politico-istituzionale immediata e strutturale. Chiederemo un incontro urgente al ministro dell'Interno". TagsArgomenti:migranticomoprovincia di ComofascismoVeneto Fronte SkinheadComo senza frontiereProtagonisti:Piero PuschiavoIlo De Peppo © Riproduzione riservata 29 novembre 2017 DA TABOOLAPROMOSSO

lunedì 27 novembre 2017


R D Repubblica TV 894 La denuncia della Ong: "Soccorsi in mare ritardati per dare priorità ai libici, noi costretti a guardare impotenti" La nave Aquarius di Sos Mediterranèe rientrata a Catania con 421 persone salvate a bordo. "Venerdi abbiamo individuato due gommoni di migranti in difficoltà, ma dall'Italia ci hanno detto di aspettare le motovedette libiche.Sono stati salvati solo dopo quattro ore" di ALESSANDRA ZINITI 27 novembre 2017 La denuncia della Ong: "Soccorsi in mare ritardati per dare priorità ai libici, noi costretti a guardare impotenti" La nave Aquarius (foto dal sito sosmediterranee.org) La nave Aquarius di Sos Méditerranée ha sbarcato a Catania questa mattina le ultime 421 persone salvate nel Mediterraneo in questo weekend di rinnovate partenze dalla Libia e la Ong denuncia: "Noi costretti ad osservare impotenti operazioni dei libici che riportano indietro le persone". L’accusa rilancia quanto avvenuto in questi giorni nel Mediterraneo quando le navi umanitarie ancora presenti, in più occasioni, nonostante avessero individuato gommoni in difficoltà , sono state poi fermate e ricevuto l’ordine di rimanere in stand by perché, nonostante l’operazione fosse in acque internazionali, si è preferito dar priorità alle motovedette libiche anche se queste non erano ancora arrivate. Fortunatamente il ritardo non ha provocato morti. La denuncia della Ong: "Soccorsi in mare ritardati per dare priorità ai libici, noi costretti a guardare impotenti" Venerdi proprio la nave Aquarius è rimasta in stand by per quattro ore a disposizione nonostante avesse individuato due gommoni che navigavano in condizioni di grande rischio. Mentre i migranti disperati chiedevano aiuto. Gli ultimi sbarcati in Italia, 421, sono stati invece soccorsi dalla Aquarius sabato ed erano stipati a bordi di un grosso barcone di legno. Quasi tutti eritrei e somali, il 40 per cento donne. Nicola Stalla, coordinatore dei soccorsi di Sos Méditerranée, racconta: "Abbiamo individuato il gommone che sapevamo, considerate le condizioni meteo e quelle dell’imbarcazione stessa, poteva rompersi e affondare da un momento all’altro. Siamo rimasti pronti ad intervenire con il nostro team e il nostro equipaggiamento professionale. Durante le quattro ore di stand by le condizioni meteo sono peggiorate aumentando cosi il rischio di naufragio". E Sophie Beau, cofondatrice e vicepresidente di Sos Méditerranée international, accusa: "Questo drammatico avvenimento è stato estremamente duro per i nostri team, costretti ad osservare impotenti operazioni che rimandano in Libia persone che fuggono quello che i sopravvissuti descrivono come un vero inferno e che noi non abbiamo mai cessato di denunciare dall’inizio della nostra missione. Sos Méditerranée non può accettare di vedere essere umani morire in mare né di vederli ripartire verso la Libia quando la loro imbarcazione è intercettata dalla Guardia costiera libica. Nonostante le condizioni attuali particolarmente difficili in alto mare il nostro dovere è di restare presenti per soccorrere coloro che cercano di fuggire l’orrore dei campi libici, per proteggerli e per continuare a testimoniare la realtà vissuta da questi uomini, donne e bambini in cerca di protezione".

domenica 26 novembre 2017


renzia.dinca Porcari (Lucca). E’ partita la stagione SPAM 2017 Sguardi oltre i confini -La danza italiana che guarda l’Europa. SPAM-la rete per le arti contemporanee, con sede nei pressi di Lucca, diretta dal coreografo danzatore e formatore Roberto Castello, è partita in concomitanza con Lucca Comics & Games, la manifestazione internazionale del fumetto, seconda solo a Tokio per il numero di presenze. Il gruppo ALDES nato da un’idea di Roberto Castello, dal 1993 produce e promuove opere di sperimentazione coreografica di contaminazione fra diverse discipline. Attualmente gli artisti presenti in ALDES sono: Caterina Basso, Andrea Cosentino, Aline Nari, Stefano Questorio, Giselda Ranieri, Irene Russolillo, Giacomo Verde, Francesca Zaccaria oltre allo stesso Roberto Castello. Aldes- si legge nel volantino consegnato alla prima della nuova stagione “è un progetto politico, un esperimento di gestione responsabile della cultura e dell’azione artistica e del rapporto con il territorio”. Alla prima abbiamo anche avuto una brochure che è un manifesto programmatico: Le ragioni di un nuovo spazio teatrale pubblico, firmato dal Comitato per un Nuovo Spazio Teatrale per la città, un gruppo di cittadini che chiede e documenta la necessità di uno spazio teatrale pubblico a Lucca dopo la mancata realizzazione dell’apertura della Cavallerizza. A partire dal 2008 ALDES cura il progetto SPAM che ospita in un capannone nelle zone delle famose cartiere di Porcari, residenze artistiche internazionali di giovani compagnie e una programmazione multidisciplinare di spettacoli, workshop, attività didattiche e incontri, sostenuto dalla Regione Toscana col progetto Residenze artistiche e culturali nato nel 2013 che comprende 23 strutture fra le più significative presenti sul territorio toscano. La rassegna per sette settimane tutti i mercoledì porta a SPAM alcuni tra i più interessanti spettacoli italiani di danza contemporanea attualmente in cartellone con a seguire nella stessa serata lavori di improvvisazione di danza e musica dal vivo, secondo un consueto e collaudato modello di proposta per il pubblico affezionato. Ha aperto la rassegna il 1 novembre The Speech di Irene Russolillo in collaborazione con la coreografa belga-argentina Lisi Estaras. A seguire Dance performance & Live Music con Stefano Questorio ed Elisa D’Amico e le percussioni di Daniele Paoletti musicista che collabora col cantautore livornese Bobo Rondelli. Terzo appuntamento 2017 di SGUARDI OLTRE I CONFINI La danza italiana che guarda l’Europa di SPAM Good art is Healthy è stato R.OSA_10 esercizi per nuovi virtuosismi di Silvia Gribaudi/ La Corte ospitale con Claudia Marsicano e A corpo libero di e con Silvia Gribaudi/ La corte ospitale. In The Speech Irene Russolillo instaura un quasi onirico rapporto con lo spettatore attraverso microfono e parole (tratte da Autoportrait di Edouard Levé)- una tessitura testuale di suggestioni sulla caduta e sul vuoto, e azioni che le rappresentano icasticamente in forma essenziale e netta. Il lavoro che ha debuttato a Roma, è ricco di implicazioni sonore e visive e condensa una linea felice ed originale avviata dalla giovane performer e danzatrice che col corpo-voce disegna in modo delicato un percorso di comunicazione sottile fra sé ed il pubblico evocativo e poetico di memorie e storie che possono appartenere al singolo ma che possono far identificare lo spettatore dentro topoi esistenziali di forte presa emotiva. Il duo Questorio-D’Amico in improvvisazione con il percussionista Daniele Paoletti narra nello spazio scenico, di incontri fra un uomo e una donna che sfociano in allontanamenti e ritrovamenti di forte impatto. Travolgente la sonorità e timbrica del musicista. A proposito dei due lavori al femminile di mercoledì 15 novembre R.OSA con Claudia Marsicano performer premio UBU 2016 come miglior attrice under 35, diretta da Silvia Gribaudi e A corpo libero di e con la stessa Gribaudi, è apprezzabile la messa in gioco di due corpi che investono sulla scena su un dirompente fattore ironico ed autoironico, trasgredendo con complice e smaliziata consapevolezza tutti i codici più consueti datati, forse, ma certamente sempre ancora in vigore che riguardano la danza e i corpi dei danzatori ma anche la gestione della corporeità della donna nelle diverse età della vita e nella trasformazione del soma. In un mondo dove il modello Barbie magari di plastica, è sempre onnipresente nell’immaginario di madri e figlie (e di padri e fidanzati-principi azzurri), lo smascheramento impudente a cui da anni ci ha abituati Silvia Gribaudi ( lo spettacolo A corpo libero è del 2009 e ha avuto molti premi e riconoscimenti a cominciare da Premio Giovane danza d’autore Veneto), riporta la fisicità femminile dentro la materia, quella che quasi sempre la danza sceglie di non rappresentare in nome di una poetica della bellezza eterea e confortante allo sguardo di modelli di corpi femminili solo magri oppure molto muscolosi. In particolare Claudia Marsicano nella felice collaborazione sulla linea della coreografa Gribaudi ( che ha creato corsi di danza per donne over sessanta), stupisce per la versatilità con cui gioca col proprio corpo, un corpo che rimanda alle immagini e sculture di Botero. Un corpo da cui mai ci si aspetterebbe appunto una lezione di virtuosismi fisici mentre assistiamo invece a un piccolo trattato quasi in forma di lezioni da trainer da corpi allenati e patinati da palestra vip. La performer buca la quarta parete e coinvolge il pubblico nella sua esibizione scatenando spesso ilarità nel pubblico ma non si tratta di manifestazione sarcastica, anzi. E’ la spoliazione di pregiudizi artificiosi e spesso in funzione di corpo idealizzato dato in pasto a mode diete e mercificazione della identità femminile. The speech Interprete Irene Russolillo Trattamento audio Spartaco Cortesi Disegno luci Valeria Foti Produzione Fondazione musica per Roma Testo ( adattato) di Edouard Levé ( Autoportrait) R.OSA dieci esercizi per nuovi virtuosismi di Silvia Gribaudi Coreografia e regia Silvia Gribaudi Performer Claudia Marsicano Produzione Silvia Gribaudi performing arts e la Corte ospitale- Rubiera A corpo libero di e con Silvia Gribaudi Produzione La Corte ospitale-Rubiera Visti a Porcari (Lucca), spazio SPAM il primo e il15 novembre 2017

giovedì 23 novembre 2017


Repubblica.it: il quotidiano online con tutte le notizie in tempo reale.Archivio "Così la nave italiana ignorò gli allarmi" il rapporto top secret sulla strage dei bimbi MALTA. Un segreto agghiacciante accompagna da quattro anni gli accordi tra Italia e Malta su immigrazione e sbarchi. È tutto scritto in un rapporto riservato delle forze armate della Valletta: sette giorni prima dell'avvio dell'operazione Mare nostrum, nave Libra si è mantenuta lontana e non ha risposto alle continue e disperate richieste di soccorso inviate via radio sul canale di emergenza dall'equipaggio di un aereo militare maltese. La fuga del famoso pattugliatore, allora comandato dal tenente di vascello Catia Pellegrino, volto simbolo della Marina militare italiana, avrebbe impedito il salvataggio tempestivo di 480 profughi siriani. Dopo cinque ore di inutile attesa, per l'affondamento del loro barcone che la notte precedente era stato preso a mitragliate da una motovedetta libica, 268 persone sono annegate, tra le quali almeno sessanta bambini. Il retroscena scoperto da L'Espresso, che sul numero di domani allegato a Repubblica dedica una nuova inchiesta alla tragedia, è confermato da fonti qualificate delle "Armed Forces of Malta", le forze armate dell'isola che uniscono in un solo corpo difesa e soccorso. È il naufragio che ha cambiato la storia del Mediterraneo: proprio i morti di quel pomeriggio, l'11 ottobre 2013, una settimana dopo l'altra strage a Lampedusa, hanno convinto l'allora premier Enrico Letta a ordinare l'intervento unilaterale italiano per intercettare tutti i barconi al largo della Libia. E da quel mese, prima con Mare nostrum, poi con le organizzazioni non governative (le Ong), l'Italia si è fatta carico da sola di accogliere oltre seicentomila richiedenti asilo, anche quanti sarebbero potuti approdare a Malta. In altre parole, se quattro anni fa gli ufficiali della Libra (e del comando in capo della Marina italiana) avessero fatto fino in fondo il loro dovere, non ci sarebbe stato bisogno di costose missioni straordinarie. Quello che mettono in pratica i militari italiani è invece un copione di scelte apparentemente contrarie ai codici di condotta in mare. Nelle cinque ore che precedono la tragedia, Catia Pellegrino e il suo pattugliatore sono a poco più di dieci miglia dal peschereccio libico, che sta affondando carico di famiglie e bambini. Meno di un'ora di navigazione. Lampedusa è a 60 miglia nautiche. Malta a 118 miglia, oltre 218 chilometri. E da Roma il comando in capo della Marina ordina alla Libra di andare a nascondersi, perché sia una motovedetta maltese ancora lontana a farsi carico dell'operazione. La comandante Pellegrino esegue. E finora si è sempre saputo che lei e i suoi ufficiali a bordo fossero all'oscuro delle condizioni di pericolo sul barcone. Ma quanto il nuovo numero de L'Espresso racconta è una storia molto diversa. Oltre alla motovedetta, Malta invia un aereo ricognitore, un bimotore a elica King Air B200. Alle quattro del pomeriggio, un'ora e sette minuti prima del rovesciamento, quando la Libra può ancora raggiungere i profughi o almeno mitigare le conseguenze del naufragio, l'equipaggio del King Air avvista il peschereccio. Nota che è sovraccarico di persone e molto instabile perché lo scafo è ormai pieno d'acqua. Ma soprattutto dall'alto i militari maltesi scoprono che da Roma la Guardia costiera e la Marina italiane hanno tenuto nascosta la presenza lì vicino della Libra. La riconoscono dal suo distintivo dipinto sulle sue lamiere: P402. Non c'è più tempo da perdere. Dal King Air chiamano via radio il pattugliatore italiano sul canale 16 Vhf marino, il canale delle emergenze in mare il cui ascolto è obbligatorio. E la Libra non risponde. Chiamano e richiamano disperatamente. All'equipaggio maltese è evidente che il peschereccio sta per rovesciarsi. Dicono più volte alla Libra che il barcone è «overcrowded and very unstable », sovraccarico e molto instabile. Così è scritto nel rapporto. Ma la Libra non risponde e non risponderà. Nemmeno l'elicottero a bordo viene lanciato in volo per valutare la situazione. L'equipaggio maltese chiede alla sua centrale operativa di sollecitare l'intervento della nave italiana. Malta in quel momento è l'autorità internazionale che coordina l'operazione. Parte lo scambio di fax e telefonate con Roma che si conclude con l'ennesimo rifiuto della Marina. Dal King Air, disperati e increduli, centrano la Libra con il loro puntatore laser. E fotografano il pattugliatore di Catia Pellegrino mentre mantiene la prua in una direzione diversa da quella della richiesta di soccorso. Le immagini, un po' sgranate come quelle di un autovelox, dimostrano oggi la fuga della nave italiana. Il barcone dei bambini si rovescia alle 17.07. La motovedetta maltese arriverà a soccorrerli alle 17.51. Nave Libra addirittura alle 18. La comandante Pellegrino non smentisce. Ma il suo avvocato, Gianluca Mongelli, spiega che non può rispondere alle domande per l'esistenza di un procedimento penale. Mercoledì 13 settembre il Gip del Tribunale di Roma, Giovanni Giorgianni, deciderà se accogliere l'opposizione delle famiglie delle vittime alla richiesta di archiviazione. Secondo la Procura romana, infatti, non è stato commesso nessun reato. Tra gli indagati, otto ufficiali: quattro per omissione di soccorso e quattro per omicidio con dolo eventuale. Tra loro, Catia Pellegrino, 41 anni e, si apprende ora, l'ammiraglio Filippo Maria Foffi, 64 anni, fino al 2016 comandante in capo della squadra navale della Marina: due militari premiati dopo il 2013 proprio per le migliaia di persone soccorse durante l'operazione Mare nostrum. «Alla luce di queste nuove prove », commenta Alessandra Ballerini, legale dei genitori che hanno perso in mare i loro bambini, «ma anche alla luce degli audio delle comunicazioni già sentite, siamo certi che questo caso non possa essere archiviato ». ©RIPRODUZIONE RISERVATA LA FAMIGLIA Il medico Mohanad Jammo con i suoi tre figli: i due maschietti Nahel e Mohamad sono morti in mare, l'unica superstite è stata Naya Fabrizio Gatti 09 settembre 2017 sez.

L’accusa di Medici senza Frontiere: “L’Europa sta pagando per gli abusi commessi in Libia” Il presidente della Ong: «I governi hanno scelto di contenere le persone in questa situazione» AFP La presidente di Medici senza frontiere, Joanne Liu 1K 0 Pubblicato il 07/09/2017 Ultima modifica il 07/09/2017 alle ore 18:24 I governi europei stanno pagando per gli abusi criminali commessi sui migranti in Libia, finanziando programmi che impedivano loro di partire per il Vecchio Continente. La denuncia arriva dalla presidente di Medici senza frontiere, Joanne Liu, che in una lettera aperta scrive che il sistema di detenzione in Libia è «un’azienda fiorente di sequestri, torture ed estorsioni». Secondo Liu, «i governi europei hanno scelto di contenere le persone in questa situazione. Le persone non possono essere mandate indietro in Libia, ne devono essere contenute lì». Liu ha quindi contestato le politiche europee che rivendicano una riduzione del numero dei migranti in partenza dalla Libia per l’Europa e dei naufragi nel Mediterraneo. «Nel migliore delle ipotesi, si tratta di pura ipocrisia, e nella peggiore di cinica complicità in un traffico organizzato che riduce gli esseri umani a una merce nelle mani dei trafficanti», ha detto. Msf: “Volete sapere cosa succede in Libia? Ecco cosa ho visto con i miei occhi” La lettera aperta è stata inviata da Msf anche al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, oltre che a tutti gli altri leader degli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione Europea per denunciare le atroci sofferenze che le loro politiche sulla migrazione stanno alimentando in Libia. «Il dramma che migranti e rifugiati stanno vivendo in Libia dovrebbe scioccare la coscienza collettiva dei cittadini e dei leader dell’Europa», si legge nella lettera firmata anche da Loris De Filippi, presidente di Msf in Italia, oltre che da Liu. «Accecati dall’obiettivo di tenere le persone fuori dall’Europa, le politiche e i finanziamenti europei stanno contribuendo a fermare i barconi in partenza dalla Libia, ma in questo modo non fanno che alimentare un sistema criminale di abusi». Msf assiste le persone nei centri di detenzione di Tripoli da più di un anno e ha visto questo schema di detenzione arbitraria, estorsioni, abusi fisici e privazione dei servizi di base che uomini, donne e bambini subiscono in questi centri, spiega l’organizzazione in un comunicato. «La detenzione di migranti e rifugiati in Libia è vergognosa. Dobbiamo avere il coraggio di chiamarla per quello che realmente è: un’attività fiorente che lucra su rapimenti, torture ed estorsioni» continua la lettera aperta di Msf. «Le persone sono trattate come merci da sfruttare. Ammassate in stanze buie e sudicie, prive di ventilazione, costrette a vivere una sopra l’altra. Le donne vengono violentate e poi obbligate a chiamare le proprie famiglie e chiedere soldi per essere liberate. La loro disperazione è sconvolgente», prosegue la missiva. Perché la Ong Medici senza frontiere soccorre i migranti nel Mediterraneo? «Chi è davvero complice dei trafficanti: chi cerca di salvare vite umane oppure chi consente che le persone vengano trattate come merci da cui trarre profitto?», si domanda Msf nella lettera. «La Libia è solo l’esempio più recente ed estremo di politiche migratorie europee che da diversi anni hanno come principale obiettivo quello di allontanare le persone dalla nostra vista. Tutto questo toglie qualunque alternativa alle persone che cercano modi sicuri e legali di raggiungere l’Europa e le spinge sempre più in quelle reti di trafficanti che i leader europei dichiarano insistentemente di voler smantellare», prosegue. Per Msf, vie legali e sicure perché le persone possano raggiungere paesi sicuri sono l’unico modo per proteggere i diritti delle persone in fuga, assicurare un controllo legale delle frontiere europee e rimuovere quei perversi incentivi che consentono ai trafficanti di prosperare: «Le persone intrappolate in queste ben note condizioni da incubo hanno disperato bisogno di una via di uscita. Devono poter accedere a protezione, asilo e quando possibile a migliori procedure di rimpatrio volontario. Hanno bisogno di un’uscita di emergenza verso la sicurezza, attraverso canali sicuri e legali». «Non possiamo dire che non sapevamo quello che stava accadendo. Non possiamo continuare a tollerare questo vergognoso accanimento sulla miseria e la sofferenza delle persone in Libia», conclude la lettera di Msf. «Permettere che esseri umani siano destinati a subire stupri, torture e schiavitù è davvero il prezzo che, per fermare i flussi, i governi europei sono disposti a pagare?», conclude la lettera.

mercoledì 22 novembre 2017


L'INCHIESTA Naufragio dei bambini, nuove verità sulla strage Secondo i rapporti dei maltesi, le telefonate dimostrano come ci siamo tenuti lontani dal barcone affondato. Ma i magistrati romani hanno ignorato i documenti e non hanno voluto ascoltare nessuno dei sopravvissuti di quell'11 ottobre, quando morirono 60 bimbi nel Mediterraneo. E ora si prepara l'archiviazione dell'indagine DI FABRIZIO GATTI 13 settembre 2017 5 FACEBOOK TWITTER PINTEREST GOOGLE EMAIL Naufragio dei bambini, nuove verità sulla strage Un segreto accompagna da quattro anni gli accordi tra Italia e Malta su immigrazione e sbarchi. Sette giorni prima dell’inizio dell’operazione Mare Nostrum, la nave Libra, il pattugliatore allora comandato dal tenente di vascello Catia Pellegrino, il volto simbolo della Marina militare, non ha risposto alle continue e disperate richieste di soccorso inviate via radio sul canale di emergenza dall’equipaggio di un aereo militare maltese. La mancata risposta, secondo un rapporto custodito dalle forze armate della Valletta, avrebbe impedito il salvataggio tempestivo di 480 profughi siriani in fuga da Aleppo e da altre città: dopo cinque ore di inutile attesa, per l’affondamento del loro barcone che la notte precedente era stato preso a mitragliate da una motovedetta libica, 268 persone sono annegate, tra le quali almeno sessanta bambini. Per tutte quelle cinque ore, la Libra era a meno di un’ora di navigazione. VEDI ANCHE: ESPRESSOOCCHIB-20170509105600168-jpg «Stiamo morendo, per favore»: le telefonate del naufragio dei bambini 11 ottobre 2013: la nave Libra della Marina militare è a poche miglia, ma la Guardia costiera italiana chiede a Malta di dirottare i mercantili civili molto più lontani. «Il capo deve trovare una nave commerciale», dice ai maltesi la sala operativa di Roma mentre il barcone carico di profughi sta affondando. Ecco le conversazioni mai ascoltate prima È il naufragio che ha cambiato la storia del Mediterraneo: proprio i morti di quel pomeriggio, l’11 ottobre 2013, una settimana dopo l’altra strage a Lampedusa, hanno convinto il premier Enrico Letta a ordinare l’intervento unilaterale italiano per intercettare tutti i barconi al largo della Libia. E da allora, prima con Mare Nostrum poi con le organizzazioni umanitarie (le Ong), l’Italia si è fatta carico da sola di assistere oltre seicentomila uomini, donne e bambini raccolti dal mare. Anche quelli destinati a Malta. In altre parole, la storia recente sarebbe potuta andare diversamente e non ci sarebbe stato bisogno di missioni come Mare Nostrum, se quattro anni fa gli ufficiali della Libra (e del comando in capo della Marina militare italiana) avessero fatto fino in fondo il loro dovere. VEDI ANCHE: Lampedusa Naufragio dei bambini, la comandante e i tre ufficiali indagati per omicidio Il Tribunale di Agrigento respinge la richiesta di archiviazione. Il giudice: la loro condotta ha «cagionato la morte di circa 300 migranti al largo di Lampedusa». Per i militari della Guardia costiera e della Marina ipotizzato il dolo eventuale Il retroscena, scoperto dall’Espresso, è confermato da fonti qualificate delle Armed Forces of Malta, le forze armate dell’isola, che riuniscono in un solo corpo difesa e soccorso. E che nell’operazione di quel giorno hanno invece fatto tutto il possibile per salvare i passeggeri del peschereccio. Catia Pellegrino, 41 anni, famosa per essere stata la prima donna a comandare una nave da guerra italiana e testimonial della Marina sotto il comando dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi durante i mesi di Mare Nostrum, non smentisce il fatto. Ma il suo legale spiega che non può rispondere alle nostre domande: «In ragione dell’esistenza di un procedimento penale relativo alla nota vicenda», scrive l’avvocato Gianluca Mongelli, «nonché in ragione delle facoltà derivanti dalla mia posizione di difensore di fiducia del comandante Pellegrino, la stessa non potrà fornire alcuna informazione specifica né personalmente, né per il mio tramite, relativamente ai fatti che, ribadisco, sono oggetto di procedimento penale». Quella raccontata nel rapporto delle Armed Forces of Malta è una storia molto diversa dalla versione riferita ai magistrati della Procura di Roma dagli ufficiali italiani. Una storia confermata dalle registrazioni di quel giorno, che non sono mai state ascoltate. La mancata risposta della Libra alla richiesta diretta di intervento sul canale di emergenza, una violazione delle norme civili e militari di soccorso in mare, non appare infatti negli atti delle indagini. Quando l’aereo ricognitore maltese, un grosso bimotore a elica Kingair B200, raggiunge il cielo sopra il barcone sono le 16 dell’11 ottobre. La prima chiamata dal peschereccio arriva alla centrale operativa di Roma della Guardia costiera alle 12.26. L’sos lo lancia uno dei tanti medici a bordo, Mohanad Jammo, in fuga dalla Libia con la moglie e i tre figli piccoli. Sanno di essere ad appena 60 miglia da Lampedusa (dove due motovedette della Guardia di finanza resteranno tranquillamente ormeggiate in porto fino a naufragio avvenuto). Nave Libra, il pattugliatore della Marina italiana, è ad appena un'ora e mezzo di navigazione da un barcone carico di famiglie siriane che sta affondando. Ma per cinque ore viene lasciata in attesa senza ordini. Il pomeriggio dell'11 ottobre 2013 i comandi militari italiani sono preoccupati di dover poi trasferire i profughi sulla costa più vicina. Così non mettono a disposizione la loro unità, nonostante le numerose telefonate di soccorso e la formale e ripetuta richiesta delle Forze armate maltesi di poter dare istruzioni alla nave italiana perché intervenga. Il peschereccio, partito dalla Libia con almeno 480 persone, sta imbarcando acqua: era stato colpito dalle raffiche di mitra di miliziani che su una motovedetta volevano rapinare o sequestrare i passeggeri, quasi tutti medici siriani. Quel pomeriggio la Libra è tra le 19 e le 10 miglia dal barcone. Lampedusa è a 61 miglia. Ma la sala operativa di Roma della Guardia costiera ordina ai profughi di rivolgersi a Malta che è molto più lontana, a 118 miglia. Dopo cinque ore di attesa e di inutili solleciti da parte delle autorità maltesi ai colleghi italiani, il barcone si rovescia. Muoiono 268 persone, tra cui 60 bambini. In questo videoracconto "Il naufragio dei bambini", L'Espresso ricostruisce la strage: con immagini inedite, le telefonate mai ascoltate prima tra le Forze armate di Malta e la Guardia costiera italiana, e le strazianti richieste di soccorso partite dal peschereccio. In quattro anni, dopo le denunce dei sopravvissuti, nessuna Procura italiana ha portato a termine le indagini (di Fabrizio Gatti) Ma i siriani sono entrati nell’area di ricerca e soccorso di competenza di Malta. E, anche se l’isola-Stato è molto più lontana da loro, a 118 miglia, l’ufficiale di servizio della Guardia costiera italiana passa l’intervento ai maltesi. Lo fa seguendo questa curiosa procedura: non comunica che la barca sta affondando e che l’acqua nello scafo ha già raggiunto il mezzo metro (telefonata delle 13); riferisce al dottor Jammo la falsa informazione di essere più vicino a Malta che a Lampedusa (telefonata delle 13.18); pur rappresentando fino a quel momento l’autorità di coordinamento dei soccorsi, verifica in ritardo che Malta non ha ricevuto da Roma la formalizzazione della richiesta di intervento via fax (telefonata delle 14.35); non rivela mai ai maltesi l’esatta posizione di Libra, che è in pattugliamento a una decina di miglia dal barcone e ha un elicottero a bordo, con cui avrebbero già potuto valutare in pochi minuti di volo le esatte condizioni di pericolo. Le informazioni incomplete che trasmette l’Italia inducono la centrale operativa maltese a trattare il caso all’inizio come una semplice segnalazione di avvicinamento di un barcone carico di profughi. Non come una chiamata di emergenza. Il cielo è sereno. Il mare quasi calmo. Il sole ancora alto. La P61, la motovedetta maltese più vicina, è in pattugliamento a 71 miglia a Sud dell’isola. Dalle 14 ha ricevuto l’ordine di avvicinarsi al punto e tenersi a disposizione, ma è ancora a quasi quattro ore di navigazione. Il dottor Jammo, su invito della Guardia costiera, comincia a telefonare anche a Malta. E la centrale operativa decide di mandare il suo aereo ricognitore a verificare la situazione. Alle 16 dopo oltre mezz’ora di volo, l’equipaggio del Kingair inquadra la superficie del mare con la telecamera di bordo e vede subito che il barcone è sovraccarico di persone ed è molto instabile: sbanda e si inclina pericolosamente su un fianco e sull’altro per l’acqua che sta imbarcando. Ma soprattutto, dall’aereo, scoprono che da Roma la Guardia costiera ha tenuto nascosta la presenza lì vicino di una nave costruita e attrezzata proprio per i soccorsi in mare. Leggono sulle sue lamiere grigie il distintivo ottico: P402. Riconoscono che è la Libra. Hanno già collaborato molte volte nei soccorsi. Hanno anche comunicato direttamente. Così dall’alto i maltesi fanno la cosa più normale per qualunque equipaggio addestrato a navigare o volare in mare aperto: chiamano la nave italiana sul canale 16 Vhf marino, quello riservato alle comunicazioni di emergenza. E la Libra non risponde. Dal Kingair richiamano e sempre via radio spiegano il perché della loro richiesta. Nel rapporto è scritto che dicono più volte alla Libra che il barcone è «overcrowded and very unstable», sovraccarico e molto instabile. E per questo ha bisogno di aiuto immediato. Volano in circolo sul pattugliatore e sul peschereccio. Le due imbarcazioni sono così vicine che dall’alto possono vederle in un solo colpo d’occhio. Sempre nel rapporto hanno scritto che chiamano e richiamano la Libra per due minuti senza sosta. Sperano che il canale 16 gracchi finalmente quello che si aspettano: «P402, roger». Due minuti di chiamate di emergenza sono un tempo lunghissimo. Ma, sempre secondo il rapporto maltese, la Libra continua a ignorare la chiara e dettagliata richiesta lanciata dai militari sull’aereo. Non è solo uno sgarbo a una forza armata alleata e a uno Stato dell’Unione Europea e della Nato: Malta in quel momento rappresenta anche l’autorità di coordinamento e comando della missione di ricerca e soccorso in mare. Dal ricognitore chiamano allora la loro centrale operativa, chiedendo di dire a Roma che è necessario dare subito istruzioni dirette alla nave italiana. Non c’è più tempo da perdere. Solo la Libra può salvare quei bambini. Adesso tocca all’ufficiale di servizio, il maggiore Ruth Ruggier, la prima donna ufficiale di Malta. Fa mandare i fax formali di richiesta. E telefona alla Guardia costiera. Spiega che la motovedetta maltese è ancora lontana. Che la nave commerciale più vicina è addirittura a 70 miglia. Ma dal comando in capo della Marina militare, il Cincnav, dicono no. E la Guardia costiera si limita a riferire. L’ordine preciso lo pronuncia il capitano di fregata Luca Licciardi, capo sezione attività correnti del Cincnav. Con queste parole: dice che la Libra «non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette» maltesi e che deve tenersi a una distanza «tale da poter vedere se sta pisciando in un cestino di frutta ovvero se sta lanciando missili balistici» (telefonata delle 15.37). L’ordine viene poi girato a Catia Pellegrino con la telefonata delle 15.41. A quell’ora al Cincnav sanno che Malta ha inviato soltanto una lenta motovedetta. Non si aspettano l’arrivo dell’aereo. VEDI ANCHE: migranti Naufragio dei bambini: «Ecco perché quegli ufficiali vanno indagati per omicidio» «Ampiamente prevedibile»: ecco l'ordinanza del Tribunale di Agrigento che ha disposto la riapertura dell'inchiesta con la nuova ipotesi di reato L’equipaggio del Kingair non può sentire le conversazioni tra gli ufficiali italiani. Ma lassù sono ugualmente infuriati e disperati. Non rispondere alle chiamate dirette sul canale 16 è un fatto grave. Quindi per tre volte mirano il loro puntatore laser sulla Libra. Zoomano la telecamera al massimo ingrandimento. E per tre volte scattano la foto corredata di data, ora, velocità e punto geografico. Vedono che il pattugliatore, invece di avvicinarsi, si è addirittura allontanato. La comandante Pellegrino fa percorrere alla sua nave un arco di circonferenza, mantenendosi a una distanza costante di diciannove miglia dal barcone. I motori al minimo. La prua in navigazione nella direzione opposta a quella del peschereccio che sta affondando. VEDI ANCHE: Schermata-2017-06-08-alle-09-27-53-png Naufragio dei bambini, la risposta della Marina: «Provvedimenti contro i responsabili della strage» Lo Stato maggiore: se in sede giudiziaria emergeranno responsabilità definitive dei singoli, interverremo con fermezza. Ma non vanno delegittimati i militari che si sono prodigati nel salvataggio di centinaia di migliaia di persone I piloti inquadrano e scattano. La targa della Libra in evidenza: P402. È la prova che documenta la fuga degli ufficiali italiani dal dovere di soccorrere quasi 500 innocenti alla deriva. Alle 16, alle 16.30, alle 17 sono ancora tutti vivi. Sia gli adulti, sia i cento bambini a bordo. Il peschereccio si rovescia alle 17.07. Alla prima chiamata sul canale 16 Catia Pellegrino ha ancora più di un’ora per salvarli o perlomeno per mitigare le conseguenze del naufragio. La P61 arriverà in zona prima degli italiani, ma soltanto alle 17.51. La Libra addirittura alle 18: cinque ore e 34 minuti dopo la prima telefonata dal barcone. Appena 212 persone verranno portate a terra vive, insieme con 26 cadaveri: il resto delle famiglie e dei bambini, compresi due dei tre figli del dottor Jammo, sono ancora lì, in fondo al mare. Forse sulla Libra non stavano ascoltando il canale 16? I militari maltesi contattati dall’Espresso sorridono. Impossibile, dicono. Su tutte le navi militari del mondo c’è un ufficiale addetto alle comunicazioni radio. Non possono non aver sentito. Il canale 16 deve essere costantemente monitorato. È un obbligo anche per le navi civili. Soprattutto se c’è un’operazione di soccorso in atto. La testimonianza maltese coinvolge quindi tutta la catena di comando a bordo del pattugliatore italiano: dall’ufficiale addetto alle telecomunicazioni alla comandante. Catia Pellegrino è già indagata in due inchieste ereditate per competenza territoriale dalla Procura di Roma. In una è accusata di omicidio con dolo eventuale. Per lo stesso reato è indagato, si apprende ora, anche Filippo Maria Foffi, 64 anni, l’ammiraglio di Mare Nostrum fino al 2016 comandante in capo della squadra navale della Marina, oltre ai tenenti di vascello Clarissa Torturo, 40 anni, e Antonio Miniero, 42, i due ufficiali della centrale operativa della Guardia costiera che hanno gestito le numerose richieste di intervento via telefono satellitare dal peschereccio carico di bambini e via telefono e fax dall’autorità militare maltese. La comandante Pellegrino è anche indagata, per lo stesso naufragio, in un secondo procedimento per omissione di soccorso con i capitani di fregata Nicola Giannotta, 43 anni, e Luca Licciardi, 47, sottoposti quel pomeriggio alla catena di comando dell’ammiraglio Foffi, e Leopoldo Manna, 56 anni, capo della centrale operativa della Guardia costiera. Per tutti loro la Procura di Roma, con atto firmato anche dal procuratore Giuseppe Pignatone, ha comunque chiesto l’archiviazione. I magistrati, per le due inchieste che hanno ereditato da Palermo e da Agrigento, non hanno voluto sentire la testimonianza di nessuno dei sopravvissuti e nemmeno hanno chiesto all’autorità maltese i rapporti sul naufragio. Mercoledì 13 settembre il Gip, Giovanni Giorgianni, dovrà quindi decidere se archiviare le accuse contro gli ufficiali oppure no, sulla base di un’indagine che non è andata oltre le parziali versioni della Marina militare italiana. «Alla luce di queste nuove prove», commenta l’avvocato delle famiglie, Alessandra Ballerini, che ha presentato opposizione alla richiesta di chiudere le indagini senza nemmeno un processo, «ma anche alla luce degli audio delle comunicazioni già sentiti da noi e dalla Procura, siamo certi che questo caso non possa essere archiviato. Auspichiamo invece che tutti i testimoni possano essere sentiti dalla nostra autorità giudiziaria e possano essere acquisiti tutti gli atti e le comunicazioni che ancora mancano». Nel verbale di interrogatorio di Catia Pellegrino infatti non compare nessun riferimento alle chiamate di soccorso sul canale 16: «La Pellegrino», è invece scritto nella richiesta di archiviazione firmata dal procuratore Pignatone e da due pubblici ministeri, «ha chiarito il momento in cui ha percepito che il natante con a bordo i migranti era in una situazione di pericolo, fissandolo alle 17.14, ossia quando ha avuto la comunicazione che il natante si era ribaltato». Il rapporto dei militari maltesi e le foto scattate dal loro aereo aprono oggi un buco di un’ora e quattordici minuti nella memoria di quel pomeriggio: lì dentro da quattro anni si nasconde il segreto di una generazione di ufficiali italiani che, dopo essere scappata di fronte al dovere, non ha ancora raccontato tutto quello che sa.

Scieri obbligato a spogliarsi e picchiato È l’ipotesi della commissione d’inchiesta: gli fecero togliere i jeans e lo malmenarono prima di farlo salire sulla scala di Pietro Barghigiani PISA. Costretto a togliersi i pantaloni, picchiato e poi obbligato a rivestirsi e a salire sulla scala. È la sequenza che precede la caduta mortale di Emanuele Scieri la sera del 13 agosto 1999 nella Gamerra ipotizzata dalla presidente della commissione d’inchiesta Sofia Amoddio (Pd) nel corso dell’audizione a Roma dell’allora pm, Giuliano Giambartolomei, il magistrato che condusse le indagini e poi chiese l’archiviazione prospettando due possibili scenari: prova di forza del parà finita male o atto di nonnismo subìto appena arrivato in caserma. È stata un’audizione durata poco più di un’ora quella del magistrato, nel frattempo andato in pensione e che ora svolge l’attività di avvocato a Pisa. Quella ferita al polpaccio. A distanza di 18 anni dal fatto, la commissione gli ha sottoposto un particolare di cui l’allora pm non era mai venuto a conoscenza. Una ferita al polpaccio sinistro di Scieri. «Abbiamo spaccato il capello in 48 - ha risposto l’ex magistrato - e non so spiegarmi perché non abbia fatto caso a questo elemento». Per la presidente Amoddio quella ferita dà credito all’ipotesi dell’aggressione contro il 26enne siracusano sul posto in cui poi venne trovato morto alle 14,08 del 16 agosto, l’area di asciugatura dei paracadute. «I consulenti della Procura, della famiglia Scieri e della commissione concordano nell’affermare che la ferita sul dorso del piede sinistro di Emanuele non può essere stata provocata dalla caduta, ma da terzi – ha esordito l’onorevole Amoddio – E anche la ferita - impastata con pietrisco e vernice del tavolo - al polpaccio dello stesso arto con il sangue che macchia il jeans dall’interno può significare che Scieri sia stato malmenato sulla gamba nuda e poi costretto a salire sulla scala. Questo passaggio non compare nella richiesta di archiviazione della Procura». Ipotesi suicidio. L’ex pm non andò alla Gamerra dopo il ritrovamento del corpo. Spiega così la ragione dell’assenza: «Fui stoppato dal medico legale, il quale mi disse che all’80 per cento era un suicidio perché aveva trovato degli psicofarmaci nell’armadietto di Scieri». Dopo qualche giorno lo scenario cambiò e il 22 agosto arrivarono i Ris. Scena del delitto contaminata. La presidente ha rilevato quanto la scena del delitto sia stata contaminata dalla presenza di tre nuclei dei carabinieri. «Uno addirittura salì sulla scala ferendosi a una mano e quel sangue venne poi repertato – ha dichiarato l’onorevole Amoddio –. Non furono prese le impronte digitali sulla torre. Dalle relazioni si legge che c’erano tracce di sangue ma non si sa a chi appartengano». Su questi “buchi neri” elencati dalla commissione d’inchiesta, Giambartolome prima di rispondere ha voluto sottolineare un certo disagio circa la sua convocazione a Palazzo San Macuto. «È un’audizione o una critica alle indagini?» Quindi ha spiegato di non aver mai saputo dai carabinieri delle tracce di sangue. «Si parlava solo di macchie – ha chiarito l’allora pm. All’inizio l’indagine fu abbastanza caotica. E, infatti, il nucleo iniziale dei militari venne poi sostituito». C’è poi un altro dettaglio che per i commissari non è mai stato chiarito e che la Procura non ha mai accertato fino in fondo. Un carabiniere sul luogo del delitto prese dal marsupio il cellulare di Scieri e chiamò il suo telefonino. Ufficialmente per avere il numero del parà e poi fare ricerche attraverso i tabulati. «Che bisogno c’era di fare quella telefonata? Per noi quel comportamento è un vulnus nelle indagini» ha scandito la presidente Amoddio ritenendo quel gesto l’ennesima contaminazione in una fase iniziale e per questo vulnerabile delle indagini. La telefonata al comandante Celentano. La commissione parte da due fatti. Il primo è la telefonata partita dal cellulare in uso al comandante della Folgore, Enrico Celentano alla sua utenza domestica a Livorno alle 23,48 del 13 agosto 1999. Scieri è agonizzante ai piedi della scala (perse due litri di sangue dalla testa e morì dopo qualche ora, ndr). Il secondo è l’ispezione dello stesso Celentano alle 5,30 del 15 agosto alla Gamerra. Viene chiesto a Giambartolomei se e come approfondì quei due fatti che appaiono come coincidenze anomale. Di sicuro sufficienti a instillare il dubbio che qualcuno sapesse fin da subito cosa era successo e non lo disse facendo passare tempo prezioso per salvare Lele. «No, non lo feci» è stata la risposta dell’ex sostituto procuratore a Pisa che, congedandosi dalla commissione, ha augurato «di arrivare dove non sono riuscito io, alla verità. Mi farebbe molto piacere».

lunedì 20 novembre 2017


Il fronte delle organizzazioni non governative si spacca sul codice di condotta per le Ong che fanno Ricerca e Soccorso (SAR): Medici senza frontiere non firma, mentre firma Save the children Italia. “Non possiamo accettare prima di tutto la presenza di ufficiali militari e armi a bordo richiesta dal codice”, spiega il direttore generale di MSF Italia, Gabriele Eminente, al termine dell’incontro decisivo al Viminale. “In tutto il mondo chiediamo che le armi restino fuori dagli ospedali di Msf, anche, ad esempio, in Afghanistan. Per le nostre navi vale lo stesso”. Cosa cambia ora? Non è chiaro. “Noi auspichiamo di continuare la proficua collaborazione con le istituzioni italiane e con la Guarda costiera e continueremo a fare riferimento alle leggi nazionali e internazionali che già esistono”.

SOCIETÀ E POLITICA » EVENTI » 2017-ACCOGLIENZA ITALIA Svolta sul naufragio dei bambini “A processo gli ufficiali italiani” di FABRIZIO GATTI la Repubblica, 14 novembre 2017.«Il gip nega l’archiviazione per la strage di migranti dell’11 ottobre 2013 Smentita la versione della Marina: “Non ordinò alla Libra d’intervenire”. 268 i morti nel naufragio dell’11 ottobre 2013: 60 erano bambini in fuga dalla Siria» SUL naufragio dei bambini c’erano due verità. Quella riferita dalla Marina militare al Parlamento. E quella dei papà sopravvissuti al massacro, raccontata nel film-inchiesta “Un unico destino”, prodotto da Espresso e Repubblica con 42° Parallelo e Sky. Ieri mattina il giudice per le indagini preliminari di Roma, Giovanni Giorgianni, ha dimostrato che la versione consegnata dai militari alla massima istituzione della Repubblica non è vera. È l’effetto più evidente della decisione del Tribunale, che ha respinto la richiesta di archiviazione della Procura e accolto gran parte del ricorso degli avvocati delle vittime, Alessandra Ballerini, Emiliano Benzi e Arturo Salerni: le 268 persone annegate nel naufragio dell’11 ottobre 2013, tra cui sessanta bimbi in fuga dalla Siria, potevano e dovevano essere salvate. Per questo il giudice ha stabilito l’imputazione coatta, cioè la necessità di un processo, per due alti ufficiali in servizio quel giorno e un supplemento di indagini per la comandante di nave Libra, l’allora tenente di vascello Catia Pellegrino, 41 anni, famoso volto immagine della Marina. Omicidio colposo e omissione d’atti d’ufficio, i reati contestati. Una decisione inevitabile, che riaccende le preoccupazioni su quanto sta ora accadendo in mare tra la Libia, Malta e l’Italia: le regole d’ingaggio sono praticamente le stesse. Sono passati quattro anni dal naufragio dell’11 ottobre. Ma i muri di gomma costruiti intorno a quel pomeriggio hanno rinviato a oggi la resa dei conti giudiziaria. La ministra della Difesa, Roberta Pinotti, ha assicurato massima collaborazione e trasparenza alle indagini. E così si è espresso l’attuale capo di Stato maggiore della Marina, Valter Girardelli. Ma nella lunga catena di comando fino al mare, non tutti i sottoposti condividono la linea. Questa era infatti la versione ufficiale comunicata al Parlamento il 17 maggio scorso: «La Marina riferisce che, appena informata dalla centrale operativa del comando generale del Corpo delle capitanerie di porto delle attività di ricerca e soccorso in atto, a cura del centro di coordinamento del soccorso marittimo maltese, ha disposto di propria iniziativa che nave Libra, distante circa quindici miglia nautiche dal natante in difficoltà, si dirigesse verso il punto segnalato». Il provvedimento del giudice Giorgianni depositato ieri, dopo l’udienza tra le parti del 27 ottobre, dimostra una realtà molto diversa: dalle 16.22 di quel giorno la Marina militare e la Guardia costiera non solo non hanno disposto ma hanno respinto le richieste telefoniche e via fax di Malta che sollecitava l’impiego immediato del pattugliatore comandato da Catia Pellegrino. La Libra era la nave più vicina: 15 miglia corrispondono a meno di un’ora di navigazione. «È evidente », scrive il gip, «come un ordine immediato di procedere alla massima velocità in direzione del barcone dei migranti... emesso subito dopo la ricezione del fax delle 16.22 avrebbe permesso a nave Libra di giungere sul punto in cui si trovava il barcone con ogni probabilità anche prima del suo ribaltamento o, in ogni caso, in un momento che avrebbe consentito di contenere quanto più possibile le devastanti conseguenze». La Libra, pur essendo a meno di venti miglia, è arrivata alle 18, ormai al tramonto: cinquantatré minuti dopo il rovesciamento e 5 ore e 34 minuti dopo la prima richiesta di soccorso. Nel frattempo, dei 480 passeggeri finiti in acqua, 268 sono annegati. L’ordine alla Procura perché formuli la richiesta di rinvio a giudizio è stato disposto nei confronti dell’allora comandante della centrale operativa della Squadra navale della Marina, il capitano di fregata Luca Licciardi, 47 anni: è l’ufficiale che si sente ordinare alla Libra di allontanarsi perché, letterale, «non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette» maltesi. Il secondo ufficiale per cui si chiede il processo è il responsabile della sala operativa della Guardia costiera, il capitano di vascello Leopoldo Manna, 56 anni: «Dopo la espressa richiesta di utilizzo di nave Libra da parte di Malta, non emette l’ordine di far intervenire la nave da guerra italiana». Supplemento d’indagini per la comandante Pellegrino: il gip ordina alla Procura di valutare le testimonianze dei piloti dell’aereo militare maltese che avrebbero supplicato la Libra sul canale radio delle emergenze, senza ottenere risposta. Accolta l’archiviazione per gli ufficiali della Guardia costiera, Clarissa Torturo e Antonio Miniero, per il capitano di fregata Nicola Giannotta, diretto sottoposto di Licciardi, e per l’allora comandante in capo della Squadra navale, ammiraglio Filippo Maria Foffi. Da adesso l’inchiesta ha un nuovo inizio. Tra le accuse l’omicidio colposo. Chieste ulteriori indagini per la comandante Pellegrino

L'Espresso Facebook Twitter Pinterest Rss MENUMenu di navigazione INCHIESTEOPINIONIBLOGPLUS Cerca Cerca Sei in: HOME > ATTUALITÀ > Così li ho visti morire IL FILM EVENTO Così li ho visti morire Un aereo sulla zona del disastro. Sotto gli occhi del piloti, il barcone sta per affondare. E Nave Libra non interviene DI FABRIZIO GATTI 09 ottobre 2017 Così li ho visti morire Il maggiore George Abela, in una sequenza del film, ai comandi di un aereo militare Sono l’ex maggiore George Abela e non ho bisogno di interpreti. Si presenta così, in un buon italiano, il testimone che ha assistito alla fuga di nave Libra: l’11 ottobre di quattro anni fa il pattugliatore della Marina militare non avrebbe risposto all’obbligo di soccorrere 480 persone, tra cui cento bambini, alla deriva su un peschereccio che stava affondando. Le sue parole sono la prova che da lassù, dall’aereo ricognitore maltese King Air B200 in volo sopra il punto geografico dell’emergenza, hanno visto tutto. E sono la dimostrazione che le due Procure italiane che hanno indagato sul disastro, Agrigento e Roma, non hanno mai chiesto la collaborazione delle autorità maltesi per accertare le eventuali responsabilità nella morte di 268 siriani, tra i quali 60 bambini. L’inchiesta l’ha invece fatta L’Espresso: è bastato cercare a Malta e lì abbiamo trovato le risposte alle nostre domande. La testimonianza di George Abela è una delle rivelazioni più sconvolgenti del film “Un unico destino”, che andrà in onda in prima assoluta domenica 15 ottobre alle 21.15 su SkyAtlantic. VEDI ANCHE: combocorretto-jpg Il grande massacro: il film evento “Un unico destino”: esce il lungometraggio esclusivo dell’Espresso e Repubblica che rivela le verità nascoste sulla strage nel Mediterraneo di quattro anni fa L’11 ottobre 2013 il maggiore pilota Abela è il comandante dell’aereo ricognitore inviato dal Centro coordinamento soccorsi di Malta a verificare le condizioni di galleggiabilità del peschereccio. Alla cloche accanto a lui è seduto il copilota, il capitano Pierre Paul Carabez, secondo quanto riportano i registri di servizio di quel pomeriggio. Dietro di loro, i tecnici dell’equipaggio, addetti alle apparecchiature elettroniche di avvistamento. Il King Air è in volo da più di mezz’ora sul mare. La sala operativa di Roma della Guardia costiera italiana, che ha ricevuto la prima richiesta di aiuto dal peschereccio alle 12.26, ha passato l’intervento alle Forze armate di Malta: perché formalmente il punto geografico dell’emergenza è nella zona di competenza maltese per la ricerca e il soccorso. Anche se il barcone si trova a 61 miglia nautiche a Sud di Lampedusa e a ben 118 miglia a Sud Ovest di Malta. La Guardia costiera, nel trasmettere le informazioni, non riferisce però due particolari fondamentali: il peschereccio ha già mezzo metro d’acqua nello scafo e sta affondando. Altre due ore vengono perse perché il fax italiano con cui viene chiesto l’intervento maltese non arriva a destinazione.Quando, alle quattro del pomeriggio, il maggiore Abela e il capitano Carabez vedono il barcone non sanno nulla di tutto questo. Ciò che più li stupisce è la presenza lì vicino del pattugliatore P402 Libra, comandato dal tenente di vascello Catia Pellegrino. Abela e Carabez non sanno nemmeno che il Comando in capo della Squadra navale della Marina militare ha già ordinato alla Libra di andare a nascondersi: cioè di scappare oltre l’orizzonte per non farsi vedere dalla motovedetta maltese in arrivo, che è ancora molto lontana. Il maggiore Abela fa puntare la potente telecamera di bordo sul peschereccio e contemporaneamente si attacca alla radio. Chiama e richiama gli ufficiali di Catia Pellegrino sul canale 16 Vhf marino riservato alle comunicazioni di emergenza. E ancora oggi, quattro anni dopo il naufragio, la sua testimonianza, mai confidata prima, è agghiacciante. George Abela la spedisce via email alle 10.17 del 27 giugno, nei primi giorni di preparazione del film. Da allora abbiamo fatto le dovute verifiche con quanto è scritto nei rapporti delle Forze armate di Malta. Adesso la possiamo pubblicare. «Allora, io sono un ex maggiore dell’esercito maltese», premette George Abela, «e rispondo soltanto al mio governo. Io non mi fido di nessuno, nessuno. C’era una sola persona che aveva tutta la mia fiducia ed è morta 20 anni fa». VEDI ANCHE: Schermata-2017-10-06-alle-17-39-54-png Così li ho visti morire Un aereo sulla zona del disastro. Sotto gli occhi del piloti, il barcone sta per affondare. E Nave Libra non interviene La barca ha bisogno di aiuto «Sì, sfortunatamente io ero lì e ho visto tutto e non posso mai dimenticare quel bambino che annegava molto lentamente, dopo essere stato messo giù da un adulto in stato di panico. Non posso dimenticare mai il numero di persone in diminuzione dopo ogni giro che abbiamo fatto con l’aereo. Non dimentico mai che alla mia prima chiamata radio avevo detto che la barca sembrava molto instabile e aveva bisogno di aiuto immediato. Loro ci avevano visto immediatamente ed era ovvio, tutti facevano segnali con le loro t-shirt e altre cose. Dopo un’ora e quattro minuti (di sorvolo), la barca si è capovolta e non siamo stati noi a provocarlo. In quel momento l’aereo stava in autopilota in orbita sopra la barca a chissà quale quota. Con il nostro apparecchio a bordo non c’è più bisogno di volare basso a osservare». Quel pomeriggio, quel volo, quei bambini che scompaiono sott’acqua sono un punto di non ritorno nella vita di George Abela. «Questo evento», continua nella sua testimonianza, «è stato uno dei tanti fattori che mi ha fatto decidere di lasciare il mio lavoro. Ho realizzato che io sono soltanto una pedina su una scacchiera e Frontex e la collaborazione tra Paesi sono soltanto uno scherzo pieno di merda». Il comandante del King Air B200, uno dei più bravi piloti istruttori delle Forze armate di Malta, è stato coerente con il suo disgusto. Si è congedato ed è diventato l’ex maggiore George Abela: «Non dimentico mai la sensazione di disperazione e il senso di non poter fare qualcosa in più durante l’evento. Ma», confida ora, «devo vivere con questo incubo. Noi abbiamo fatto il nostro meglio. La nostra motovedetta stava a due ore quando abbiamo trovato il target (il peschereccio), la Libra era soltanto a circa trenta, quaranta minuti. Ho chiamato la Libra sul canale 16 tantissime volte, ma nessuna risposta. Allora, io mi fermo qui. Risponderò soltanto al mio governo che tiene le prove di tutto questo». Non è stato semplice far parlare il più importante testimone della fuga degli ufficiali italiani davanti al loro dovere. Lo abbiamo rintracciato con l’aiuto di un suo ex collega. Gli abbiamo chiesto di rispondere alle nostre domande. Ma in quei giorni di inizio estate l’ex maggiore Abela ha paura. Sa che lui, il capitano Carabez, il loro equipaggio e tutte le Forze armate di Malta hanno risposto alla richiesta di emergenza in modo impeccabile. Hanno fatto di tutto per convincere le autorità italiane a rispettare la legge del mare e a inviare nave Libra. Ma tutti i militari a Malta sanno anche che i politici sull’isola non la pensano come loro. Il governo maltese ha indirettamente ricavato i suoi benefici dal naufragio dell’11 ottobre: da fine 2013, dall’operazione di salvataggio “Mare nostrum”, l’Italia si è fatta carico di tutti i barconi che hanno attraversato il Mediterraneo. E a Malta non è sbarcato più nessuno, tranne rare eccezioni. Perché rovinarsi i rapporti con il governo italiano mettendo a disposizione documenti, registrazioni video, comunicazioni radio del più grande massacro di civili di cui è accusata la nostra Marina militare? E così il muro del silenzio ha retto quattro anni. Un silenzio rotto oggi dal film prodotto dall’Espresso, Repubblica, Sky e realizzato da 42° Parallelo. Se un magistrato italiano volesse indagare fino in fondo, a Malta troverebbe ciò che è necessario sapere. Le Forze armate conservano scrupolosamente i rapporti dell’operazione, le registrazioni delle comunicazioni, le videoriprese del King Air. Ci sono perfino le fotografie fatte scattare dal comandante Abela a nave Libra mentre si sta allontanando, con la prua puntata in una direzione diversa da quella del peschereccio sovraccarico e molto instabile. Foto che L’Espresso ha potuto vedere. All’inizio, però, George Abela non ha proprio voglia di parlare. «Non ho ucciso nessuno», si confida con un amico, «ho fatto del mio meglio per chiedere aiuto, ho lanciato il battellino gonfiabile di bordo e ho osservato in preda alla disperazione. Abbiamo anche pianto. Ma non potevamo fare altro che gettare l’unico battello che avevamo. Ho chiuso, mi sono congedato. Se parlo, nessuno mi difenderà. Risponderò soltanto al mio governo». La porta dell’anima Se l’ex maggiore Abela non vuole svuotare la scatola dei suoi ricordi, nemmeno il capitano Carabez può parlare: è ancora in servizio ed è vincolato al segreto. Sembra così che da Malta non arrivi nessuna buona notizia. È il 26 giugno. Mazen Dahhan, Ayman Mostafa e Mohanad Jammo hanno accettato di aprire la porta della loro anima, dei loro incubi, dell’indicibile. Lì dentro hanno chiuso il loro passato che continua a svegliarli la notte e a inseguirli a occhi aperti di giorno. Un’altra persona, un altro papà al loro posto avrebbe pensato al suicidio e raggiunto i suoi bambini. Loro sono medici fino in fondo: hanno fatto un giuramento con la vita e non la tradiscono. Non amano mettersi in mostra. Non lo vorrebbero mai fare. Ma se il film è l’unico mezzo per ricostruire i fatti allora sì, non si tireranno indietro. Dopo le richieste di archiviazione delle Procure di Agrigento e Roma a favore degli ufficiali della Marina militare e della Guardia costiera, avevano perso la speranza di ottenere almeno un processo per i loro bambini. Negli stessi giorni però la ritrovano grazie al giudice per le indagini preliminari di Agrigento, Francesco Provenzano. Il gip siciliano ha stabilito che si è trattato di omicidio, con dolo eventuale. E ha trasmesso gli atti per competenza a Roma, dove un altro giudice si pronuncerà il prossimo 27 ottobre. Il bisogno di giustizia dei sopravvissuti si è infatti scontrato con la terza richiesta di archiviazione per gli ufficiali indagati, tra cui Catia Pellegrino: secondo la Procura romana tutto quello che è successo e si può sentire nelle comunicazioni registrate non costituisce reato. Di fronte al coraggio dei tre papà un pilota che ha fatto così tanto per evitare la loro morte non può a sua volta scappare. Riproviamo a convincere l’ex maggiore Abela nella tarda serata del 26 giugno. La mail che gli mandiamo, in inglese, è diretta, personale. Sono stato per un breve periodo in Accademia aeronautica, prima di dare le dimissioni: 101° corso ufficiali piloti, era il 1987, l’anno del corso Grifo. È la chiave giusta. «Anch’io sono stato a Latina», risponde in italiano nel giro di poche ore George Abela, «corso Nova, nel 1992, sugli SF260 dell’Aeronautica militare e dopo ho anche fatto Viterbo, corso pilota osservatore». Comincia proprio così la sua confessione. Il risveglio degli incubi Adesso tocca ai governi fare la loro parte. Il premier maltese Joseph Muscat deve rassicurare pubblicamente i testimoni. E i suoi ministri devono fare in modo che i documenti sul massacro siano trasmessi all’autorità giudiziaria italiana. Come presto chiederanno gli avvocati Alessandra Ballerini e Emiliano Benzi, che assistono i familiari delle vittime. Una sera tardi, dopo ore di riprese in un piccolo paese a Nord di Göteborg in Svezia, Mazen Dahhan apre la porta del suo appartamento dove da allora vive solo. «Forse quegli ufficiali hanno sbagliato?», chiede: «Io sono un medico, so che un errore è sempre possibile. Ma non riesco a capire la perdita di tempo. Se invece di correre in sala operatoria, mi allontano e il paziente muore, io sono responsabile. È l’assurda banalità di quello che è successo a tormentarmi. Abbiamo atteso cinque ore i soccorsi, ho poi saputo che la nave italiana poteva salvarci in 45 minuti. Erano così vicini e ci hanno lasciati morire».

sabato 18 novembre 2017


www.teatrodellatoscana.it Firenze, 17 novembre 2017 Cinque gruppi di cittadini in dieci incontri per sviluppare desideri e utopie, fino a descrivere (quasi a disegnare) un nuovo ideale di Scandicci. LA CITTÀ VISIBILE è un progetto ideato dall’Accademia dell’Uomo della Fondazione Teatro della Toscana e promosso dal Comune di Scandicci. Sabato 18 novembre, ore 21, va in scena una conferenza-spettacolo al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’: grazie all’approccio multidisciplinare di facilitatori e trainer, attraverso l’utilizzo di video, immagini, confronti filosofici ed estetici, attraverso la mimica del corpo dedotta dal Metodo di Orazio Costa e le tecniche del coaching, i cittadini sono stati chiamati a immaginare la città di domani. Il futuro di una città si traccia attraverso processi di confronto e valutazione non solo tecnici, ma anche culturali. Su tali processi e importante generare dibattiti, idee, valori che provengono da chi il territorio lo vive ogni giorno con le proprie esigenze ed esperienze. L’ingresso all’evento è libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Prenotazione online obbligatoria su www.teatrostudioscandicci.it/invito-citta-visibile/ Un vero esperimento di democrazia, il punto di connessione tra cittadini e l’immaginazione del futuro dello spazio urbano che vivono ricercato attraverso lo strumento del teatro. Questo è, in estrema sintesi, LA CITTÀ VISIBILE, il progetto di partecipazione pubblica ideato dall’Accademia dell’Uomo della Fondazione Teatro della Toscana e promosso dal Comune di Scandicci, che chiude la prima parte del proprio percorso con una conferenza-spettacolo sabato 18 novembre alle 21 al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’. Inserito parallelamente alle iniziative che l’Amministrazione comunale di Scandicci ha realizzato nell’ambito del progetto “Una città per cambiare”, in occasione dell’aggiornamento del Piano Strutturale e dell’elaborazione del Piano Operativo (i nuovi strumenti che sostituiranno integralmente il Regolamento Urbanistico), il progetto LA CITTÀ VISIBILE parte da una “domanda consueta”, per dare una risposta inedita: l’interrogativo su come si possano inserire i cittadini nel processo di pianificazione dell’immagine ventura della città è risolto facendo apparire sulla scena, è il caso di dirlo, lo strumento del teatro. Alle consuete riunioni di gruppi di lavoro attorno a un tavolo, all’elenco di dichiarazioni e parole chiave si sostituisce un lavoro sull’espressione fisica, sulla fantasia, sul recupero del contatto con la città e con concetti spesso dimenticati come quello di bellezza. Questo grazie all’Accademia dell’Uomo, lo strumento che il Teatro della Toscana ha basato proprio al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ come costola del suo Centro di Avviamento all’Espressione per indagare i possibili utilizzi che il teatro, e in particolare il Metodo Mimico di Orazio Costa che la Fondazione impiega come proprio principio formativo, può avere nel miglioramento della vita quotidiana di donne e uomini, magari ibridato con altre discipline, a partire dal coaching. Guidati dall’ideatore Iacopo Braca, assistito dagli insegnanti CAE Marisa Crussi, Alessandro Scaretti e Michele Redaelli, con la supervisione del Responsabile della formazione del Teatro della Toscana Pier Paolo Pacini, cinque gruppi di cittadini, attraverso un percorso di dieci incontri, hanno sviluppato desideri e utopie, fino a descrivere un nuovo ideale di città. Hanno percorso in lungo e in largo Scandicci e i dintorni, come per riappropriarsene; ne hanno ricostruito la storia, rappresentandola quasi graficamente sul palcoscenico; hanno scavato nel loro voler essere cittadini attivi, cercando fantasia e nuove motivazioni. Il teatro è stato il veicolo scatenante di una catena di riflessioni, e la chiave per aprire la porta di un reale momento di democrazia non legato al solo contingente, ma capace di trovare il particolare nell’ambito di una visione più elevata e generale. La conferenza-spettacolo di sabato 18 novembre, che prevede la partecipazione dei cittadini coinvolti e degli attori diplomati della Scuola ‘Orazio Costa’, è articolata in cinque quadri diversi. Quattro sono legati a una parola d’ordine – Bellezza, Emozioni, Tempo, Visioni – utile a spiegare il lavoro fatto. L’ultimo veicolerà le domande che sono il risultato degli incontri, e anche l’impegno che viene consegnato all’Amministrazione. LA CITTÀ VISIBILE non si ferma qui. Il laboratorio proseguirà come forme di impegno comune e collettivo, per essere officina attiva e cassa di risonanza del processo di cambiamento della città. L’Accademia dell’Uomo al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ L’Accademia dell’Uomo è un centro di formazione che può essere propedeutico all’attività teatrale, ma che soprattutto esplora in generale le possibilità espressive, creative e comunicative dell’essere umano. Unisce il Metodo Mimico di Orazio Costa insieme al coaching ed altre discipline legate al mondo della formazione esperienziale, che si focalizzano sulle competenze umane (comunicazione, intelligenza emotiva, relazioni interpersonali, empatia, gestione dello stress, leadership). Il Metodo Mimico di Orazio Costa nasce nell’ambito teatrale, ma è stato da sempre applicato anche in ambiti diversi, quali l’educazione giovanile (emotività e creatività) e lo sviluppo delle capacità espressive degli adulti, e ha avuto anche applicazioni in ambiti relativi alla comunicazione. Il coaching è una strategia di formazione che lavora principalmente sulla relazione e aiuta a raggiungere obiettivi desiderati e performance eccellenti, mantenendo un costante equilibrio psicofisico. L’obiettivo generale dell’Accademia dell’Uomo è il recupero e lo sviluppo di un naturale istinto espressivo, sia comunicativo che emotivo, e di fornire strumenti utilizzabili concretamente negli ambiti della creatività, della gestione dell’emotività e della comunicazione, da utilizzare sia in ambito teatrale che professionale e personale. L’Accademia organizza corsi per aziende con l’obiettivo di perfezionare la capacità comunicativa, allenare la relazione con sé stessi e gli altri, per costruire un’ambiente di lavoro etico che metta al centro lo stato di benessere del gruppo di lavoro. La città dei miti sono i percorsi formativi per la stagione 2017/2018. Non esiste cultura o civiltà sul nostro pianeta che non abbia sviluppato un proprio originale complesso mitologico. Figure mitiche e leggende hanno dato vita alle relazioni profonde di ogni civiltà, per costruire sia il tessuto psicologico che quello urbano. Il linguaggio del mito permette oggi di riscoprire le nostre radici e poter leggere il presente così da immaginare il futuro. Sono previsti tre percorsi. COMUNICARE ATTRAVERSO I MITI _ corso base Il percorso è finalizzato allo sviluppo di una più consapevole ed efficace capacità comunicativa oltre a una maggiore consapevolezza dell’aspetto cognitivo e comportamentale legato al movimento espressivo e al rapporto tra postura ed espressione di sé. Il corso è aperto a tutti e prevede 25 incontri il lunedì ore 20-22:30 da novembre a giugno. I MITI DEL FUTURO_ incontri di crescita professionale per giovani dai 18-25 anni. Appuntamenti dedicati alla riflessione sul rapporto tra i giovani e il mercato lavorativo. Un percorso di crescita professionale per ragazzi che vogliono creare una relazione attiva, consapevole e personalizzata con il mondo del lavoro. Il corso è gratuito e prevede 8 incontri dal 23 novembre al 21 dicembre. RACCONTARE I MITI_ laboratorio espressivo per over 65 Incontri dedicati alla costruzione di un racconto della Città Metropolitana, attraverso i ricordi e le immagini della memoria personale. I partecipanti lavoreranno sulla capacità comunicativa del gesto e della parola. Attraverso i loro ricordi, aneddoti, riflessioni, costruiranno un racconto che unisce il loro vissuto della Città incrociandolo con figure archetipiche. Il corso è gratuito e prevede 8 incontri fino al 5 dicembre. Coordinatore dell’Accademia è Pier Paolo Pacini, coadiuvato da Iacopo Braca. Il Centro di Avviamento all’Espressione Il Centro di Avviamento all’Espressione, il Centro di didattica espressiva e teatrale che Orazio Costa aprì nel 1979 presso il Teatro della Pergola, ha rappresentato il punto di arrivo del lavoro di Costa sulla pedagogia teatrale e sullo studio dell’espressione, della creatività e della comunicazione; un lavoro che ha impegnato tutta la sua vita, dalle prime esperienze come assistente di Jacques Copeau, fondamentali per l’elaborazione della sua metodologia didattica, e poi attraverso gli anni di insegnamento all’Accademia di Arte Drammatica ‘Silvio D’Amico’, dove ha formato i più importanti attori della storia del teatro italiano dal dopoguerra agli anni Novanta. L’attività del Centro comprende: Scuola per Attori ‘Orazio Costa’ destinata a coloro che intendono intraprendere professionalmente il mestiere dell’attore. È una scuola con struttura biennale che ha come base didattica il Metodo Mimico, ma si avvale anche del contributo di altre metodologie. Il corso è finalizzato a sviluppare, per mezzo di un rigoroso insegnamento, le capacità tecniche e creative individuali necessarie all’attività professionale. Corsi di Avviamento al Teatro destinati a coloro che sono interessati a conoscere le basi del Metodo Mimico e a intraprendere un percorso di introduzione al lavoro dell’attore. Sono corsi aperti a tutti in considerazione della loro valenza educativa e formativa, finalizzati sia al recupero dell’espressività naturale dell’individuo, per lo sviluppo delle sue potenzialità di apprendimento, creative e di comunicazione, che a un primo incontro con il mondo attoriale. 1° ANNO Introduzione all’Istinto Mimico. Per coloro che non hanno mai partecipato a corsi teatrali del Teatro della Pergola. I corsi proposti sono: - studenti scuole superiori: lunedì ore 15 / 19-40 anni: martedì ore 21 oppure giovedì ore 21 / over 40: lunedì ore 19.30 Programma didattico Primi incontri dell’allievo con l’esperienza mimica, affinamento dell’apparato fisico e inizio dell’uso della voce con un primo studio di un testo. 2° ANNO Verso la preparazione dell’attore. Per coloro che hanno frequentato un 1° Anno Introduttivo o un Corso di Metodo Mimico del Teatro della Pergola. I corsi proposti sono: - studenti scuole superiori: mercoledì ore 15 / 19-40 anni: venerdì ore 21 / over 40: giovedì ore 18.30 oppure mercoledì ore 19.30 I corsi dell’Anno Realizzativo possono essere ripetuti più volte: ogni anno il lavoro sarà effettuato su un tema specifico. Programma didattico Approfondimento del lavoro mimico e dell’uso della voce. Approccio all’interpretazione del testo con l’utilizzo del lavoro già effettuato attraverso la mimazione e la vocalizzazione. Inizio del lavoro formativo per l’interpretazione attoriale attraverso lo studio della drammaturgia nella sua struttura elementare. Oltre ai corsi tradizionalmente presentati, quest’anno è previsto un nuovo progetto, un corso non prettamente teatrale, che affronta il tema del rapporto tra il Metodo Mimico e le neuroscienze. Direttore del Centro è Pier Paolo Pacini.

giovedì 16 novembre 2017


è morta una stella la tua luce sarà sempre con me e per me luce azzurra nei momenti bui luce di suoni di numeri e parole se nell'Universo, sarò in orbita -dicevi. ora so che mi proteggerai da lontano da oltre il mistero del qui e adesso. ciao

martedì 14 novembre 2017


Repubblica.itCronaca Nel ghetto libico dei trafficanti di uomini: la foto dell'orrore. E' caccia al feroce generale Alì Nel ghetto libico dei trafficanti di uomini: la foto dell'orrore. E' caccia al feroce generale Alì ROMA - Un duro attacco alla politica europea e soprattutto italiana sui migranti arriva oggi dall'Onu. L'Alto commissario per i diritti umani, il principe giordano Zeid Raad al-Hussein ha definito "disumana" la collaborazione tra Unione europea e la Libia per la gestione dei flussi migratori dall'Africa. "La politica dell'Unione Europea di assistere la guardia costiera libica nell'intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo è disumana" sono le parole usate dal funzionario dell'Onu. "La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell'umanità", ha continuato il principe in una nota. Non è la prima volta che l'Onu si pronuncia sul modo in cui la Libia tratta le persone che cercano di imbarcarsi verso l'Europa, denunciando soprattutto le situazioni inaccettabili in cui i migranti vengono trattenuti nel Paese nordafricano. "La comunità internazionale non può continuare a chiudere gli occhi sugli orrori inimmaginabili sopportati dai migranti in Libia e pretendere che la situazione possa progredire solo migliorando le condizioni di detenzione", ha detto Zeid definendo la situazione "catastrofica". Solo ieri la notizia che sette migranti, usciti vivi dal Ghetto di Sabha, la più spaventosa delle prigioni dei trafficanti di uomini in Libia, stanno collaborando con la polizia e la magistratura italiana. Per accusare e riconoscere alcuni dei loro carcerieri e aiutare gli inquirenti nella caccia al feroce "generale Alì", il capo dei miliziani che gestiscono la fortezza al confine del deserto dove centinaia di migranti subiscono torture e violenze atroci per indurli a chiedere alle famiglie altri soldi come riscatto per la loro liberazione. Un inferno riassunto in un'unica foto, entrata negli atti dell'inchiesta. Migranti, Onu: "disumana" collaborazione Ue-Libia. Cnn: in video la "tratta" degli schiavi Orrore nel "ghetto" libico di Sabha Condividi Una portavoce della Ue ha risposto all'Alto commissario Onu affermando che anche l'Unione è decisa a "chiudere i campi in Libia" perché "la situazione è inaccettabile" e la Ue "si confronta regolarmente" con le autorità locali perché usino "centri che rispettino gli standard umanitari". L'Ue, ha spiegato la portavoce, lavora in Libia "in piena cooperazione" con l'Onu "esattamente perché la nostra priorità è sempre stata e continuerà ad essere quella di salvare vite, proteggere le persone e combattere i trafficanti". Ed è la Ue, ha sottolineato la portavoce del servizio esterno dell'Unione, a finanziare Oim, Unhcr e Unicef, "che hanno la capacità di lavorare in Libia per provare di affrontare le drammatiche condizioni umanitarie e aiutare a migliorare la protezione, le condizioni di vita e il rispetto dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati in Libia. Tutte queste agenzie - ha aggiunto - sono parti essenziali del sistema Onu e sono responsabili dell'esecuzione delle politiche migratorie dell'Onu". "I campi di detenzione in Libia devono essere chiusi". E' poi Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, ad annunciare: "Quanto abbiamo visto accadere in Libia per i rifugiati e per i profughi è assolutamente inaccettabile. Molto probabilmente, domani sarà presa la decisione ufficiale: una delegazione del Parlamento europeo si recherà in Libia per verificare la situazione". La "situazione inaccettabile" è documentata anche in un reportage esclusivo di Cnn, realizzato dopo aver ricevuto un filmato che testimonierebbe una tratta di esseri umani in Libia in tutto paragonabile a quella degli schiavi. Nel video, oggetto della gara all'incanto sono due ragazzi, per i quali piovono offerte e rilanci. "800 dinari... 900, 1.100... venduti per 1.200 dinari (pari a 800 dollari)". Uno dei due giovani è presentato come "un ragazzone forte, adatto al lavoro nei campi". Ricevuto il filmato, Cnn è andata a verificare, registrando in un video shock la vendita di una dozzina di persone in pochi minuti. La troupe di Cnn La troupe ha quindi parlato con Victory, un 21enne detenuto al Treeq Migrant Detention Center di Tripoli dove gli immigrati illegali vengono rinchiusi in attesa di espulsione: il ragazzo dice di essere stato venduto all'asta come schiavo "più volte", dopo che i suoi soldi - tutti usati per cercare di arrivare in Europa - erano finiti. "Pagai (ai trafficanti) più di un milione (oltre 2.700 dollari). Mia madre è anche andata in un paio di villaggi a chiedere soldi in prestito per salvarmi la vita". L'Alto commissario ha inoltre denunciato l'assistenza fornita dall'Ue e dall'Italia alla guardia costiera libica per arrestare i migranti in mare "nonostante le preoccupazioni espresse dai gruppi per i diritti umani" sul loro destino. "Gli interventi crescenti dell'Ue e dei suoi stati membri non sono stati finora indirizzati a ridurre il numero di abusi subiti dai migranti", ha spiegato Zeid. "Il nostro sistema di sorveglianza mostra infatti un rapido deterioramento della loro situazione in Libia", ha insistito, aggiungendo che "osservatori dei diritti umani" si sono recati a Tripoli dall'1 al 6 novembre per visitare i centri di detenzione e intervistare i migranti detenuti. "Gli osservatori sono rimasti sconvolti da ciò che hanno visto: migliaia di uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammassati l'uno sull'altro, bloccati in capannoni (...) E spogliati della loro dignità". Tornando ai filmati di Cnn, il materiale video è stato consegnato da Cnn alle autorità libiche, che hanno promesso un'indagine. Il tenente Naser Hazam, dell'agenzia governativa libica contro l'immigrazione illegale a Tripoli, ha dichiarato di non aver mai assistito a una vendita di schiavi, ma di essere a conoscenza di gang criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. E ritonano le parole di Mohammed Abdiker, direttore delle operazioni d'emergenza dell'Oim (Organizzazione Internazionale per le migrazioni), in una dichiarazione dello scorso aprile dopo un viaggio in Libia, quando aveva definito la situazione "terribile... le notizie di 'mercati degli schiavi' si uniscono alla lunga lista di orrori".

martedì 7 novembre 2017


Residenze artistico-teatrali, la Toscana racconta i suoi 'avamposti culturali' 7 novembre 2017 | 12:15 Scritto da Walter Fortini   FIRENZE - Un modello assolutamente da valorizzare: una ‘casa' offerta ad operatori e artisti che casa non hanno, in molti casi giovani artisti, e che diventa luogo di produzione, rappresentazione ma anche di formazione. Di più: uno snodo e punto di incontro tra arte e comunità, con benefici per entrambi, opportunità di crescita professionale ma anche civile e sociale. "Sulle residenze artistiche abbiamo avviato un lavoro tre anni fa e vogliamo portarlo avanti" premette l'assessore alla cultura e vice presidente della giunta regionale toscana, Monica Barni. Le residenze artistiche sono, nei numeri toscani, qualcosa in effetti che nelle altre regioni non esiste: un'eccellenza, ‘avamposti culturali in tricea' di un lavoro che mette insieme qualità e prossimità. Ma sono anche una delle tante tessere capaci di garantire una diffusa accessibilità alla cultura, che è un po' il fil rouge, trasversale, dell'azione portata avanti dall'assessorato dall'inizio della legislatura. All'incontro oggi a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze  - gremita la sala Pegaso - assieme alla Regione e ai rappresentanti degli spazi teatrali ‘abitati'  c'erano anche l'Anci, l'associazione dei Comuni toscani, e tanti amministratori. Tutti riconfermano la volontà di proseguire nel progetto che ha dato finora buoni frutti. "Sulle battaglie culturali mi piacerebbe un fronte comune di tutte le forze politiche" rilancia Simone Gheri per i Comuni. "L'abitudine alla cultura si costruisce dal basso e lavorando sul territori" ricorda Barni.Di progetto innovativo e scommessa 'glocal' - "espressione di democrazia partecipativa", perchè non solo si producono spettacoli ma si fa anche animazione dei territori, con le comunità che le abitano - parla Renzo Boldrini, stamani nelle vesti di coordinatore della residenze artistiche toscane. Numeri di successo e sostenibilità economica L'iniziativa, mentre sta per partire l'ultima stagione del triennio 2016-2018, diventa così l'occasione per fare il punto e raccontarne i numeri: a partire dal volume d'affari complessivo e dalle risorse generate (5 milioni),  dalle produzioni in aumento e il pubblico anch'esso in crescita, e dalle risorse investite, più di 4,5 milioni di euro, la fetta più grossa dalla Regione (1 milione e 900 mila per ciascun anno dell'attuale triennio, distribuiti con un avviso pubblico) e una parte rilevante anche dai Comuni (950 mila). Di residenze artistiche in Toscana ce ne sono ventitré, diciotto singole e cinque multiple, animate da trentatré imprese teatrali che agiscono quotidianamente in cinquantasette spazi teatrali in convenzione con quarantatré diversi comuni. Ce n'è uno almeno in quasi tutte le province toscane. Un cantiere in continua evoluzione, vario al suo interno, mai autoreferenziale e capace di rimare collegato alle altre parti del sistema dello spettacolo: dai teatri pubblici e privati alle fondazioni regionali. Un mondo abitato da soggetti diversi per generi e discipline, capace di influenzare i territori ed esserne influenzato, con reti di progetto e un sistema aperto e inclusivo. Quando la vicinanza produce cultura "La prossimità e la vicinanza con i cittadini e la comunità che abita i territori ne sono il tratto distintivo - annota l'assessore Barni, mentre ricorda il documento identitario siglato dagli operatori delle residenze nei mesi scorsi – e sono espresse al meglio da un progetto diffuso, così come lo sono la capacità di dare ‘sostanza' alle differenze vocazioni, non solo artistiche, che costituiscono il Dna delle loro diversità". "Per la comunità i benefici sono enormi - prosegue Barni -. Uno su tutti: il moltiplicarsi di eventi culturali ad ampio raggio". "Naturalmente il progetto – annota – rivolge l'attenzione alle giovani compagnie e o i gruppi emergenti". Quindici residenze hanno dato opportunità di residenza ad oltre trenta compagnie e tredici (con 63 spettacoli programmati) hanno ospitato giovani compagnie. Spettacoli e spettatori I risultati sono incoraggianti. L'anno scorso, nel 2016, le residenze toscane hanno programmato autonomamente 1618, oltre l'11 per cento in più del 2015, e 127.049 sono state le presenze, con un aumento di più del 20 per cento. Ci sono stati anche altri 126 spettacoli che le residenze hanno programmato nei loro teatri in collaborazione con Fondazione Sistema Toscana. Sempre nel 2016 sono state inoltre organizzate 6242 giornate di laboratorio e attività d'incontro, formazione, promozione e diffusione delle culture teatrali ed altre 2.094 in cui i teatri si sono trasformati in una casa per il lavoro fra artisti e pubblico ospitando da tutta Italia e dall'estero artisti in residenze. Di più: sempre nel 2016 grazie alle residenze e la loro attività anche ‘ nomade' la produzione ‘made in Toscana' ha esportato in Italia e all'estero 2.190 aperture di sipario a cui hanno assistito 221.367 spettatori. Un ‘attività che complessivamente ha visto impegnate 1.114 persone tra artisti, personale amministrativo e tecnici, cumulando ben 42.782 giornate lavorative e diventando dunque anche occasione di sviluppo economico. Dunque avanti così. "Questi luoghi (ed altri) disseminati sull'intero territorio regionale costituiscono una grande ricchezza – spiega l'assessore – In quei comuni e in quelle frazioni dove il teatro svolge una funzione attiva ed abitata, le comunità si riconoscono e dialogano con lo spazio che viene a farsi 'casa' e abitudine alla frequentazione dell'offerta culturale". Qualcosa che si è consolidato ed è cresciuto con l'avvio del secondo triennio del progetto Residenze. "Il teatro si è rivelato ancora una volta un utile strumento per aggregare e contaminare, anche dal punto di vista dei linguaggi e delle lingue, altre realtà" sottolinea Barni, pensando anche alle tante comunità multietniche presenti nei territori. Quanto al futuro, prova a tracciare una rotta lungo cui costruire un sistema culturale in cui teatri, scuole, musei, biblioteche e ogni altro soggetto attivo possano davvero offrire un percorso per un rinnovamento del rapporto tra arti e cittadini. Rinnovare la scena insomma. Ed ampliare e diversificare i pubblici. Con un'accortezza ben evidenza: mettere al centro sempre il cittadino. Visto dalla platea Dalla  parte opposta al palco racconta la sua esperienza proprio una spettatrice, Vittoriana Francini di Arezzo, membra del gruppo "Spettatori erranti". "Tutto è nato da un volantino, quattro anni fa, ed ho scoperto il teatro -  ricorda -: la bellezza del teatro visto dall'interno, fatto di incontri e dialoghi con gli artisti prima e dopo la rappresentazione, la bellezza dei tanti spazi teatrali dei comuni della provincia che neppure sapevo che esistessero".   Come "spettatori erranti" vanno insieme a teatro e calato il sipario, in auto tornando a casa, iniziano i dibattito e le discussioni su quanto visto. Un esercizio di pensiero critico, con anche tanti giovani che si sono avvicinati ultimamente al gruppo. I trentatré titolari delle residenze toscane Giallo Mare Minimal Teatro Accademia Amiata Mutamenti ALDES Associazione lucchese danza e spettacolo Archetipo Armunia – Festival Costa degli Etruschi Attodue Bubamara Teatro CapoTrave Catalyst Chille de la Balanza Company Blu Consorzio Coreografi Danza d'Autore CON.COR.DA Diesis Teatrango Elsinor Kanterstrasse Katzenmache Kinkaleri Il Teatro delle Donne – Centro nazionale di drammaturgia Laboratori permanenti Murmuris NATA Nuova Accademia del Teatro d'Arte Officine della Cultura Officine Papage Pilar Ternera Sosta Palmizi Straligut Teatro Teatro Buti Teatrino dei Fondi Teatri d'Imbarco Teatro della Limonaia Teatro Popolare d'Arte Teatro Stabile di Anghiari Versiliadanza   I comuni coinvolti nel progetto delle residenze artistiche 12 in provincia di Arezzo: Arezzo, Sansepolcro, Monte San Savino, Lucignano, Castiglion fiorentino Bucine, Montevarchi, Bibbiena, Terranuova Bracciolini, Loro Ciuffenna, Anghiari, Cortona. 7 nella città metropolitana di Firenze: Firenze, Bagno a Ripoli, Barberino del Mugello,Vicchio, Sesto Fiorentino, Calenzano, Lastra a Signa. 4 nel comprensorio Empolese Valdelsa: Empoli (FI), Santa Croce sull'Arno (PI), Castelfiorentino (FI), Vinci (FI). 5 in provincia di Grosseto: Cinigiano, Castel del Piano, Roccastrada, Castiglion della Pescaia, Gavorrano. 3 in provincia di Livorno: Livorno, Castiglioncello, Rosignano Marittimo. 2 in provincia di Lucca: Lucca, Porcari. 7 in provincia di Pisa: Pisa, San Miniato, Capannoli, Fucecchio, Buti, Pomarance, Monterotondo Marittimo. 1 a Prato: Prato. 2 in provincia di Siena: Siena, Monteroni d'Arbia. 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