venerdì 15 novembre 2019




La mamma sta tornando povero orfanello

Buti (Pisa)

In un gioco di rimandi fra vivi e morti, in un dialogo di ora e allora e fra fantasmi, non solo hic et nunc, si  trasfigura in una scrittura scenica e attoriale asciutta quasi allegra (si fa per dire), il nuovo lavoro del Teatro di Buti: La mamma sta tornando povero orfanello a firma registica di Dario Marconcini in collaborazione con  Stefano Geraci. Perchè poi torna La mamma, o meglio ri- torna dal Povero orfanello

Mentre a Buti in Prima nazionale e poi a Roma (dove lo spettacolo sarà rappresentato nella Giornata della Memoria il 27 Gennaio al Teatro Vascello), in questi giorni Liliana Segre, milanese-allora bambina 14enne (stessa età di Anne Frank), sopravvissuta a Olocausto e oggi novantenne, è da qualche giorno protetta da due carabinieri italiani in scorta. Quantomai oggi è ancora necessario testimoniare e raccontare per rendere giustizia a chi ancora deve lottare contro razzismo e antisemitismo così dilaganti nel nostro Paese e in Europa dove la memoria è corta e gli strumenti di diffusione del mainstream passano da canali non controllati da chi ne dovrebbe avere facoltà e soprattutto dovere deontologico

Il testo da cui è tratto il lavoro è dello scrittore e drammaturgo  Jean-Claude Grumberg, francese ottantenne, rappresentato in tutto il mondo nonché sceneggiatore (fra gli altri di Truffaut e Costa  Gavras).

Un testo onirico, minimalista. Una scrittura quasi giocosa ma di memorie forti, ingannevoli, registrata a più livelli semantici e spazio-temporali da  flusso di coscienza dove passato e presente si intrecciano come accade nel guazzabuglio che è il funzionamento della nostra Mente che nessuna mindfulness può governare. E' come scritto e pensato fra veglia e sonno. Un po' fra  Borges e Antonio Tabucchi di Requiem alla ricerca di Padri scomparsi o solo ricompresi dentro le memorie anche letterarie. O come in Antonio Moresco col suo doppio de La Lucina. E anche un pò Divorzio tardivo di Yehoshua coi suoi personaggi virati al femminile di memorie tenere dell’infanzia ma insieme aspre e dure. La traduzione del testo di Grumberg è di Giacoma Limetani, romana, traduttrice narratrice saggista e studiosa delle tradizioni e del pensiero ebraico recentemente scomparsa, che aveva affidato tre anni or sono a Stefano Geraci questo testo da lei tradotto


La  messa in scena, affatto semplice da trattare, è di una testualità stratificata, multicodice, secondo uno stile molto dichiarato e  rappresentato dalla coppia Daddi/Marconcini che in cinquant’anni di carriera  (come si evince dal recente  Quasi una vita, scritto per loro da Stefano Geraci),  sempre ha cercato idee da mettere in scena fra testi non inflazionati. Sul palco tre Attori: Giovanna Daddi: la Madre che compare su sedia a dondolo come in flashback a dialogare-monologare sulla narrazione del Figlio-Dario Marconcini, a sua volta in relazione con tre personaggi-fantasmi maschili.  Tre figure autoritarie (per Emanuele Carucci Viterbi)  ripetizioni del doppio,  nel triplice ruolo di: Anestesista (il Bambino ha avuto una operazione legata-negata, alla sua crescita), il Direttore della casa di riposo, quella della Madre (dove è ricoverata e poi morta) e quello del  Padre, di cui ricorda poco, come figura evanescente dapprima solo scomparso (epurazione leggi razziali 1938 siglate a Pisa San Rossore) e poi morto in campo di sterminio quando il bambino era ancora piccolo (forse anche con cambi di abito nelle tre performance identitarie multiple dove  nel finale è a torso nudo su cappotto nazi). Non c'è azione. Solo parola. Il Bambino-Dario siede su una panchina sul palco completamente spoglio. Forse la panchina del parco giochi di quando era piccolo e invocava la madre. O forse quella del Bambino-Vecchio in ospizio. Nel dialogo coi fantasmi maschili e della Madre usa un linguaggio e si atteggia proprio come un piccolo verso la Mamma e il Padre. Ricorda rievoca spera che torni la festa, la domenica dell’infanzia. Un pò Domenica del villaggio di leopardiana malinconico-giocosa matrice. O forse aspira chissà al ritorno  dentro il grembo originario. Che è la Madre ma potrebbe anche essere l’ala severa della Morte.  E' vestito in pigiama come un bambino prima di andare a dormire. Ma quel pigiamino ricorda  un pigiama da campo di sterminio (ha in testa la kippah). O forse è pigiama di hospice. L'affabulazione si nutre di ricordi, fantasie legate al clima dell’infanzia. Con al centro le figure della Madre e del Padre. Lui l’attuale bambino di 62 anni. L'Altro il Padre il suo doppio di 42. Ma qui psicoanalisi non c’entra . Perchè la differenza è che questo non è un Vecchio/Bambino in delirio o in fase sonno-veglia. Perché a quel Bambino è successo. Davvero. Il padre di Grumberg è di fatto stato catturato e portato in campo di concentramento dove è morto. Nel testo e suo trattamento in scena non è chiaro. Ambiguità assoluta.  Suo padre è scomparso improvvisamente  ai famigliari e poi morto in campo sterminio. Sua madre no. Poi lei muore da anziana in ospizio. Ora l’io narrante- 62 anni nel testo mentre l’Autore è oggi 82 enne,  rivive quasi flashback la sua storia familiare.  La straordinaria capacità di Dario di immedesimazione – lui Anziano che si fa Bimbo in relazione con Mamma (Giovanna Daddi) e con la complice attorialità versatile di Carucci Viterbi (stolida espressione del Potere nelle diverse età della vita, tutte virate al maschile) è delicata e insieme prepotente. Mentre una deliziosa ragazza Viviana Marino, canta canzoni in francese  evocative e jiddish e con chitarra

La mamma sta tornando povero orfanello

regia Dario Marconcini collaborazione Stefano Geraci

sabato 2 novembre 2019

Non scrivo non posto
se non al compleanno e ieri
la foto rinnovata

Occhi negli occhi
stanotte ricomparse
d' angeli e il daimon

Frecce di schegge
quel sesso per non morire
quei volti scolpiti

dentro fiori di memoria
promesse di futuro
per non morire

ogni giorno un po
Perdo di voi il sembiante
e te che aspettavo sei qui

Mi ascolti mi coccoli
mi prometti speranze
Fiori senza fumo negli occhi