martedì 20 febbraio 2018


Il silenzio degli eroi semplici


renzia.dinca

Pisa . Dentro la Grande Storia, quella delle vicende politiche, economiche  e sociali che vanno a costruire la storiografia di intere  epoche, scorre la microstoria, quella delle persone, dei luoghi delle pratiche quotidiane, le storie di chi non ha voce che però oggi i mezzi di comunicazione di massa  dalle Tv alla Rete rispetto al passato  possono restituire alla collettività. Quella narrata ne Il silenzio degli eroi semplici è una microstoria nascosta, tenuta semi segreta per molti anni: una scelta che immaginiamo frutto di decisione discrezionale da parte dei famigliari delle persone-gli eroi semplici, appunto, che ne hanno custodito memoria viva  e che adesso è germogliata in necessità di racconto, di testimonianza in forma di spettacolo a futura memoria. Forse non a caso  proprio  a Sant'Anna di Stazzema  di Lucca in questi giorni si è avvertita la necessità di  ripetere, ribadire attraverso la costituzione di un'Anagrafe virtuale antifascista la necessità di ricordare e testimoniare contro  il nazifascismo in un momento storico in cui in Europa si stanno verificando inquietanti episodi di quella matrice. In questa congerie socio-culturale allora Il silenzio degli eroi semplici può apparire come atto dovuto  da parte di famigliari ed amici di quegli eroi silenziosi, a distanza di così tanto tempo anche forse per spiegare e tramandare alle nuove generazioni uno spartito a più voci  di  una umanità  dentro un tessuto sociale frantumato e dilaniato dalla Seconda Guerra Mondiale e dalle leggi razziali (ricorre quest'anno proprio a Pisa il settantesimo dalla promulgazioni delle leggi razziali), fatta di persone di straordinario coraggio e abnegazione unite da ideali di giustizia e fratellanza. Inserito nelle manifestazioni per le Giornate della Memoria, questo lavoro ideato da Piero Nissim, intellettuale pisano ebreo di poliedrico talento, poeta, musicista, burattinaio (Premio Montale 2015), questo lavoro restituisce in forma apparentemente semplice una tessitura di esistenze individuali e famigliari che si sono snodate fra le città di Pisa, Lucca, Livorno,  la Toscana nel 1943. Artefici di questa alleanza tre personalità: Giorgio Nissim, padre di Piero, Don Arturo Paoli  del Convento degli Oblati di Lucca- poi missionario in America Latina e Gino Bartali, sì proprio lui, il grande campione quello della memorabile canzone di Paolo Conte.
Il silenzio degli eroi semplici narra della straordinaria storia di persone che hanno fatto della propria vita in quel peculiare momento storico, necessità ed urgenza: poter salvare vite umane a rischio della propria stessa esistenza e di quella delle proprie famiglie. E' una storia questa tutta italiana prima e dopo l'otto settembre 1943.  C'è  quell'otto settembre 1943 e le leggi razziali del 1938. stilate  a Pisa  nel Parco di  San Rossore prima Riserva Reale oggi  parco regionale Toscana.  Il lavoro ideato e curato da Piero Nissim in estrema delicatezza, mette insieme una pluralità di linguaggi  espressivi per la scena: una narrazione basica, un commento musicale in presa diretta con il percussionista livornese (David Domilici) che ha già collaborato con Nissim in altri suoi lavori per il teatro e la scena, un narratore Marco Rossi che nella vita è cardiologo presso la Clinica ospedaliera pisana,  interventi della soprano  Maria Bruno docente al Conservatorio di Lucca e dello stesso Nissim a commento quasi florilegio con accenti a Bella ciao, Fischia il vento e a una bellissima poesia di Piero: anche premiata di recente a Lari Pisa: Il Pane.  Con la bravissima  Daniela Bertini in quattro figure femminili. E su quella straordinaria poesia, Piero e i suoi attori, giovanissimi scelti da un casting per interpretare figure storiche distribuiscono il pane- quello azimo in platea. Abbiamo visto il lavoro insieme a 350 studenti delle Scuole medie superiori.

testo musica e regia di Piero Nissim

con Matteo Micheli,Costantino Buttitta, Riccardo Sati, Daniela Bertini, Marco Rossi, Piero Nissim

Soprano Maria Bruno

Percussionista David Domilici

Luci Paolo Morelli
Costumi Franco Nieri

Visto al Teatro Verdi- Pisa, il 25 gennaio 2018

mercoledì 14 febbraio 2018

sulla via che porta in Trentino
una via lunga tormentata lanuginosa
bianca sta un uomo solo

che fantastica dalla finestra stretta
da una vista senza orizzonte
fantastica di infinito onde

fantastica di sognare sonoro
d'esser musicista maestro
di suoni arcane melodie

da Lucca a Vienna tanta neve
ha ricoperto il suo guanciale
la sua testa incanutita grave

quest'uomo che gioca allo specchio
gioca col fuoco gioca a nascondino
vorrebbe esser lui il protetto
come dalla mamma il suo bambino

San Valentino 2018

martedì 6 febbraio 2018

Notizie dall’Amiata di Eugenio Montale


irpinia 31 gennaio 2016 cesinali
Il fuoco d’artifizio del maltempo
sarà murmure d’arnie a tarda sera.
La stanza ha travature
tarlate ed un sentore di meloni
penetra dall’assito. Le fumate
morbide che risalgono la valle
d’elfi e di funghi fino al cono diafano
della cima m’intorbidano i vetri,
e ti scrivo da qui, da questo tavolo
remoto, dalla cellula di miele
di una sfera lanciata nello spazio
e le gabbie coperte, il focolare
dove i marroni esplodono, le vene
di salnitro e di muffa sono il quadro
dove tra poco romperai. La vita
che t’affabula è ancora troppo breve
se ti contiene! Schiude la tua icona
il fondo luminoso. Fuori piove.
***
E tu seguissi le fragili architetture
annerite dal tempo e dal carbone,
i cortili quadrati che hanno nel mezzo
il pozzo profondissimo; tu seguissi
il volo infagottato degli uccelli
notturni e in fondo al borro l’allucciolio
della galassia, la fascia d’ogni tormento.
Ma il passo che risuona a lungo nell’oscuro
è di chi va solitario e altro non vede
che questo cadere di archi, di ombre e di pieghe.
Le stelle hanno trapunti troppo sottili,
l’occhio del campanile è fermo sulle due ore,
i rampicanti anch’essi sono un’ascesa
di tenebre ed il  loro profumo duole amaro.
Ritorna domani più freddo, vento del nord,
spezza le antiche mani dell’arenaria,
sconvolge i libri d’ore nei solai,
e tutto sia lente tranquilla, dominio, prigione
del senso che non dispera! Ritorna più forte
vento di settentrione che rendi care
le catene e suggelli le spore del possibile!
Son troppo strette le strade, gli asini neri
che zoccolano in fila danno scintille,
dal picco nascosto rispondono vampate di magnesio.
Oh il gocciolìo che scende a rilento
dalle casipole buie, il tempo fatto acqua,
il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento,
il vento che tarda, la morte, la morte che vive!
***
Questa rissa cristiana che non ha
se non parole d’ombra e di lamento
che ti porta di me? Meno di quanto
t’ha rapito la gora che s’interra
dolce nella sua chiusa di cemento.
Una ruota di mola, un vecchio tronco,
confini ultimi al mondo. Si disfà
un cumulo di strame: e tarli usciti
a unire la mia veglia al tuo profondo
sonno che li riceve, i porcospini
s’abbeverano ad un filo di pietà.
(Eugenio Montale, “Le Occasioni”, 1951)


in giardino sotto un Monte Serra imbiancato
le cincie! che son davvero allegre
pancia gialla canterine


piacevano tanto a te, papi
che dicesti al quagliodromo
non caccio piu il fucile l'ho deposto

ci son più fucili che uccellini
e poi te le mangiavi arrosto
con altre creature  alate sventurate

-davanti a un'aranciata io e te
la coca cola no che fa male
che se ci metti un soldino si scioglie



ma io la volevo la coca cola
e proprio quella quella non del Mc Donalds
e ti penso in questo febbraio

di multipli anniversari
nell'aere eterno dentro mortifera  voliera
mentre io volo ancora, papi

come cincia allegra con le cincie
che setacciano la polpa d'albero
dei caki a Montelaterone

dove i ragli degli asini protetti
fra miniere e fumi sulfuree apparizioni
scoiattoli daini demoni, ricordano quella Torre

degli Asinelli dove anche tu sei nato
dove  altrove mi hai adottato
Ti aspetto-aspettami nella grotta

o in miniera dove canti di Maremma amara
ancora baluginano di memorie forti
di bestemmie, di  vivi  di morti

lunedì 5 febbraio 2018

è su RUMORSCENA
renzia.dinca

BUTI (Pisa) –
  Dario Marconcini regista, attore, direttore storico del Teatro di Buti, ha ed ha sempre avuto un fiuto speciale nello scovare micropièce di drammaturgie novecentesche che scavano nelle pieghe delle tragedie del Secolo breve; come è accaduto con le memorabili messe in scena da Beckett a Pinter e Peter Handke. Ora si è voluto confrontare con Heiner Muller, in un primo studio di Mauser (in concomitanza con l’allestimento di un altro testo dello stesso autore tedesco Quartett , per la regia di Roberto Latini in prima nazionale a Prato). Il lavoro è insieme inquietante e disarmante. È come se tutto il tragico degli ultimi quarant’anni di Storie dell’Europa, ci piombasse addosso, e il residuo fetido-freddo che ci arriva è davvero pesante. Perché in scena ci sono giovani che ripetono le stesse storie genitoriali in un alternarsi di copioni mortiferi – la banalità del male, come se questo fosse normale nel succedersi delle vite di genitori in figli. Invece no. Le Storie potrebbero non ripetersi, ma, invece, rompere la sequenza dell’odio, della vendetta e della carneficina. Già di per sé decidere di mettere in scena Mauser di Heiner Muller è una scommessa importante, coraggiosa. Perché la pistola Mauser era un’arma molto utilizzata in quel terrificante regime post nazista -Komunista dove in Germania Est, la Berlino dove Muller viveva, prima dell’89 si trattavano vittime e carnefici con la stessa leggerezza con cui si tratta una cosa, un relitto, una deiezione. Finché serve serve, poi eventualmente si butta.


Nella strategia registica di Dario Marconcini, questo breve testo di Muller, è stato studiato da chirurgo della scena qual’ è, come una provocazione attualizzata di un dramma che è nei nostri occhi: una società cinica occidentale anche europea, giovanile-giovanilistica che si imbratta di sangue come è accaduto alle precedenti generazioni. Le attuali, perfino. Come se tutto fosse normale. Scontato. Generazioni senza memoria. Senza storia. Generazioni che ci riguardano hic et nunc, basti pensare ai rigurgiti neonazisti che attraversano gli Stati d’Europa ai giorni nostri, uscita pochi decenni orsono da una sconvolgente Guerra mondiale. Ed allora cosa accade in scena nello straordinario piccolo splendido spazio teatrale di Buti, dove è passata l’intelligenza teatrale che ha ospitato artisti impegnati e di fama internazionale?

Mauser
Accade che nei primi quadri -scena a spazio aperto (il pubblico è spostato sui palchetti), dei giovanissimi mimano una festa fra ragazze e ragazzi. Quasi subito, però, la traduzione in scena si tramuta per spostamento e slittamento di significante, in dramma. E la Storia insegna. O si ripete, si rappresenta come nel film Le vite degli altri. Qui un killer, che in origine era la personificazione della sua Mauser – un braccio-killer del regime, impugna dialetticamente un discorso apparentemente filosofico; non si sa con chi, forse con se stesso che sta per morire, oppure con la sua coscienza. Forse con un tribunale intra ed extra psichico intorno al tema di ciò che lui non è e mai sarà più: il killer di quel Regime. E lo fa intrecciando domande esistenziali a se stesso e al suo Tribunale forse interiore: sarà per pentimento o per mera sopravvivenza? In ogni caso la sua vita è in scadenza. Si sa solo che lui è destinato a morire. E la mauser è solo il mezzo che lui ha usato come strumento per uccidere i traditori di una ideologia – ( rivoluzionaria?), e sarà usato come contrappasso, per essere a sua volta giustiziato. Marconcini stigmatizza questo personaggio (il killer Giovanni Buscarino, che accenna un accento lievemente straniero), facendolo dialogare – si fa per dire, quasi in maniera ieratica ( non brechtiana), creando un Tribunale fittizio alle spalle del luogo del delitto ed in alto rispetto alla scena –paradossalmente ma non troppo, con due donne di diverse età forse madri, a giudicarlo in vestiti d’ordinanza borghesi; mosse a loro volta da istinti omicidi individuali ed anche genocidici. Madri mostruose nella loro fredda nazistica denunzia (Paola Marcone e Giovanna Daddi, spose madri e nonne consenzienti-conniventi). E la ruota gira perché chi non scanna non mangia, perché il pane della rivoluzione è strappare molta erba e strappare ancora molta erba perché rimanga verde. Il pane della rivoluzione è il pane dei suoi nemici è la morte dei suoi nemici. Uccidere è un lavoro?. Ma cos’è l’uomo? Così, con un colpo di pistola alla nuca come era incominciato, si chiude un siparietto tragico dove festa e tragedia si consumano e intrecciano. E sale alla mente quella poesia di Eugenio Montale La Storia”,che ad un verso recita: “La Storia non è maestra di niente che ci riguardi”. Ed anche però un sussulto di protesta perché, come scrisse Alberto Moravia: “Come per l’incesto bisogna trasformare la guerra in un tabù”.
Mauser di Heiner Muller
Regia Dario Marconcini
Con Giovanna Daddi, Paola Marcone, Giovanni Buscarino, Edoardo Altamura, Irene Falconcini, Francesca Galli, Silvia Frino , Meryem Ghannan, Francesco Grumetti, Viviana Marino
Luci e scene Riccardo Gargiulo e Maria Cristina Fresi, Costumi Giovanna Daddi
Visto al Teatro di  Buti in prima nazionale  ( Pisa), il 14 dicembre 2017

venerdì 2 febbraio 2018


a breve tradotta in castigliano da José Luis Reina Palazon a MB Il Basilisco ho incontrato il tuo occhio sulla soglia e sono morta morta di paura morta di voglia da quel momento in poi cessato mai ho d'amarti tu di perseguitarmi a stanarti tento con la penna del disamore straziarti vorrei che delle carni tue mai sazia mi sento T'offro in dono materia pulsante ' per tua grazia ricevuta' parola distillata grondante a te consegno i resti del pasto inconsumato ed agli amanti degli amori incorporei surrogati devastanti Corpi nuvolosi il tuo è un corpo nuvoloso un corpo astratto opacizzato il tuo è un corpo lattiginoso come ai raggi X un referto numinoso il tuo è un sorriso etrusco un occhio magnetizzato brusco il tuo è un sorriso elettrizzante stupefacente nomadizzante penetrante errante ed io così ti colsi sulla soglia finchè cadde la foglia e si cadde come corpo morto cade La parola a te dovuta Sei nel corpo astrale, adesso quello che tu chiami inconscio sì io lo chiamo corpo astrale dove tu esisti come onda vibrazione presenza-assenza spirito puro incistato mammillare come il cane cerca l'osso nel vortice a due dentro la prigione nel corpo a corpo mortificato morto E fu così e fu così che ritrovai il tuo portafogli smarrito nel cestino della tua bici dopo la spesa alla Coop e di nuovo complici amici ed amanti di cibo e parole cannibali felici (gentili) di calcio la Juve e di giovani favolosi un teatro vivente il riscatto del niente possiamo amarci con poco conta l'intesa il gioco la mente che ascolta sottende il grido sommesso che scompiglia la rugiada dei giorni il vento che vibrisse di gatti scuotono *mente impotente che rischiara la parola il senso quei bambini morti che scendono il Piave la maestra che li rende alla tomba la gioia sottile del ritrovarsi che scalda l'abbaino le soffitte le sconfitte gli antri nevosi il raccontarsi sarà ciò che morto ciò che ancora vive tempeste di vita invitta Quei due Leggemmo insieme lo stesso passo io esitante e tu già innamorato stessa lingua stesso presepe il passaggio fu necessario, breve non ti mordesti la lingua tutta l'allungasti tutta ex abrupto e come ratto s'apprende il senso il suono fuori come adesso il gelsomino ed il moscone, mio drone ho incontrato ho incontrato un desiderio al semaforo rosso per il mercato aveva occhi a mandorla e un sorriso denti bianchi di chi mangia poco gli ho regalato un soldo di luna per comprarsi un panino non servirà a rendergli la libertà ma di sicuro gli ha comprato un lume di azzurra sazietà Adesso sono io la lepre in fuga Al semaforo rosso sinapsi di enne-vite non mi riconosco non mi riconosco nel sublime (cui peraltro aspiro) e non mi interessano le cartesiane geometrie io cerco dentro il nero delle cose il buio fitto tra le non-parole ho imparato presto e scorgere assoluti dentro il fango delle pozzanghere come su di me le sue stimmate da quando mia madre sazia del dolore femminile che la generò decise che ero pronta anch'io al martirio e mi diede in pasto alla vita per urlare con parole vere il suo silenzio Renzia D'Incà è nata a Belluno. Vive a Pisa città dove ha compiuto gli studi universitari. Lavora nella formazione e ricerca teatrale e universitaria. Come autrice ha vinto nel 1995 il Premio Poesia inedita Montepulciano. Ha pubblicato le raccolte: Anabasi. Percorsi blu (Shakespeare and Company, Bologna 1995), L'Altro sguardo (Baroni, Viareggio 1998), Camera ottica (Baroni Viareggio 2001), Il Basilisco (Edizioni del Leone, Venezia 2006), L'assenza (Piero Manni, Lecce 2010), Bambina con draghi ( Edizioni del Leone, Venezia 2013). Come saggista teatrale i volumi: Il teatro del cielo (Premio Fabbri 1997) e Il gioco del sintomo (Pacini Fazzi- Lucca 2002). E' autrice per il teatro e interprete dei suoi testi commentati da musicisti.