mercoledì 16 marzo 2016


Dentro un Teatro della mente–Veronika Voss sul viale del tramonto Posted by renzia.dinca Pontedera. Dentro la prima programmazione annuale del neo Teatro della Toscana, la stagione 2015-2016 che si celebra fra il Teatro della Pergola fiorentino e Il Teatro Era-CSRT di Pontedera, Ti regalo la mia morte, Veronika, si presentava almeno sulla carta, come un appuntamento al buio. Sì, perché la prova con cui si è cimentato Antonio Latella con una attrice di gran classe qual’è Monica Piseddu (Premio UBU 2015 come miglior attrice), si confrontava con la sceneggiatura di un film dello scomodo regista bavarese (morto a 37 anni, pare per overdose) Rainer Fassbinder, un mostro sacro, un cult dei cinefili anni Settanta. L’operazione insomma richiedeva una tessitura drammaturgica e di regia metateatrale, dal bel coraggio mediata da una transcodificazione di generi che non poteva non presentare tutti i rischi dell’impresa intellettuale e artistica. Per questo ci siamo inforcati occhiali e da presbite e da miope per provare a guardare un pò da vicino e un po’ da lontano un’operazione sofisticata assai complessa. Ciò che salta subito agli occhi è il doppio fra l’operazione cinematografica pregressa e la restituzione sulla scena che mescola in apparente confusione polisemantica, sbaragliando qualsiasi ipotesi interpretativa da cassetto degli attrezzi di critico pret à porter. La scena a luci accese e pubblico ancora in ingresso e brusio, vede uno spazio aperto dove forse si gira un film-una vecchia camera da presa su carrello in proscenio, una fila di seggiole da cineforum anni Settanta, la protagonista magrissima elegante ma scarmigliata che in proscenio urla, chiede aiuto ad un improbabile pubblico, che poi si intuirà non sappiamo chi sia, se quello suo interno di una mente-disastrata, noi stessi che la osserviamo o chissà chi altro che potrebbe porgerle comunque sguardo ed orecchio dall’interno del suo presente privato. Capiremo in seguito che i piani semantici sono molteplici ad intreccio ed insieme in simultanea perché i piani temporali sono stati azzerati ed a molteplici livelli. Tutto è e sarà rappresentato come dentro un presente continuo e così fino al finale, un po’ sorprendente, anch’esso come in presa diretta cinematografica, dove vita e morte, presente e passato autobiografie personali di una attrice col suo regista (Veronika e Fassbinder sono la stessa persona) e in doppio (con il giornalista Robert Khrahn che radiocronaca seduto fra il pubblico). Una scena fissa, in cui sul fondale compare un quadro che riempie totalmente la parete illuminata e che sembra un mare di pelliccia bianca a fare da contraltare agli scimmioni (ben sei con maschera-sono figure di proiezione nella mente avvelenata da droghe della donna- insomma le cosiddette “ voci” o la scimmia sulla spalla), ricoperti dello stesso pelo, doppio su doppio, in prima battuta seduti dietro Veronika e in seguito personaggi dialoganti di storie e dinamiche drammatiche nello sviluppo dell’azione con la protagonista, eroina di una tragica messinscena costruita di fatto su molteplici quadri narrativi sia verbali che drammaturgici. Lo spazio narrativo principale in cui si svolge questo Teatro della mente di Veronika, è la narrazione di una microstoria che si svolge dentro una clinica psichiatrica, in particolare nella relazione perversa con una psichiatra-infermiera (altro doppio), una kapò sadica e parassitaria famelica di denaro succhiato alla Divina. Tutta la pièce sembra come una sorta di maxi seduta psicoanalitica alla Schnitzler dove i fantasmi i replicanti le fantasie dentro la testa e in palcoscenico dell’attrice, si fondono in una scrittura al limite della follia, una sorta di delirio in cui il riconoscimento della realtà si smarrisce, come nei meandri delle dipendenze da sostanze psicoattive, come nell’invenzione drammaturgica di una passata regia di Latella Un tram chiamato desiderio, a cui la stessa attrice Veronika, in lapsus, insomma sbagliando battuta spazio e scena, reinvia. Tutto un po’ you must remember this (prima strofa in Casablanca di As Time goes by), dentro il letto della memoria dove nel finale- non facile da inventarsi perché era già tutto un cimitero, dall’alto cala un albero di ciliegi cecoviano (un altro scrittore e medico e marito di attrice pure lui) sotto il quale è seppellito Fassbinder in cui più personaggi (eroine-attrici di un universo cine-onirico femminile) in abiti ottocenteschi svolazzanti, entrano in un racconto di memoria e di morte. Dove non ci sono spazi per esorcizzare proprio un bel niente. E quindi chi è a regalare la propria morte a qualcun altro? la morfinomane anche ultima attrice del grande regista nella sua ultima recita prima di darsi la morte oppure, come anche da suggestione del titolo, lo stesso Fassbinder? Ti regalo la mia morte, Veronika, liberamente ispirato alla poetica del cinema fassbinderiano di Federico Bellini e Antonio Latella con Monica Piseddu cast: Valentina Acca, Massimo Arbarello, Fabio Bellitti, Caterina Carpio, Sebastiano Di Bella, Nicole Kehrberger, Candida Nieri, Fabio Pasquini, Annibale Pavone e Maurizio Rippa scene Giuseppe Stellato ombre AltreTracce produzione Teatro ERT Emilia Romagna regia Antonio Latella Visto al Teatro Era di Pontedera, Sala Thierry Salmon il 28 febbraio

giovedì 10 marzo 2016


GRUPPO STRANITA’: intervista ad Anna Solaro del Teatro dell’Ortica Posted by renzia.dinca Genova. Il Teatro dell’Ortica nasce a Genova con l’associazionismo di volontariato nel 1996 come progetto di Teatro di Comunità organizzando corsi di teatro per bambini e adulti fino a diventare tre anni dopo in collaborazione con l’ASL3 di Genova Teatro sociale per soggetti in stato di disagio ed emarginazione. Così nasce il laboratorio Stranità sotto la direzione di Anna Solaro che ancora oggi continua con grande energia e coraggio dopo che sono stati sospesi i finanziamenti che la Regione Liguria aveva assicurato fin dall’inizio- la sua battaglia di impegno civile e artistico attraverso numerosissime iniziative in Liguria fra carcere, progetti formativi con l’Università e le scuole pubbliche di base, conduzione di laboratori teatrali per grandi e piccini, ideazione e produzione di spettacoli con disabili anche in tournée fuori Regione, gruppi di lavoro con donne vittime di violenza di genere. RUMOR(S)cena: Anna Solaro, sei direttrice artistica, regista formatrice e attrice di un progetto di lungo corso in un settore in cui la grave crisi economica ha ancor più penalizzato i fondi alla Cultura e il settore Teatro e spettacolo dal vivo nazionale oltre che il settore del Sociale. La Regione Liguria in cui operate vi ha azzerato il finanziamento da sempre concesso. Come e perché ben 20 anni fa hai deciso di intraprendere questa straordinaria esperienza di Teatro sociale? Anna Solaro: nasco come educatrice professionale. Mi occupavo da dentro i Servizi, di povertà, tossicodipendenze, problemi di incapacità genitoriale, donne in difficoltà. A Genova allora, il tessuto privato/sociale era molto forte ed il sistema di welfare molto attivo. In tre anni eravamo in grado come servizi di garantire un reinserimento sociale per esempio negli alloggi popolari, nella cooperazione. Siamo come Gruppo in seguito passati alla grande questione sociale legata al tema basagliano della normalità|disabilità. Con Marco Bonomi abbiamo provato una ricerca nella relazione di cura con una eccellente cooperazione con la USL nel settore della Psichiatria. E’ così che è nata Stranità. RUMOR(S)cena: qual è il rapporto che esisteva allora con la realizzazione di Stranità e la situazione attuale dell’esperienza? Anna Solaro: Con la realizzazione di Gruppo Stranità- L’altra bellezza volevamo mostrare attraverso la rappresentazione teatrale e grazie all’espressività corporea, come le persone si trasformino da esseri sofferenti ad una espressività interiore diversa. Abbiamo creato un ponte con le scuole.Del Gruppo fanno parte 30 cittadini di diverse età. E’ un gruppo aperto alla cittadinanza per una azione solidale. Il fine è quello di allentare lo stigma della diversità. Il nostro lavoro è sull’autobiografia e sulla corporeità. RUMORScena: oggi che la Regione non vi finanzia più avete inventato una azione di crowfunding. Quale è stata la reazione della città di Genova al vostro progetto? Anna Solaro: abbiamo avuto ben 600 persone che hanno manifestato in nostro favore. Siamo fiduciosi nell’attenzione al nostro lavoro della Regione Liguria. Adesso (18 marzo)saremo a Modena al Teatro dell’Archivolto in tournée col nostro lavoro L’altra bellezza, anche grazie a questo finanziamento che arriva dalla condivisione dal basso.

mercoledì 9 marzo 2016


LA SPEZIA SHORT MOVIE AWARD- una prima edizione di successo Posted by renzia.dinca La Spezia. Si è conclusa sabato scorso la prima edizione del Festival internazionale di cortometraggi La Spezia Short Movie Award ideato e organizzato da Roberta Mucci direttrice artistica, Paola Settimini direttrice del quotidiano on line La Spezia Oggi e Daniele Ceccarini presidente del Premio, con un notevole successo in termini di partecipazione-circa un centinaio di cortometraggi giunti da tutto il mondo e con un numeroso pubblico che ha gremito il cinema spezzino Il Nuovo, uno spazio vintage dove ancora si promuove la cultura cinematografica d’essai (nello spazio al piano terra era in programmazione in contemporanea Fuocoammare film italiano di Gianfranco Rosi, Orso d’oro a Berlino 2016). La serata- tempestosa sul Lungomare della città dell’importante Porto, calda e partecipata dentro lo spazio del cinema,condotta con brio da Mirco Volpi di Radio Bruno, è stata aperta con la proiezione di corti fuori concorso: Marco e il nonno (regia di Roberta Mucci, con Sergio Forconi e Filippo Tassi) un delicato incontro fra un nipote ed un nonno, entrambi in forte empatica relazione. A seguire Helena (regia di Nicola Sorcinelli con sceneggiatura di Alessandro e Paolo Logli) su un tema tragico quale l’insubordinazione di una kapò che mette in salvo un piccolo ebreo. Si è entrati poi nel vivo del concorso con le proiezioni dei nove cortometraggi finalisti e due menzioni speciali ai fuori concorso The Real Life (regia e sceneggiatura di Luigi De Filippis e Mirco Mancini sui due tennisti di fama mondiale che nel 39 a Roma, il giorno prima dell’inizio della seconda guerra mondiale si sfidano dando prova di amicizia e vero spirito sportivo) e di Paesaggi (regia di Franca Fioravanti), una storia lieve e densa di detenuti che sognano attraverso le sbarre del carcere genovese dove la regista opera, di recuperare la poesia, il paesaggio, la vita. Tra i numerosi ospiti fra il pubblico il critico cinematografico romano Adriano Aprà, il giovane Matteo Persica, autore del bel libro Anna Magnani, biografia di una donna, Luigi De Filippis, regista e produttore Four Lab, Valter D'Errico produttore 77film Production, Luigi Dell'Aglio, scenografo RAI. La giuria era presieduta dallo sceneggiatore Paolo Logli spezzino d’origine ma romano di adozione da trent’anni che vanta un nutritissimo curriculum come sceneggiatore, autore televisivo e teatrale oltre che come scrittore di noir e studioso di musica, dall'attore Matteo Taranto (che ha presentato il trailer del film La Macchinazione, dove ha recitato con Massimo Ranieri, in uscita il 24 marzo) e poi Massimo Olcese, attore (debutterà l'8 aprile alla Spezia con lo spettacolo Una storia da raccontare, storia di Ago e Beppe ovvero I Nomadi, con Roberto Lamma), da Silvano Andreini, esperto di cinema, presidente dell’Associazione Culturale Film Club Pietro Germi che gestisce a La Spezia il cinema Il Nuovo e poi da Marco Ferrari, presidente della Mediateca Regionale Ligure, giornalista, scrittore e autore televisivo e ancora Roberto Danese, docente di Filologia Classica, Fortuna della cultura classica e Letteratura e cinema all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e direttore del Master Professionisti dell’Informazione Culturale, da Lenina Ungari, scrittrice e attrice, figlia dello sceneggiatore Enzo Ungari cui è dedicato il premio spezzino per la miglior sceneggiatura, Fabrizio Viotti, tenente di vascello, responsabile delle attività culturali del Circolo Ufficiali della Marina Militare della Spezia. Come si legge dal bando di concorso, l’obiettivo di La Spezia Short Movie Award è promuovere il territorio italiano con ogni forma di creatività e comunicazione attraverso l’immagine dinamica dei Cortometraggi (…)è un evento che vuole coinvolgere tutti i filmmaker che nascono artisti sul territorio italiano ed estero, con particolare attenzione alla valorizzazione del patrimonio storico, culturale e artistico del territorio, attraverso gli occhi di giovani artisti che hanno grazie a questo progetto, l’opportunità di impegnarsi in un processo produttivo reale, di sicuro stimolo e motivazione, rendendo fruibile ad un pubblico trasversale luoghi storici del nostro territorio e non solo. Il Festival è aperto a tutti e vuole dare il massimo risalto alle opere dedicate alla Marina Militare e alla storia della città, in quanto la città ospita da sempre un porto importante fin dall’ antichità I vincitori di questa prima edizione sono stati:Yo te quiero di Nicolas Conte - Argentina (miglior cartoon), una storia commovente in cui persona ed animale si incontrano. Ricorda la trama di Hachiko con Richard Gere del 2009. Consulente di Valentina Taylor - Australia (miglior videoclip). Una paradossale esilarante micropièce che strappa sorrisi. Perdutamente di Emilio Guizzetti - Italia (miglior colonna sonora). Perché a volte la scelta musicale è più che un commento, entra nella sceneggiatura di una trama complessa. Algien di Roberto Valdes - Messico è infine premiato come miglior sceneggiatura e miglior fiction. Impressionante e geniale lavoro che merita riflessione e diffusione per la estraniante capacità di raccontare una storia per dilatarne fino alle metafisiche conseguenze la portata imprevedibile e grottesca. Visto a La Spezia, Cinema Nuovo, il 5 marzo 2016

mercoledì 2 marzo 2016


Roberta cade in trappola Posted by renzia.dinca Pistoia. La Compagnia italo-australiana Cuocolo|Bosetti di nuovo nel mese di febbraio in residenza al Funaro (dopo l’esperienza del 2015 di Mm&m, il laboratorio Secret room e lo spettacolo itinerante per Emily Dickinson), con Roberta cade in trappola in debutto assoluto, propone un viaggio di affascinante affabulazione ai confini della memoria intra ed extra psichica ed esperienziale umana. Nella città di Pistoia designata Capitale italiana della Cultura 2017, questa nuova coproduzione internazionale (a seguire della recentissima The Walk sempre creata all’interno della residenza artistica), assicura un bel poker d’assi alla programmazione del Centro culturale Il Funaro. Una donna non più giovane, forse sola coi suoi fantasmi (non ci sono altre presenze nella memoria privata, passata e presente, se non amicizie importanti ma assenti se vicine o comunque troppo lontane anche nello spazio|tempo geografico per consolare e contenere), fa i conti con un’esperienza purtroppo comune prima o poi a tutti: quella del lutto di un genitore, in questo caso la madre. Il lavoro è all’insegna della esplorata poetica che ha contraddistinto la coppia di artisti Cuocolo|Bosetti in questi ultimi 15 anni, sino al conferimento di numerosi prestigiosissimi premi internazionali di qua e di là dall’oceano, di qua e di là da diversi continenti dall’Europa all’America all’Australia. Di nuovo il nucleo di ricerca artistica è quello del privato che diventa pubblico e si confonde e dove l’attore è persona oltre che personaggio. Anche in questa nuova prova Roberta è donna-attrice, come costretta dal suo presunto (?) lutto ad intraprendere un cammino a ritroso dentro i grovigli della memoria, un viaggio alla ricerca delle proprie radici, prima di figlia e poi di giovane donna perché è da lì che-forse, si può riprendere il filo della vita che scorre malgrado noi e le nostre pesanti catene di perdite. Roberta lo fa anche attraverso un recuperato registratore, un italianissimo Geloso anni Sessanta, un reperto ancora funzionante con le sue vecchie bobine, in cui a scena aperta e munita di microfono, riascolta commentando voci di lei bambina di circa dieci anni con in sottotraccia sua madre che canta, in cucina anche lei a sua volta, immersa dentro un suo (e loro femminile) comune lutto, quello del marito-padre. Nel frattempo viene proiettata una foto di bambina di circa tre anni che mangia una torta per il suo compleanno (è sempre Roberta da sola in una sorta di loop). E questo è forse il suo ricordo più antico, chiosa l’attrice. Tutto il lavoro è come una sorta di setting pubblico-privato, dove il monologo-diario dolente, carico di pathos e di segni– sul tavolo accanto al registratore c’è una pila di quaderni dove su consiglio dello psichiatra, Roberta annota memorie e emozioni, senza però mai cadere nella retorica, nel melenso. Questo è il viaggio mnestico di Roberta, affiancato dalla presenza in scena accanto al tavolo-scrivania dove è seduta, di una figura maschile (Renato Cuocolo) silenziosa, che la riprende e come ausculta, una presenza discreta misteriosa, con una telecamera e mentre lei affabula, lui proietta sullo sfondo immagini di un libro da sfogliare, il libro-teca dei ricordi della donna in cui foto ma anche disegni infantili aiutano a tesserare la maglia – matassa del tempo della donna per sdipanarla, forse. E’ che Roberta narra anche di zone molto buie. Quelle della depressione che non trova cura. Neanche attraverso medicine, perché nessuna depressione reattiva a tali lutti può trovarla in quelle zone. E non bastano psicofarmaci né psicoterapie a sanare un legame assoluto come quello con la madre perduta. Il dolore- dice-non ha una data di scadenza-e ancora: la depressione è come stare sotto una campana di vetro a cui hanno risucchiato tutta l’aria. Nella affabulazione dell’io narrante entrano anche citazioni, come echi letterari da Wallace a Rilke in Lettere ad un giovane poeta, così come i miti. In particolare è messa a fuoco la figura di Persefone nella sua ancestrale dicotomia madre|figlia. Resta da decifrare in cosa consista la “trappola” in cui Roberta è caduta. Troppo facile avanzare le solite categorie un po’ chiesastiche della scienza psichiatrica. E’ la vita la grande trappola coi suoi misteri in cui tutti siamo sprofondati, quei misteri che hanno a che vedere con la Morte-che per Heidegger è l’unica possibilità per cui tutte le altre sono possibili. The space between- tredicesima parte di Interior Sites Project di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti con Roberta Bosetti Iraa Theatre in coproduzione con Il Funaro Visto a Pistoia, il 27 febbraio 2016