martedì 5 ottobre 2021

IL GIOCO DEL SINTOMO: UNA ESPERIENZA DI TEATRO E DISAGIO MENTALE Una scommessa vincente fra l'ASL Nord Ovest Toscana e il regista Alessandro Garzella Renzia D'Incà ...prendersi cura è un'azione violenta bisogna armarsi di un amore pieno di collera ( Alessandro Garzella) Il volume:I l Gioco del Sintomo narra del lavoro congiunto ideato da Alessandro Garzella regista e allora direttore artistico de La Città del Teatro di Cascina (Pisa), secondo Polo regionale toscano di Teatro per le Nuove generazioni, con la psichiatra Consiglia Di Nunzio. Di Nunzio è stata Dirigente sanitario di Psichiatria ASL 5 di Pisa, coordinatrice delle attività riabilitative e responsabile delle strutture residenziali psichiatriche della stessa Azienda Sanitaria locale. L'esperienza, tuttora in corso con l'ASL Nord Ovest Toscana, è stata da me seguita per molti mesi con cadenza bisettimanale dall' anno 2000, in qualità di studiosa e critico teatrale, si è svolta fra la sede del Servizio territoriale e il Teatro di Cascina a San Frediano a Settimo (Pisa), su un'esperienza laboratoriale di teatro e disagio mentale. Quell'esperienza pilota, nata per scommessa (parole della dottoressa Di Nunzio), sulla scia della riforma Basaglia che avviava alcuni pazienti psichiatrici all'esperienza del teatro, si è trasformata in un processo di lavoro che da “scommessa” si è aperto a prospettive inimmaginabili. Dall'osservazione dei laboratori tenuti da operatori teatrali in collaborazione con il CIM sono stati pubblicati due volumi: Il Gioco del Sintomo-crudeltà e poesia teatro e disagio mentale (2002) e anni dopo Il Teatro del dolore-gioco del sintomo e visionarietà (2011), una ristampa del primo volume con prefazione di Giuliano Scabia arricchito di aggiornamenti di ordine scientifico-didattico in un ambito di studio e riflessione con contributi di Dario Capone, attuale didatta e direttore didattico dell'Istituto di Psicoterapia relazionale (IPR) e di operatori socio sanitari. Il libro è ad oggi materia di studio presso l'Università di Pisa alla Facoltà di Medicina nel corso di Laurea per tecnici di Riabilitazione psichiatrica. A tutt'oggi in piena crisi mondiale pandemica, sono in corso laboratori guidati dal regista Alessandro Garzella in virtù dell'articolo 3 del DPCM del Marzo 2021. Sollecitata a raccontare di questa esperienza come contributo al nuovo numero di DROMO, mi sono interrogata sulla attualità e sulla urgenza di ancora e ancora seguire percorsi che erano stati segnati dalla rivoluzione attuata da Franco Basaglia a Gorizia e poi a Trieste con Marco Cavallo e gli artisti che hanno accompagnato quella straordinaria stagione. Sono arrivata alla conclusione che quella di Basaglia non è stata una rivoluzione mancata, e nemmeno una rivoluzione adesso “stanca”, come suggerisce il titolo provocatorio di questo numero della rivista. Sostengo che ad essere stanca è la società italiana e occidentale in generale, quella europea di fatto, e per ragioni socio-politiche croniche (ora aggravate e slatentizzate da esplosioni impensabili socio-sanitarie mondiali). E' la società ancora, come negli anni Sessanta e Settanta, ad essere malata forse e anche più di allora, nei tempi della rivoluzione mancata(?) basagliana: Abbiamo l'orgoglio di stare con gli ultimi cerchiamo di ascoltare i bisogni, l'essenza di ciò che siamo, la natura dei nostri istinti irrazionali, cerchiamo di ribellarci a certe regole sociali, a volte riusciamo a smascherare la falsità di un benessere sempre più indifferente e vuoto abbiamo messo la marginalità al centro della nostra ricerca artistica, con quell'amorevole crudeltà che fa dell'arte un luogo di contagio, dove il grave è lieve e l'indicibile talvolta può essere vissuto e detto, includendo ciò che l'ipocrisia sociale ritiene sconveniente e osceno (Alessandro Garzella). Quanto riportato sopra è il Manifesto del lavoro che Alessandro Garzella ha ideato e messo in piedi creando la sua Compagnia Animali Celesti-teatro d'arte civile: un gruppo di artisti, utenti psichiatrici e persone interessate a valorizzare l'espressione delle diversità. Animali celesti è una Compagnia nata per sperimentare il rapporto fra teatro e follia attuando la metodologia del Gioco del sintomo in ambito artistico e relazionale. L'opera Il Sigillo, installazione performativa di teatro, danza, musica e video arte ideata dal regista con il collega Satyamo Hernandez nell'ambito della Festa della cittadinanza universale prodotta in collaborazione con AEDO, Cantiere delle Differenze per il Comune di Viareggio, ha ottenuto la menzione speciale del Premio MigrArti2018 dove, alla fine dello spettacolo, viene distribuito agli spettatori un passaporto di apolide multiculturale. Spiegare in cosa consiste la tecnica teatrale del Gioco del sintomo è affare complesso perchè andrebbe vissuta dentro il corpo e la relazione di uno spazio teatrale con altri utenti. Nel mio libro ho provato a sintetizzarlo in uno schema consistente in tre figure; il Conduttore, il Paziente e la Relazione che si celebra. Il Conduttore opera l'Individuazione del sintomo, assume su di sé la maschera del Paziente, la porta al parossismo. La Relazione si incentra in forma di rappresentazione del sintomo portato dal Paziente in modalità caricaturale-parodistica. Il Paziente risponde con Rispecchiamento, spiazzamento per riconoscimento del proprio sintomo e con tentativo di simbolizzazione. Ho assistito a numerose altre esperienze di Teatro sociale nel nostro Paese. E sempre sulla scia della stagione esperenziale e culturale di Giuliano Scabia. In particolare il lavoro di Vito Minoia presso Università di Urbino che in Convegni internazionali ha portato pratiche teatrali coi malati mentali e con handicap fisici, esperienze di tutto rispetto nell'ambito del Teatro delle diversità (vedi rivista Catarsi-Teatri delle diversità). Vorrei altresì segnalare numerose altre esperienze a cui ho partecipato in veste di giornalista teatrale in diversi Convegni e rassegne, anche ben segnalate e descritte dal collega Andrea Porcheddu in Cosa c'è da guardare- La critica di fronte al teatro sociale d'arte. Fra le svariate cito Lenz Rifrazioni di Parma, Il Teatro dell'Ortica di Genova, il lavoro di Antonio Viganò, Isole Comprese Teatro di Firenze. Abbiamo rivolto alcune domande ad Alessandro Garzella per capire a dieci anni di distanza dall'uscita del saggio Il Teatro del dolore cosa sia cambiato rispetto alla ventennale esperienza descritta: Rispetto a dieci anni fa, le sembra che siano cambiate le tipologie di pazientirispetto agli storici delle precedenti esperienze in carico ai servizi ( anni Novanta), di invio dalle Istituzioni psichiatriche verso le cure di arte-terapia e in particolare al Teatro in quanto a patologie, comportamenti, relazioni con conduttori teatrali e con gli operatori sia teatrali che dei servizi? Rispetto a 10 anni fa il gruppo si è auto selezionato, anche a causa di un minor apporto logistico organizzativo da parte dei servizi; nell’ultimo periodo, per reazione al Covid ed alle conseguenti ricadute degli utenti derivanti dal maggior isolamento sociale, i nostri servizi hanno invece investito maggior interesse rispetto al progetto laboratoriale contribuendo fortemente a motivare il gruppo che oggi, sia nella dimensione del laboratorio ristretto, sia nella dimensione del laboratorio allargato a tutti i componenti della compagnia, manifesta una partecipazione attiva e creativa particolarmente intensa; la tipologia della nostra utenza non è mutata anche se i servizi non hanno ancora immesso nuovi utenti (avverrà da settembre) che pare siano portatori di dinamiche comportamentali e patologie diverse (ludopatia, disaffezione) rispetto a quelle sperimentate finora (psicosi, schizofrenia, disturbi del comportamento borderline). Rispetto a dieci anni fa, le sembra che stia cambiando o sia cambiato il rapporto fra pazienti / famiglie e società civile sul tema dello STIGMA della malattia mentale? Si tratta e ancora di un tabù o la questione rispetto agli anni Novanta-Duemila rappresenta ancora un sensibile tema di discriminazione sociale su cui lavorare sul piano etico-politico? Nella sostanza è cambiato poco anche se la maggiore apertura e pratiche mediatiche anche discutibili rispetto alla spettacolarizzazione dello stigma hanno reso meno distante la follia sanitaria dalla follia civile che governa gli Stati e la morale standard; ciò che non è cambiato nello stigma è la pratica della separazione dal sociale, attuata anche attraverso interventi ipocritamente solidaristici che, in realtà, determinano una ghettizzazione culturale delle persone che presentano stili di vita, idee, comportamenti fuori dagli schemi culturali dominanti. Il Teatro come terapia ha ancora una valenza terapeutica? Il teatro è arte, gratuita e inutile come deve essere; una sensibilizzazione artistica del corpo, dell’espressione, è di per sé terapeutica, così come terapeutico è l’incontro con un amico affettuoso e intelligente o un buon cibo, una serata di festa; la differenza dell’arte scenica è la pratica di teurgia (rapporto con un divino del tutto laico o pagano) che l’artista sperimenta ogni volta che si mette in gioco in quanto corpo anima trasfigurante; l’intensità di questo gioco induce due possibili processi di cura: l’arte che cura e cura sé stessa attraverso la frequentazione della malattia; l’altrove del teatro come spazio di ricerca e di contagio reciprocamente sano. È stato superato il paradigma basagliano e adesso la Rivoluzione è solo stanca dal punto di vista della cura? La Rivoluzione è stanca oppure proprio in questa fase di trasformazione antropologica mondiale ( anche legata al Covid) bisogna ripensare le categorie di cura della “ follia” e di “arte” come cura delle Persone? Entrambe le cose sono in divenire: per un verso la privatizzazione della sanità pubblica ha arrestato il compimento del processo di liberazione della follia, riducendo i livelli di inclusione e limitando la così detta riabilitazione a piccoli garage di conservazione se non cristallizzazione delle patologie (senza incentivare progetti di ricerca innovativi poiché contrastanti con l’egemonia dei protocolli e della farmacologia); in questo la rivoluzione non è stanca, è imprigionata dalla politica e dalla prassi della burocrazia sanitaria; per l’altro verso la crisi sociale è così esplosiva da determinare processi in cui si formano piccole comunità in cui il diritto di cittadinanza della parte sana della follia è sempre più sentito come bisogno individuale e sociale; in quale direzione evolverà questo scontro non so dirlo: dipende molto dalla capacità di integrare processi di settori attualmente troppo separati tra loro per determinare una forza d’urto capace di incidere sui rapporti di forza e sulle dinamiche esistenziali della società. Bibliografia: Il teatro del dolore di Renzia D'Incà -Edizioni Titivillus Teatro Stalla: Animali Uomini e dei a cura di Andrea Porcheddu- Edizioni Moretti e Vitali Che c'è da guardare?-La critica di fronte al teatro sociale d'arte Andrea Porcheddu -CUE PRESS A.Di Benedetto, Prima della parola. L'ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell'arte-Edizioni Franco Angeli
MADDALENA CRIPPA apre la Stagione La fiamma del Teatro non si spegne mai del Teatro di Rifredi renzia.dinca Firenze. Con Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti, di Josep Maria Miro e l'interpretazione di Maddalena Crippa in forma di lettura, si apre in gran prestigio internazionale la Stagione del Teatro di Rifredi. Il testo firmato dal grande drammaturgo catalano, è stato tradotto da Angelo Savelli, direttore con Giancarlo Mordini del Teatro di Rifredi di Firenze-Centro di Produzione Pupi e Fresedde e pubblicato da Cue Press (ultimo dopo quattro testi drammaturgici di Miro: Il principio di Archimede, Nerium Park, Scordiamoci di essere turisti e Tempi selvaggi). Con questa traduzione, il regista Savelli prosegue il suo lavoro sulla nuova drammaturgia internazionale, attività per la quale il Centro di Produzione Pupi e Fresedde ha ricevuto il Premio speciale della Giuria UBU 2019. Il drammaturgo catalano con Tempi selvaggi, ha vinto il Premios Max Las Artes Escénicas e il Premio per la miglior regia consegnato a Xavier Alberti, direttore artistico del Teatre Nacional de Catalunya che lo ha prodotto. Come autore Miro è stato messo in scena per la prima volta in Italia dal Teatro di Rifredi nel 2018 con Il principio di Archimede per la regia di Savelli. Nato in Catalogna nel 1977, Miro è anche regista, giornalista radiofonico e professore universitario di drammaturgia e arti sceniche, le sue opere sono tradotte in 15 lingue. Il suo nuovo testo è stato ideato “per un unico attore o attrice, indipendentemente dal genere, dall'età e dal fisico”. Vi affronta i temi a lui congeniali: l'ipocrisia sociale, le responsabilità individuali, le paure, il senso di colpa e la sua rimozione, l'ambiguità della verità, l'infanzia violata. Il testo col titolo Corpo più bello, ha incoronato Miro alla vittoria per la terza volta nella carriera, del Premio Born 2020, fra i massimi riconoscimenti per la drammaturgia del teatro spagnolo. Non ancora rappresentato in scena come spettacolo, la lettura che sarà presentata a Rifredi, anticipa il debutto al Festival Temporada Alta di Girona a fine anno. Sarà l'attrice Maddalena Crippa, da oltre 40 anni sulle scene italiane e internazionali, a dar voce al teatro di parola di Miro. Maddalena Crippa che ha lavorato tra teatro, cinema e prosa in TV, è stata in scena per registi di assoluto prestigio mondiale. Dopo la Scuola del Piccolo Teatro, Crippa è stata diretta da Strehler ancora giovanissima, poi da Luigi Squarzina, Massimo Castri, Luca Ronconi, Cristina Pezzoli, Letizia Quintavalla e dal suo compagno, anche nella vita, Peter Stein. Si potrà assistere a Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti al Teatro di Rifredi venerdì 8 e sabato 9 ottobre alle 21. Sabato alle 18, Josep Maria Miro sarà in teatro per incontrare il pubblico insieme al drammaturgo e regista Abel Gonzales Melo, a Maddalena Crippa, ad Angelo Savelli, all'editore di Cue Press Mattia Visani e ai docenti dell'Università per Stranieri di Siena Daniele Corsi e Celia Nadal. La Stagione del Teatro di Rifredi, intitolata quest'anno La fiamma del Teatro non si spegne mai, è programmata dall' 8 Ottobre al 31 dicembre, una stagione dimezzata, come dichiara il direttore artistico Giancarlo Mordini, a causa della fase ancora in corso della pandemia Covid. Occorre prudenza, ha dichiarato, vista l'interruzione dello scorso ottobre a solo una settimana dall'inaugurazione. Prevede 15 spettacoli di cui 5 nuove produzioni firmate da Pupi e Fresedde e 8 prime nazionali. Il consueto appuntamento internazionale sarà con The Primitals, di Yllana premiato al Festival di Avignone nel 2019 come miglior musical e per la prima volta in Italia. A seguire Misericordia di Emma Dante. Le quattro prime nazionali prodotte o coprodotte sono con: Antonella Questa, Ciro Masella, Edoardo Zucchetti e Angelo Savelli. La danza sarà presente con la nuova produzione dell’Opus Ballet. Il Teatro toscano brillante con Alessandro Paci, Lorenzo Baglioni, Alessandro Riccio. Inoltre ci sarà la programmazione consueta domenicale per i più piccoli

venerdì 1 ottobre 2021

PAOLO RUFFILLI Le cose del mondo. Lo specchio Mondadori, 2020 L'indefinibile chirurgia delle cose Coerenza chiama coerenza nella poetica di Paolo Ruffilli. Così in questa ultima fatica letteraria Le cose del mondo, che raccoglie ben 40 anni di produzione e ricerca lirica, l'Autore di cui Eugenio Montale intuì la felice ispirazione giovanile, conduce chi lo segue dentro un nuovo viaggio esperenziale e sapienziale. Fedele alla unità formale-le sei sezioni o “capitoli” di cui si compone il volume, sono elaborate per lo più in forma di settenari e endecasillabi, Ruffilli costruisce una struttura ad anello dove la partenza, quella evocata nella prima sezione Nell'atto di partire, si sviluppa per cerchi concentrici a tema fino a riavvolgersi come un nastro e a ritroso vero il ritorno, un eterno ritorno. Il dualismo si sdipana fra la stasi e il moto, l'azione e l'osservazione che è auto-osservazione. L'Autore osserva la realtà o ciò che i suoi sensi percepiscono come tale, per farne materia di indagine interiore in forma di autonarrazione, di autosvelamento come in Morale della favola, dedicata alla figlia e in La notte bianca. Rispettivamente seconda e terza sezione, per poi affrontare lo zoccolo duro del volume nel capitolo Le cose del mondo( pag.105): Le persone muoiono e restano le cose solide e impassibili nelle loro pose nel loro ingombro stabile che pare non soffrire affatto contrazione dentro casa perché nell'occuparlo non cedono lo spazio vaganti come mine, ma nel lungo andare il tempo le consuma senza strazio solo che necessita di molto per disfarle e farne pezzi e polvere, alla fine. Cosa c'è di più statico delle “cose” e della loro nominazione. E la parola cosa poi: quanto di più ambiguo racchiude nei significati di cui è portatrice nella nostra lingua. Ruffilli gioca coi versi sulle ambiguità di senso, lavora sul significante, sulla relazione contenente/contenuto. Infatti ne Il nome della cosa (pag 109) si legge: Eccolo, il nome della cosa: l'oggetto della mente che è rimasto preso e imprigionato appeso ai suoi stessi uncini disteso in sogno, più e più inseguito perduto dopo averlo conquistato e giù disceso sciolto e ricomposto rianimato dalla sua corrosa forma e riprecipitato nell'imbuto dell'immaginato Da questo incipit parte una serie di poesie che, secondo un ordine alfabetico, danno un contenuto concreto e simbolico, funzionale e metaforico secondo l'uso della lingua italiana, come da locuzioni prese dai vocabolari: si va da Anello a Bambola, da Occhiali a Scarpa registrando anche un: Vocabolario Registro, elenco, catalogo, inventario -ministro di governo, regina delle carte e scorta e giacimento di parole in schiera (…) sistematico schedario di tutto l'universo A questa segue la sezione Atlante anatomico dove, dissezionate, sono alcune parti del corpo umano, da Ascelle a Collo, da Occhi a Seno. L'osservazione minuta del Poeta fin dalle sue precedenti prove in versi (Piccola colazione, Diario di Normandia, Camera oscura, Nuvole, La gioia e il lutto, Le stanze del cielo, Affari di cuore), dotato di un raffinato sguardo, affila le sue pinze chirurgiche di scavo in questo volume composito e diacronico che costituisce un micro trattato di linguistica in versi. Si avvertono echi delle filosofie orientali nell'ossimorica perlustrazione di un immagine e del suo complementare od opposto, specie dove l'Autore si affida e cerca relazioni analogiche per immagini. Predilige un registro linguistico sintattico quasi quotidiano come nello stile, così come nella scelta dei temi da entomologo o chirurgo pur senza mai scendere nel minimalismo. Un continuo rincorrere il tentativo di formulare senso del reale, lui consapevole che il reale è la personale unica e individuale rappresentazione della realtà. Mai univoca sempre di inesausta narrazione. Senza cadere nelle trappole della o delle verità, per tentare di afferrare la sua realtà che è la realtà della vita e delle sue diverse irrazionali componenti fisiche, psichiche, esistenziali, esperenziali. In questa ricerca Ruffilli si appoggia a metafore del Novecento letterario come quella del viaggio caproniano con cui si apre il volume, per approdare a ritroso e insieme in avanzamento di conoscenza al passaggio dell'ultimo capitolo Lingua di fuoco (pag.173): Il nominare chiama e, sì chiamando ecco che avvicina invita ciò che chiama a farsi essenza convocandolo a sé nella presenza E' la ragione che si fa linguaggio(...) E' una sorta di Manifesto di poetica, questa dell'ultimo capitolo. L'inesausta e mai esaustiva ricerca dell'uomo Ruffilli e della sua ricerca in Poesia. Renzia D'Incà Arcidosso, 23 Agosto 2020
ALICE nel meraviglioso mondo del Silos renzia.dinca Livorno. Dentro lo spazio ristrutturato del Silos Granario appena inaugurato, uno spettacolo fantasmagorico per grandi e piccini: Alice, tratto da Lewis Carrol con drammaturgia e regia di Francesco Cortoni. Prima di raccontare del bel lavoro del regista drammaturgo e attore è necessario documentare la location dove è stato ideato e programmato: una archeologia industriale-portuale risalente agli anni Venti del secolo scorso e in funzione fino agli Ottanta. Il Silos Granario, ubicato dentro l'area portuale livornese è stato utilizzato per mezzo secolo come luogo di stoccaggio merci per il commercio di petrolio e grano. Chiuso trent'anni fa, è stato inaugurato lo scorso giugno dopo una importante operazione di riconversione che da luogo abbandonato a vocazione industriale lo ha trasformato in spazio culturale e turistico dedicato a luogo di mostre, eventi, iniziative culturali. Ubicato in area porto passeggeri, Terminal crociere, Silos Granario è di fatto stata ideata come una realtà di straordinaria valenza operativa nell'ambito del turismo e della cultura labronica in una città che sta cercando nuovo rilancio e riconversione dopo anni di crisi. Una città industriale che peraltro ha dato i natali a figure di spicco nell'arte internazionale e ad oggi nella cultura fra le quali Mascagni, Modigliani, Fattori e Caproni e Giorgio Fontanelli . Ma anche e perchè no Paolo Virzì col suo approccio sanguigno e vitale in notissimi film, Roberto (Bobo) Rondelli con le sue canzoni di autorato poetico e Simone Lenzi , narratore. Detto questo, avvicinarsi ed esplorare l'area in cui è stato rappresentato il lavoro di Cortoni (prodotto da Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno e da Pilar Terneda), è davvero una avventura come deve esserlo stato per Cortoni che ha occupato coi suoi attori lo spazio adattandolo al suo progetto di regia e al suo pubblico come prima iniziativa del Silos e dentro la kermesse estiva di Effetto Venezia (concerti, spettacoli, letture in uno dei quartieri più suggestivi della città che dà sui “fossi”, ovvero i canali di barchini ristoranti e bistrot che dalla città portano al mare, ricchi di storie di camalli e popolo ben narrati nei testi di Bobo Rondelli, alla sua 36esima edizione). Il lavoro di Cortoni si è districato in uno spazio che di teatrale ben poco ha: uno spazio con colonne gigantesche che certo non garantiscono una visuale felice rispetto ad una platea costruita a ferro di cavallo su tre gradoni. Nonostante questo e forse proprio a sfida della difficoltà, Cortoni ha pensato e ben realizzato il suo lavoro paradossalmente sfruttando proprio il vedo-non vedo intrecciando le storie affabulesche di Alice in e tra le colonne. E quindi ecco appalesarsi Alice alla rincorsa del Bianconiglio, e tutti i personaggi che compaiono-scompaiono in e fra le colonne: Cappelaio Matto, Regina Rossa, Fante di cuori, Brucaliffo, Dodo, Duchessa, Lepre, Gatto dello Cheshire. Un avvicendarsi veloce e in uno spazio se pur costretto, da destra e da sinistra e dentro e fra gli spazi del colonnato. Tutto ciò molto ben supportato e valorizzato da un pubblico di tutte le età con bambini molto piccoli curiosi e attenti. Davvero molto belli i costumi e le maschere e molto bravi gli attori Alice -Regia e testo Francesco Cortoni con Elisabetta Raimondi Lucchetti, Silvia Lemmi, Irene Catuogno, Federico Raffelli, Davide Niccolini, Carlo Salvador, Francesco Cortoni Musiche Filippo Conti Costumi Massimo Tintorini Maschere Gisella Buttera, Matilde Gori, Noemi Perna Visto a Livorno, Silos Granario in Effetto Venezia, agosto 2021
FESTIVAL A VEGLIA festeggia 15 anni. con dedica al Maestro Giuliano Scabia-di e con Elena Guerrini renzia.dinca Manciano (Grosseto). Il Festival “A Veglia”, perdura nonostante il Covid e con ottimi risultati da ben 15 anni. Ideato e organizzato da Elena Guerrini, attrice di teatro e cinema, performer, scrittrice di fama (Bella Tutta, edizioni Garzanti), nella Maremma toscana dove porta avanti con grande successo il suo Festival anche noto come Teatro del Baratto. Allieva di Giuliano Scabia, Maestro di Teatro che ci ha lasciato con grande vuoto e dolore pochi mesi fa, Elena Guerrini è stata fra i suoi numerosissimi e affezionati allievi di tante generazioni del DAMS di Bologna, dove Scabia è stato professore di Drammaturgia per 30 anni. Guerrini ha ereditato qualcosa in più dal Maestro, che viveva a Firenze con la sua famiglia: un lascito “immateriale”, ben descritto dentro il cuore della città dove Scabia (nato a Padova, naturalizzato fiorentino), ha creato e sviluppato una serie di straordinarie complicità ideali e teatrali (una fra tutte: Ronde della carità, pensate ed esportate in tante città italiane da Paolo Coccheri allievo di Orazio Costa, scomparso da poco tempo quasi in contemporanea). Giuliano Scabia, poeta drammaturgo, ha ideato con gli psichiatri Franco Basaglia e Peppe dell'Acqua, una rivoluzione sanitaria e politica che ha portato alla legge 180 per la chiusura dei manicomi in Italia, una legge antesignana a livello Europeo, pur nelle difficoltà della sua concreta realizzazione successiva. Suo in qualità di artista, poeta, il volume di testimonianze: Marco Cavallo (Einaudi, 1973) da poco ristampato, dove si narra dell'esperienza di un gruppo di intellettuali e artisti con i malati mentali all'ospedale di Trieste, manicomio che fu aperto dal direttore Franco Basaglia abbattendone simbolicamente mura e cancelli e liberato dai matti in una manifestazione rivoluzionaria lungo le strade della città. In questa estate 2021, in tempi di Green pass (che tutti stiamo usando, anche all'aperto come spettatori consapevoli, che sennò in Teatro al chiuso non ci arriveremo e se non fra anni), di festival dimezzati-nei contributi ministeriali e locali, nonché nelle capacità degli artisti di resistere alla estate (e inverni) del nostro scontento, il lavoro di Elena Guerrini è davvero meritevole di attenzione. Anzitutto ha mantenuto la sua cifra artistica di Teatro del Baratto: venite a Manciano-questo il Manifesto, portatevi la seggiola non comprerete il biglietto, vi chiediamo di portare “a baratto”, degli spettacoli (tutti di alto livello a cominciare da quello di anni fa di Marco Baliani, nelle corti bellissime e selvagge di Terre senesi - Patrimonio Unesco), un prodotto della terra:olio vino formaggi. Una formula vincente in queste terre di radici contadine antiche, terre di Maggianti a cui ci si appella e ricucisce dentro identità e visionarietà artistiche recenti. Detto questo, nell'ambito del suo Festival (da quest'anno anche con anticipazioni di eventi: dal 2 a 8 Agosto a Grosseto), abbiamo assistito a una giornata in memoria di Giuliano Scabia dove, nel mantenere l'idea e militanza ideologica e poetica di fondo recepita dal Maestro, con lucidità e forza, Elena Guerrini ha dato il meglio di sé. A cominciare dalla presentazione del libro: SCABIA. Scala e sentiero verso il Paradiso-Trent'anni di apprendistato teatrale attraversando l'università. In presenza dei curatori, ex allievi Francesca Gasparini e Gianfranco Anzini (la Casa Usher), che in coppia stanno girando molto e continuano in questo inizio autunno nelle piazze italiane a coltivare la diffusione del volume (anche a Pisa in Coltano nel Festival di Alessandro Garzella Animali Celesti con Massimo Marino). Fra le pubblicazioni più recenti segnaliamo inoltre il volume curato da Editore Conchiglia di Santiago di Andrea Mancini: Chi è la cura, dedicato da Scabia alla moglie Cristina. Con scritti, disegni, fotografie, partiture raccolti dallo stesso Scabia. Dentro spazi minimalisti di giardini a Manciano e zone limitrofe il Festival A Veglia, abbiamo assistito ad un trionfo di letture in presenza, a cura degli ex allievi di Giuliano Scabia. Elena Guerrini ha ospitato letture dai lavori pubblicati di Scabia dentro lo spazio fatato della Scuolina dei Poderi di Manciano. Un interessante spazio performativo che ha visto la compartecipazione di molti ex allievi fra cui gli autori di Scala e sentiero Francesca Gasparini e Gianfranco Anzini. Nella stessa sera abbiamo visto il lavoro del cuoco- attore fiorentino Giancarlo Bloise Cucinar ramingo. Il cuoco attore, anche lui dentro il cerchio magico della karmatica personalità di Scabia, era già stato a Manciano al Festival pochi anni fa portato dal Maestro. In un'ora di affabulazione erudita e divertente Bloise ci ha deliziati di racconti di popoli e sapori che attraversano il mondo preparandoci in diretta ad assaporare quanto stava cucinando- mentre narrava con estro e bravura, in uno spazio di platani giganti e terrazze su paesaggi mozzafiato. Dentro lo spazio della Scuolina, l'installazione inquietante di Tommaso Correale Santacroce Sette Sirene, una installazione interattiva con sculture, canti, racconti, voci, dove lo spettatore avvicinandosi alle sette sculture poteva ascoltare storie. Una interessante esperienza di narrazione interattiva individuale e collettiva con voci femminili e maschili impostate e suadenti. Belle le maschere sculture sonore con bocche aperte quasi mostri scorticati che inghiottono, come appunto Sirene ammalianti. Perchè, come da annuncio della successiva esperienza della serata dedicata a chi voleva e poteva raccontare una propria esperienza col Maestro: Cerchio magico con l'aiuto delle Muse e della Fate le parole saliranno fino al cielo Sempre in ambito Festival A Veglia, a Manciano, la rivista e Associazione culturale ateatro con la curatela di Elina Pellegrini, ha ospitato due pomeriggi di riflessione diretti e organizzati dalla stessa Pellegrini, (ex cda di CRESCO e attuale responsabile amministrativa e progettazione di Carte Blanche a Volterra). L'ambito del progetto: Oltre la città nel primo incontro ha discusso su: Comunità, sostenibilità, energie creative e Spettacolo dal vivo e turismo. Nel secondo su Strategie e strumenti di incontro, con molta partecipazione di operatori del settore sia in ambito teatrale che di informazione locale e nazionale e di amministratori sia in ambito della politica che del turismo Toscano Manciano, Grosseto. Festival A VEGLIA. 10, 17, 19 Agosto 2021