mercoledì 20 luglio 2016

< (Z)ZeroCalcare 21 ore fa · [IL PUNTO SULLA VICENDA DI GENOVA, POI PURE STICAZZI DELLA CENSURA DI FACEBOOK] Allora. Siccome mi hanno sospeso la pagina fan per il post sull’iniziativa di Genova nell’anniversario del G8 del 2001 di domani, e la riapertura passava per la sua rimozione,e ora è uscito pure un articolo di wired sulla vicenda (http://www.wired.it/…/perche-pagina-facebook-zerocalcare-s…/) vale la pena spendere due righe, anche perché dopo che avevo fatto la lagna in un fumetto un paio di settimane fa, stavolta un sacco di gente ha scritto cose molto carine e supportanti ed è utile chiarire questa roba. Allora, nella giornata di ieri ho postato la locandina dell’iniziativa che si terrà a Genova il 20 luglio, che non contiene oltre che nessun’offesa neanche nessun riferimento a presunti eroismi, giudizi, attacchi, una cosa proprio low profile. Questo post ha scatenato una serie di commenti immondi, che andavano dalla gioia per il buco in testa a Carlo Giuliani a invettive varie e promesse di non comprare mai più i fumetti miei e roba del genere. Un sacco di gente giustamente ha commentato “vabbé, ma che la roba di zerocalcare non l’avete mai letta? Che lo scoprite ora come la pensa?”, qualcun altro s’è lamentato del fatto che i lettori pretendono di decidere i temi su cui un autore può o non può esprimersi.... Ecco, è tutto molto giusto, ma sti ragionamenti non colgono quello che è successo. Chi ha cacato il cazzo ieri non sono lettori miei, punto. Eccetto una minima parte, che ha espresso peraltro in maniera piuttosto pacata il proprio dissenso ma senza alcuna sorpresa, tutto quel macello e quei toni (comprese le segnalazioni che hanno portato alla chiusura della pagina e alla rimozione del post) l’hanno fatto altri, venuti su quella pagina apposta, che di sicuro non sono le mie categorie principali di lettori: nazisti e/o poliziotti (ex o attuali o simpatizzanti o sindacatini o associazioni). Stop. Quindi tutti i ragionamenti tipo “chissà quanti di quelli che fanno la fila per il disegno poi in realtà pensano ste cose” sono sbajati regà. Ma no perché tutti quelli che mi leggono la pensano come me eh, ci stanno pure persone molto lontane come orientamento politico e si, ci stanno pure guardie, ma so’ comunque persone tendenzialmente capaci di gestire quella contraddizione ed accettare un punto di vista diverso, cioé non so' quelli che scrivono ERA UN PORCO ED SI E’ MERITATO LA FINE CHE HA FATTO, per intenderci. Ero indeciso se scrivere queste due righe perché fino a stamattina pensavo vabbé, Genova è una partita chiusa. Sclerotizzata, immutabile, ormai esiste un blocco sociale in questo paese che pensa che era giusto sparare in faccia a Carlo Giuliani, e quella roba ormai è inscalfibile. Non vale la pena dibatterne ancora. Teniamoci la nostra memoria, coltiviamola, problematizziamola, e amen. Schieriamoci sulle cose dell’oggi checcazzo, sulle cose che ancora sono vive e ci attraversano e su cui possiamo ancora orientare il dibattito pubblico e l’opinione, quelle su cui non abbiamo ancora perso. Non sui match finiti. E invece evidentemente Genova non è finita (c’è chi lo dice da tempo, lo dico pure io ma ammetto di averlo usato più come uno slogan che altro), non solo –ma basterebbe quello- perché ci sta ancora una persona in galera a 15 anni di distanza dai fatti (e altre sottoposte a misure e restrizioni) mentre altri venivano promossi e facevano carriera, ma perché è la controparte e pezzi dei suoi apparati che continuano a fare una guerra accanita e che sulla narrazione di quelle giornate non vogliono mollare di un centimetro. Quindi boh, è dal 21 luglio 2001 che litighiamo su quanto è successo a Genova. In tanti di noi si so pure rotti il cazzo, di litigare e raccontare. Però forse vale la pena continuare a farlo, anche per rispetto al nostro dolore, al nostro sangue e alle nostre lacrime, pure se ci sembrano così lontane oggi.

martedì 19 luglio 2016


Miti che rivivono nei “corpi nuovi” di Roberto Latini renzia.dinca RUMORSCENA CASTIGLIONCELLO (Livorno) – L’anfiteatro, cornice storica di tanti spettacoli all’aperto nelle ben diciannove edizioni del festival Inequilibrio, sito nel parco di Castello Pasquini, ha ospitato il progetto in evoluzione Metamorfosi (di forme mutate in corpi nuovi) di Roberto Latini, tratto da Ovidio. Il regista con la sua compagnia Fortebraccio Teatro – complice Armunia diretta da Angela Fumarola e Fabio Masi, attenti alle nouvelles vagues delle produzioni dei giovani gruppi teatrali, ha fissato da qualche anno una residenza artistica a Castiglioncello dove lo stesso progetto ha potuto crescere, rendersi visibile e farsi apprezzare. Già impostosi nella edizione del 2015 in forma di site specific e dopo allestimenti in modalità di maratona al Teatro Vascello a Roma e in altri spazi teatrali, si ripresenta con una struttura narrativa in dittici: Il Sonno-Tiresia, Aracne-Ecuba, Sirene-Sibilla Cumana, Filemone e Bauci-Sisifo Ilaria Drago foto di Lucia Baldini Ilaria Drago foto di Lucia Baldini Nel magmatico corpus letterario da cui Latini ha scelto di attingere il materiale drammaturgico del suo nuovo lavoro- operazione già di per sè coraggiosa al limite dell’impossibile ma di cui il regista stesso afferma di essersene proprio per questo innamorato, egli sfida la complessità dell’adattamento (da lui stesso curato) non solo e non tanto nel difficile trasferimento in forma drammaturgica del testo letterario, ma soprattutto, nel distillare forme convincenti e autonome per lo statuto teatrale; una materia vorticante e allusiva ricchissima di personaggi, storie, metonimie, allegorie, giochi semantici, quale quella creata da Ovidio nel suo capolavoro sui miti. Se di “progetto incompiuto” si tratta, come da esplicito manifesto di regia, la trasposizione a cui abbiamo assistito, quella di Sirene più Sibilla Cumana, appartiene in pieno alla poetica già percorsa nell’edizione dello scorso anno di Inequilibrio, in cui in diversi spazi ed orari erano stati presentati cinque miti in cinque diverse giornate, dei quali il più suggestivo e memorabile è stato probabilmente Orfeo ed Euridice. In questa sorta di immersione in uno stato onirico pre conscio una sorta di immaginario archetipico- se tutta una scuola di antropologia classica italiana, invece non fosse nata a sconfessasse questa lettura, ci ritroviamo alla visione dei quadri sonori e cinetici di Latini, come posseduti da forme suoni colori atmosfere ancestrali e ipermoderne, trasportati dentro universi conosciuti ed insieme misteriosi; insomma dentro un perturbante che avvince e porta altrove, attraversando spaesamenti mentali di non facile trasposizione come racconto di evento attraverso parole e significati. Così in questa che ci piace chiamare suggestione a cui abbiamo asssistito: Sirene, ci troviamo di fronte ad un sipario aperto su un’immagine di sirena ( una Ilaria Drago superba) che usa la voce, anche modificata in effetto loop, grazie al prezioso contributo al lavoro di Gianluca Misiti (musiche e suoni) e di Max Mugnai alla direzione tecnica, con effetti stranianti in una affabulazione fra eros e thanatos che ha come referente il mare, ora amante agognato ora odiato- è questo l’amore che dai? È questo l’amore che sai dare? È un canto ipnotico ricco di contaminazioni verbali erotiche sussurrate ad un microfono da cui spuntano fiori finti forse gigli. Ilaria Drago foto di Lucia Baldini Ilaria Drago foto di Lucia Baldini La scena muta ed appaiono altre ineffabili figure: sono sia maschili che femminili e travestite da clown. Il clown è il trait d’union fra diversi tempi e piani in cui si svolge l’azione scenica mentre il personaggio di sirena si allontana fra rumore di onde e strida di gabbiani e compare la Sibilla morente. Così le forme mutate narrate da Ovidio nelle loro metamorfosi prendono ad anello a loro volta altre forme, quelle dei corpi, delle voci, delle vite di altre narrazioni, di altre storie attuali e antiche insieme poichè le storie dei miti vivono o meglio rivivono a saperle leggere, nelle vite di noi contemporanei. Metamorfosi ( da forme mutate in corpi nuovi) da Ovidio Traduzione di Piero Bernardini Marzolla adattamento e regia Roberto Latini musiche e suoni Gianluca Misiti luci Max Mugnai costumi Marion D’Amburgo con Ilaria Drago, Alessandra Cristiani, Roberto Latini, Savino Paparella produzione Fortebraccio-Teatro Festival Orizzonti Visto all’Anfiteatro del Castello Pasquini, il 2 luglio 2016

venerdì 15 luglio 2016


RUMORSCENA L'Italia che dimentica il suo passato coloniale. Frosini e Timpano la rievocano CASTIGLIONCELLO (Livorno) – Nella prima settimana di programmazione del Festival Inequilibrio giunto alla sua XIX edizione fra l’altro ricca di spettacoli di prosa e danza in cartellone ogni giorno, e da quest’anno dislocati di necessità anche in spazi altri rispetto alla storica sede del Castello Pasquini, a causa della chiusura della tensostruttura, abbiamo assistito a questa prima parte del nuovo lavoro della coppia Frosini| Timpano “Zibaldino africano“, una prima parte che quindi già ne preannuncia una seconda che andrà a configurare l’opera completa che già ha il titolo di “Acqua di colonia”. Già di per sè evocativi, anche se metaforici, i titoli stanno ad indicare la zona di perlustrazione ed il focus sui quali i due coautori hanno scelto di lavorare in questo nuovo processo creativo e di messa in scena in cui intrecciano a quattro mani scrittura drammaturgica, regia e interpretazione come da qualche tempo ci hanno abituati. Graffia insinua induce a riflettere, amaramente riflettere una drammaturgia che per accostamenti di diversi piani logici e di contenuti porta per mano lo spettatore dentro un primo livello di lettura che ha il sapore del rumore di fondo: le chiacchiere da bar come il dialogo un pò annoiato di una coppia nel tinello di casa a commento distratto di notizie magari televisive sul tema: cosa conosciamo noi a Roma dell’Africa? La risposta è la stele di Axum. La coppia, che si presenta in una scena vuota per tutto lo spettcolo si rimpalla frasi condite con citazioni più o meno colte ( del resto è una coppia radical chic-così autodefinitasi fin dall’incipit). Le citazioni sono prevalentemente frutto di buone e vaste letture, si va da Camilleri a D’Annunzio a Flaiano a Montanelli by passando per Bob Geldolf a Bob Marley all’Aida alla Mia Africa della Blixen. Insomma non uno Zibaldone leopardiano ma una Zibaldino in salsa africana , almeno quella masticata dalle nostre parti sulle culture del continente misterioso da cui ci divide soltanto il Mare nostrum. Acqua di colonia 2 - Frosini Timpano Da questo plot narrativo di fondo si sdipana un secondo livello ben congegnato consegnato al monologo centrale di Timpano in cui si entra nel cuore dello Zibaldino: il tema è quello del colonialismo ad opera del governo di Mussolini. Si parte dalla dichiarazione del 1938 del Manifesto a difesa della razza per passare alla narrazione dell’occupazione delle nazioni africane: Somalia, Etiopia, Libia, Eritrea. Elvira Frosini e Daniele Timpano provano a tirarci un bello schiaffo, seminando dubbi sulle nostre belle coscienze di italiani, ricordandoci, fatti alla mano, dati storici oggettivi, che l’Italia è stata un paese colonialista e che le conseguenze anche del nostrio intervento militare di occupazione di quelle nazioni è tuttora vivo nelle storie delle donne e degli uomini che hanno subito la sopraffazione dei nostri connazionali nelle loro terre privandoli della libertà, dei loro costumi, della loro dignità personale e antropologica. Ma poi tutto torna fosco nel monologo finale di Frosini: tutto è giallo in Africa, tutto è caldo, il sole ( il sole dell’avvenire-ma anche Faccetta nera). Daniele Timpano Elvira Frosini foto Lucia Baldini Daniele Timpano Elvira Frosini foto Lucia Baldini Tutto pare inevitabilmente sommerso nell’oblio rassicurante della memoria e della responsabilità storica, dell’Italia come delle potenze europee. Non possiamo che lavarcene le mani- ecco il senso di Acqua di colonia: il post colonialismo non esiste. Ma in scena cè una presenza muta a ricordarcelo, una donna nera seduta su una sedia. Una donna nera testimone senza voce ma consapevole e letteralmente sulla propria pelle di tragedie .Di questa donna, che ha un nome e un cognome, all’inizio dello spettacolo, con un biglietto veniamo informati che lei, dello spettacolo non sa niente. E così ci viene dato il benservito con cui tornare alle nostre case e riflettere sul tema così attuale della retorica degli Italiani brava gente. Renzia D’Inca’ Foto di Laura Toro Foto di Laura Toro “Italiani, brava gente”? Affermazione troppo spesso abusata che se applicata a determinati periodi storici del passato stride per la sua inadeguatezza. Lo storico Angelo Del Boca lo afferma nel suo saggio dal titolo omonimo dove ripercorre, tra le altre vicende, anche una pagina di Storia tra le più drammatiche quanto rimosse: l’occupazione colonialista in Etiopia con le deportazioni della popolazione durante il regime fascista di Mussolini. Una guerra in cui verranno usate anche armi chimiche. La rimozione di questi tragici eventi ha impedito per molto tempo di conoscere la verità e di alimentare la falsa credenza che gli italiani fossero “brava gente”, quando, invece, comportamenti di disprezzo e di superiorità siano alla base del razzismo alimentato dall’ignoranza. C’è anche questo nello “Zibaldino africano” portato in scena da Daniele Timpano ed Elvira Frosini, versione ancora in fase di studio che fa parte di “Acqua di Colonia”, il cui debutto nella sua versione definitiva è prevista a Romaeuropa nel prossimo autunno. Italia colonialista protagonista di crimini efferati rivisitata alla luce di quanto accade oggi nel suo rovesciamento delle parti. Ora ad essere “invasi” siamo noi italiani, con il flusso migratorio inarrestabile e tragico con i continui sbarchi e naufragi. In forma di dialogo tra i due (con una presenza in scena di una donna di colore che non proferisce parola), la narrazione diventa denuncia sociale, rievocazione di un passato e di un presente su cui vale la pena riflettere. Un collage in via di definizione dove la verità scomoda fa il paio con un presente poco edificante, costellato di citazioni che sembrano dette da militanti della Lega, e con evidente stupore, scopriamo provenire da filosofi ritenuti al di sopra di ogni sospetto.image “I Negri d’Africa non hanno ricevuto dalla natura nessun sentimento che si elevi al di sopra della stupidità”. A dirlo è Emmanuel Kant, o per restare a casa nostra il pensiero di Benedetto Croce:“Si ostinano a non entrare nella storia. Sono Uomini della natura, che zoologicamente e non storicamente sono uomini. Si cerca di addomesticarli e addestrarli, ci si sforza di svegliarli ad uomini, è ciò che si chiama l’incivilimento dei barbari e l’umanamento dei selvaggi.”, tratto Dai Quaderni de “La Critica” n.1 del 1945. Daniele Timpano ed Elvira Frosini giocano sul registro ironico facendo credere l’uno all’altro che tali aberrazioni mentali siano state dette da parenti o sentite al bar ma alla domanda “questa l’ha detta tua cugina?”, salta fuori invece il nome di Rousseau o Hegel che sostiene che “Ai negri non viene neppure in mente di aspettarsi per sé quel rispetto che noi possiamo esigere dal prossimo”. L’intenzione è quella di parificare il credo popolare e becero a quello di insospettabili intellettuali accomunati da un pregiudizio verso l’essere umano che ha un’unica colpa: quella di avere un colore della pelle diversa da noi. Non manca il ritmo a questo Zimbaldino che una volta strutturato potrà godere di una sua efficace messa in scena. Potere della parola che richiede allo spettatore di immaginare cosa è realmente accaduto ad un popolo vessato da un invasore senza pietà. Quello che accade oggi non necessità invece di nessun sforzo mentale. Basta non chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte. Roberto Rinaldi Zibaldino africano (Acqua di Colonia) Testo, regia, interpretazione Daniele Timpano e Elvira Frosini produzione Romaeuropa Festival, Teatro della Tosse, Accademia degli Artefatti Visto al Teatro dell’Ordigno di Vada Livorno il 3 luglio 2016

lunedì 11 luglio 2016


Dialoghi con gli dei by renzia.dinca Castiglioncello (LI) Continua l’indagine compiuta da svariati anni del gruppo pisano I Sacchi di Sabbia intorno al topos del comico in tutte le sue sfaccettature con esiti brillanti riconosciuti unanimamente da pubblico e critica che ha loro riconosciuto il Premio speciale UBU 2008, il Premio Nazionale della Critica nel 2011 e quest’anno Premio Lo Straniero 2016 ricevuto proprio dentro il Festival Inequilibrio giunto alla sua XIX edizione. Il nuovo lavoro I dialoghi degli dei di Luciano di Samosata non tradisce le attese pur ricalcando la tessitura letteraria dello scrittore satirico scelto in dialettica fra il gruppo ed il regista Massimiliano Civica non certo nuovo alla rivisitazione del mito che lo scorso anno ha creato un capolavoro come Alcesti nello spazio delle Murate. Il connubio Civica- Sacchi di Sabbia, per la prima volta diretti dal regista, ha mescolato competenze attoriali e percorsi anche distanti sul piano della rispettiva ricerca artistica per dar vita ad un lavoro tutto in levare dove leggerezza ed ironia si intrecciano a intarsio meta letterario ben riconoscibile nella cifra stilistica dei Sacchi che attinge dalla testualità pungente e sempre attuale di Luciano. In essa si innestano spunti di attualità come l’invenzione dell’interrogazione scolastica sulla cosmogonia ad intreccio materia portante dei Dialoghi da parte di una professoressa quantomeno antipatica per i due allievi il secchione e lo sfigato, la comparsa in classe di Zeus ed Era, i dialoghi fra i due in quanto coppia regale dell’Olimpo le libere associazioni sul metodo Stanislavskij l’inversione di ruoli fra le due coppie, quella degli attori che sono finti studenti di una improbabile quanto esilarante recita in compresenza che si svolge dentro un aula di ginnasio di liceo classico. Freschi di questa nuova avventura teatrale e della vittoria di un premio importante come Lo S traniero fondato da una personalità di gran spessore culturale come Goffredo Fofi con questa motivazione (…) un gruppo teatrale che ha saputo unire al minimalismo organizzativo quello di realizzazioni, semplici, ma di una irresistibile vitalità, spiritose e spesso esilaranti, prime fra tutte un Sandokan e un Don Giovanni (…) un teatro artigianale che sa costruire con il suo pubblico un legame immediatamente e cordialmente affettivo, li abbiamo intervistati per RUMORSCENA nella persona di Giovanni Guerrieri Rumorscena. Colpisce la collaborazione artistica che avete avuto con Massimiliano Civica. Che cosa vi ha portato a lavorare insieme? Guerrieri. Ci ha unito la cifra del minimalismo della messa in scena e l’interesse per la letteratura di genere. Da molto tempo volevamo lavorare insieme, consapevoli che il nostro modo di creare fosse compatibile. Poi è nata questa idea che ha portato alla collaborazione anche con Tiezzi e Lombardi per il progetto speciale qui al Festival di Castiglioncello ( dove siamo stati invitati più volte già fin dal 2001 con Orfeo). La proposta di messa in scena dei Dialoghi è entrata nella linea di studio sulla mitologia così importante anche per Civica. Sono molto contento della collaborazione : è stata un’ottima modalità di lavoro, le nostre cifre sono entrambe leggibili. Rumorscena Un nuovo importante riconoscimento per i Sacchi quello del Premio Lo Straniero ideato da quel guru di intellettuale che è Goffredo Fofi Guerrieri Sono molto emozionato per questo premio. Fofi ci ha seguito e sostenuto fin dai tempi della pubblicazione di Tragos nel 1999 ( Titivullus). Goffredo ci ha stimolati nelle letture più disparate,dal fumetto ai gruppi del teatro sociale. Consideriamo questo premio, dopo l’ UBU del 2009 in cui venne riconosciuta la nostra attività di 13 anni sulla scena, ancora un passo in avanti di conferma nella nostra attività di ricerca. Rumorscena. Dunque è stato un lungo viaggio quello dei Sacchi. Ma quali sono stati vostri percorsi individuali e in quali maestri e mentori vi riconoscete? Guerrieri.Siamo un piccolo gruppo che proviene da formazioni diverse, Giulia Solano da architettura,Enzo Illiano da studi scientifici, Gabriele Carli dal teatro dello spirito. Ci siamo ritrovati a Pisa nello spazio del Teatro di Sant’Andrea dove abbiamo capito che il nostro campo d’elezione era il comico. E qui ci ha indirizzati l'amico e collega Paolo Giommarelli . In quella fase ero io a scrivere dei canovacci, lavoravamo molto sull’improvvisazione. Nel frattempo mi sono laureato con una tesi su Totò, seguito da un vero maestro come Fernando Mastropasqua. Anche Concetta D’Angeli dell’Università di Pisa ci ha incoraggiati e consigliati. Abbiamo trovato un genere con Sandokan nel 2007 ma non ci siamo mai voluti chiudere in esperienze di ripetizioni di schemi per non essere ingabbiati: per esempio con Civica non ci siamo preoccupati di essere identificati come gruppo. Con lo spettacolo I moschettieri abbiamo ripreso la parodia. Un critico e studioso che ci ha sostenuti proprio sull’affrontare il genere della radio è stato Rodolfo Sacchettini. I Sacchi di Sabbia con Massimiliano Civica Progetto speciale per i vent’anni di Armunia Con Gabriele Carli,Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Illiano e Giulia Solano Produzione Compagnia Lombardi/Tiezzi Prima nazionale Visto a Castiglioncello-Festival Inequilibrio al Castello Pasquini, 1 luglio 2016