sabato 21 dicembre 2019

ANTIGONE

renzia.dinca

Prato

Massimiliano Civica si confronta con un testo della classicità greca Antigone di Sofocle, così lontano e paradossalmente così vicino alla narrazione possibile su temi costanti della contemporaneità. Ne fa una lettura originale anche discutibile, come deve essere, vista la distanza di epoche e pensiero politico-sociale e culturale che distanzia il testo scritto nel V secolo A.C. dalla complessità  tumultuosa dell'attuale pensiero unico in epoca di post globalizzazione.  Ma è proprio questa la forza del mito e dei classici, come ci hanno insegnato i Maestri nella critica letteraria  e nella Storia dell'arte più in generale.  Civica infatti, si mette in gioco come regista e intellettuale della scena (sua è anche la traduzione e l'adattamento del testo, concentrato in meno di un'ora di spettacolo) con un arduo ulteriore step di sfide: quelle con le messinscene di Antigone firmate da mostri sacri del parterre internazionale che di e da Antigone hanno creato opere memorabili entrate nei manuali della Storia del teatro novecentesco da Brecht a Pasolini (un Creonte per il cinema: Carmelo Bene), dal Living in versione Judith Malina fino ai piu recenti  Motus, datati primi decenni del Duemila, con una straordinaria  Antigone Silvia Calderoli in versione  proto/neo femminista.  La sua personale lettura del classico sofocleo si avvale ancora una volta (dopo la recente rilettura di Alcesti presentata alle Murate a Firenze) investendo di nuovo a pieno regime nelle  eccellenze attoriali femminili  di Monica Demuru-Ismene e Monica Piseddu -Antigone, affiancate ad altre eccellenze quali Oscar De Summa-Creonte, Marcello Sambati-Corifeo e Francesco Rotelli-Emone. Ecco che allora l'operazione che Massimiliano Civica ha individuato come novità assoluta nel cartellone 2019/20 del Teatro Fabbricone di Prato  e da sua scrittura drammaturgica del copione di Antigone  di e da Sofocle (sostenuto anche da Note di regia molto circostanziate sul corto-circuito possibile interpretativo fra trapassato remoto e attualità con un nutrito esauriente  Programma di Sala),  si appresta a diventare materia ghiotta per un pubblico un po' sofisticato e per una critica  che prova a cimentarsi con una materia di attenzione allertata. Quali frasi estratte dall'originale diventano focus della tragedia e dei suoi personaggi secondo Civica. Quali dimensionamenti, sempre di trama e personaggi, secondo Civica. Quali riqualificazioni etiche ed estetiche il regista ha apportato rispetto alla tradizione  delle messinscene piu recenti.  Insomma quale operazione complessiva fra  regia, traduzione re-interpretazione  ideazione e messinscena alla luce della lettura politicizzata recente, ha provocato ed evocato Civica sulla figura centrale di Antigone?
L'Antigone secondo Civica, è una figura femminile rovesciata rispetto alla lettura femminista che vuole al centro la Principessa-Antigone opposta al Padre-Re: qui seppellisce il fratello Polinice (con la sorella Ismene che la precede in modo quasi simbolico senza però diventare capro espiatorio, anzi rifuggendone). Antigone  seppellisce il fratello traditore che in scena è un fantoccio mangiato dagli animali selvatici in divisa nazista, perchè vuole conservare i propri privilegi di aristocratica. Quei privilegi di casta a cui lei appartiene  quelli dell'Ancien regime di cui lei è protagonista in quanto erede. Qui non si tratta più di opposizione femminile che opta alla trasgressione contro le Leggi della Polis in funzione della Legge  morale che obbedisce alla seppellitura dei morti tout court, ma di una Figlia futura regina che decide di andare contro il Padre che, investito di un ruolo di comando assoluto fra lotte fratricide e trappole di potere (siamo dentro la dinastia malefica delle Figlie di Edipo) è bloccato dal suo ruolo di Gerarca?Monarca?-Creonte veste con tuta  militare e fazzoletto rosso da partigiano- con relative e successive  responsabilità sul Popolo. Dal buio di sipario aperto, il lavoro si apre con un a parte di Creonte (Oscar De Summa): un eco da bestia e si chiude col sipario su di lui – un non parlato un inarticolato.  La scena di Antigone è completamente vuota. Il fantoccio di Polinice è  deposto alla sinistra del palco  e lì  rimarrà fino alla fine. E' lui il  corpo-feticcio su cui ruotano le impalcature dei nuovi equilibri interni (la Famiglia Reale), rispetto alla Polis. Siamo all'istantanea di un hic et nunc senza ritorno. Dentro una redde rationem. Fra aristocratici (forse in declino)  e comunque dentro una lotta di Potere  fra famigliari che in mano hanno ancora  le casse dello Stato.  Basta avvedersi dei costumi di scena delle due belle figlie  Ismene e Antigone per avere un quadro di sontuosa rapacità familistica. E poi anche degli ingressi da avanspettacolo in romanesco della plebe al servizio di polizia che strappano una risata (Francesco Rotelli) o il Coro tutto affidato in estrema sintesi  come sotto dettatura altra, di Marcello Sambati. Siamo dentro un prima e un dopo dove in scena si recita con toni quasi sottovoce eppure urlati nel simbolico, lo sdegno il dolore  la carneficina ma soprattutto il desolante confronto con un passato definitivamente morto o in stand by che si affaccia su un presente bifronte o quantomeno desertificato di senso. Nei dialoghi fra Antigone  e Creonte, fra Ismene e Creonte-le figlie Regine, si instaura  una sorta di psicodramma.  In avanscena si scontrano si confrontano. Ma tutto è sussurrato, sotto soglia. O meglio in ibernazione. Come se il dramma vissuto dai protagonisti e dai corpi fosse congelato nei gesti nelle posture sempre regali  delle due donne, mai scomposte fra dialoghi  e  monologhi con Creonte e i coprotagonisti.  Una panchina sul fondale farà da pausa- sospensione del climax, rispetto dove entrano e siedono i personaggi tragici protagonisti o comprimari- che si appalesano  sempre da destra per chi è pubblico, per poi uscire da sinistra. Entrano ed escono di scena come fantasmi su modello shakesperiano. Una concertazione spazio-simbolica di nettezza assoluta. geometrica. Come ci aveva abituato Civica nella sua ideazione di  Alcesti alle  Murate. Molto brave le attrici Piseddu-Antigone di eleganza  in un ruolo  data la mission quasi impossibile. Come Demuru-Ismene,  che assume le sembianze ma  solo vocali, anche di  Tiresia. Una  Ismene che per il regista, recupera una funzione centrale nella dinamica di strutturazione scenica e drammaturgica per voce e corporeità perfettamente  dentro la narrazione simbolica originale drammaturgica della riscrittura di Civica  rispetto le figure di  Antigone e Creonte.

Una prova di regia e di pensiero  questa di Civica, che coraggiosamente  si confronta a partire dal piu recente Belve (firmato da  Armando Pirozzi come  Quaderno per l'inverno ), sperimentando generi  e attrazioni fatali coi classici, per un possibile confronto ancora umano sulla contemporaneità. Quella di un possibile futuro che si re-interroga sul proprio esserci nel Mondo


                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

Antigone uno spettacolo di Massimiliano Civica

Traduzione, adattamento  e regia Massimiliano Civica

con Oscar De Summa, Monica Demuru, Monica Piseddu, Francesco Rotelli, Marcello Sambati

costumi Daniela Salernitano

luci Gianni Staropoli

Produzione Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione con Manifatture Digitali Cinema Prato-Fondazione Sistema

sabato 14 dicembre 2019

Gattopardo
Nel castello delle stanze
Oniriche visioni
Gioielli ritrovati


Tu tanto alto da
Dovermi alzare
In punta di piedi

Come bambina
Col padre
Come ballerina

La vita darà ragione
A chi dei due ha lasciato
Arreso ha capitolato

Che il tuo nuovo anno
Sia sereno
Oh, mio Oggetto buono

Mio cucciolo beato
Lanoso curioso
Mio sempre ritrovato



venerdì 15 novembre 2019




La mamma sta tornando povero orfanello

Buti (Pisa)

In un gioco di rimandi fra vivi e morti, in un dialogo di ora e allora e fra fantasmi, non solo hic et nunc, si  trasfigura in una scrittura scenica e attoriale asciutta quasi allegra (si fa per dire), il nuovo lavoro del Teatro di Buti: La mamma sta tornando povero orfanello a firma registica di Dario Marconcini in collaborazione con  Stefano Geraci. Perchè poi torna La mamma, o meglio ri- torna dal Povero orfanello

Mentre a Buti in Prima nazionale e poi a Roma (dove lo spettacolo sarà rappresentato nella Giornata della Memoria il 27 Gennaio al Teatro Vascello), in questi giorni Liliana Segre, milanese-allora bambina 14enne (stessa età di Anne Frank), sopravvissuta a Olocausto e oggi novantenne, è da qualche giorno protetta da due carabinieri italiani in scorta. Quantomai oggi è ancora necessario testimoniare e raccontare per rendere giustizia a chi ancora deve lottare contro razzismo e antisemitismo così dilaganti nel nostro Paese e in Europa dove la memoria è corta e gli strumenti di diffusione del mainstream passano da canali non controllati da chi ne dovrebbe avere facoltà e soprattutto dovere deontologico

Il testo da cui è tratto il lavoro è dello scrittore e drammaturgo  Jean-Claude Grumberg, francese ottantenne, rappresentato in tutto il mondo nonché sceneggiatore (fra gli altri di Truffaut e Costa  Gavras).

Un testo onirico, minimalista. Una scrittura quasi giocosa ma di memorie forti, ingannevoli, registrata a più livelli semantici e spazio-temporali da  flusso di coscienza dove passato e presente si intrecciano come accade nel guazzabuglio che è il funzionamento della nostra Mente che nessuna mindfulness può governare. E' come scritto e pensato fra veglia e sonno. Un po' fra  Borges e Antonio Tabucchi di Requiem alla ricerca di Padri scomparsi o solo ricompresi dentro le memorie anche letterarie. O come in Antonio Moresco col suo doppio de La Lucina. E anche un pò Divorzio tardivo di Yehoshua coi suoi personaggi virati al femminile di memorie tenere dell’infanzia ma insieme aspre e dure. La traduzione del testo di Grumberg è di Giacoma Limetani, romana, traduttrice narratrice saggista e studiosa delle tradizioni e del pensiero ebraico recentemente scomparsa, che aveva affidato tre anni or sono a Stefano Geraci questo testo da lei tradotto


La  messa in scena, affatto semplice da trattare, è di una testualità stratificata, multicodice, secondo uno stile molto dichiarato e  rappresentato dalla coppia Daddi/Marconcini che in cinquant’anni di carriera  (come si evince dal recente  Quasi una vita, scritto per loro da Stefano Geraci),  sempre ha cercato idee da mettere in scena fra testi non inflazionati. Sul palco tre Attori: Giovanna Daddi: la Madre che compare su sedia a dondolo come in flashback a dialogare-monologare sulla narrazione del Figlio-Dario Marconcini, a sua volta in relazione con tre personaggi-fantasmi maschili.  Tre figure autoritarie (per Emanuele Carucci Viterbi)  ripetizioni del doppio,  nel triplice ruolo di: Anestesista (il Bambino ha avuto una operazione legata-negata, alla sua crescita), il Direttore della casa di riposo, quella della Madre (dove è ricoverata e poi morta) e quello del  Padre, di cui ricorda poco, come figura evanescente dapprima solo scomparso (epurazione leggi razziali 1938 siglate a Pisa San Rossore) e poi morto in campo di sterminio quando il bambino era ancora piccolo (forse anche con cambi di abito nelle tre performance identitarie multiple dove  nel finale è a torso nudo su cappotto nazi). Non c'è azione. Solo parola. Il Bambino-Dario siede su una panchina sul palco completamente spoglio. Forse la panchina del parco giochi di quando era piccolo e invocava la madre. O forse quella del Bambino-Vecchio in ospizio. Nel dialogo coi fantasmi maschili e della Madre usa un linguaggio e si atteggia proprio come un piccolo verso la Mamma e il Padre. Ricorda rievoca spera che torni la festa, la domenica dell’infanzia. Un pò Domenica del villaggio di leopardiana malinconico-giocosa matrice. O forse aspira chissà al ritorno  dentro il grembo originario. Che è la Madre ma potrebbe anche essere l’ala severa della Morte.  E' vestito in pigiama come un bambino prima di andare a dormire. Ma quel pigiamino ricorda  un pigiama da campo di sterminio (ha in testa la kippah). O forse è pigiama di hospice. L'affabulazione si nutre di ricordi, fantasie legate al clima dell’infanzia. Con al centro le figure della Madre e del Padre. Lui l’attuale bambino di 62 anni. L'Altro il Padre il suo doppio di 42. Ma qui psicoanalisi non c’entra . Perchè la differenza è che questo non è un Vecchio/Bambino in delirio o in fase sonno-veglia. Perché a quel Bambino è successo. Davvero. Il padre di Grumberg è di fatto stato catturato e portato in campo di concentramento dove è morto. Nel testo e suo trattamento in scena non è chiaro. Ambiguità assoluta.  Suo padre è scomparso improvvisamente  ai famigliari e poi morto in campo sterminio. Sua madre no. Poi lei muore da anziana in ospizio. Ora l’io narrante- 62 anni nel testo mentre l’Autore è oggi 82 enne,  rivive quasi flashback la sua storia familiare.  La straordinaria capacità di Dario di immedesimazione – lui Anziano che si fa Bimbo in relazione con Mamma (Giovanna Daddi) e con la complice attorialità versatile di Carucci Viterbi (stolida espressione del Potere nelle diverse età della vita, tutte virate al maschile) è delicata e insieme prepotente. Mentre una deliziosa ragazza Viviana Marino, canta canzoni in francese  evocative e jiddish e con chitarra

La mamma sta tornando povero orfanello

regia Dario Marconcini collaborazione Stefano Geraci

sabato 2 novembre 2019

Non scrivo non posto
se non al compleanno e ieri
la foto rinnovata

Occhi negli occhi
stanotte ricomparse
d' angeli e il daimon

Frecce di schegge
quel sesso per non morire
quei volti scolpiti

dentro fiori di memoria
promesse di futuro
per non morire

ogni giorno un po
Perdo di voi il sembiante
e te che aspettavo sei qui

Mi ascolti mi coccoli
mi prometti speranze
Fiori senza fumo negli occhi



martedì 15 ottobre 2019


FESTIVAL CONTEMPORANEA PRATO

Bacchae- prelude to a purge di e con Marlene Monteiro Freitas

renzia.dinca

    PRATO

    Spiazzante ma niente affatto deludente anzi proprio per questo entusiasmante, questo Bacchae, lavoro in ensemble che ha vinto il Leone d'argento alla Biennale di Venezia lo scorso anno. Fra le tante-troppe forse, performance del corpo e col corpo, in un frastuono di miscellanee performative specie dentro festival e/o contenitori pubblici (e privati), dove la contaminazione video-voce-corpo e chi più ne ha piu ne metta, è a volte aria fritta e spesso frutto di improvvisazione etero guidata, ecco che il lavoro della capoverdiana Marlene Monteiro Freitas si presta ad una sana e inventiva aria di freschezza scientifica, come quando si apre una finestra di casa dopo un periodo di quarantena. Lo spettacolo era dentro l'ultima proposta di Contemporanea, l'arte in mezzo ai crolli, diretta da Edoardo Donatini in una edizione intitolata Vivere il tempo del crollo. Freschezza per l'originalità del plot e scientificità per l'esattezza nel senso di Italo Calvino delle partiture dei soggetti in scena e nella loro relazionalità complessa. Una sorta di lucida follia dove ogni gesto suono costruzione coreografica sul palco e fuori fra gli spettatori in poltroncina di Teatro Metastasio, per ben due ore e piu, mai cessa di stupire. Cinque trombettieri piu sette danzatori, quattro uomini e tre donne imbastiscono una partitura musicale performatica per quadri dove ogni singolo brano sonoro registrato (pezzi da repertorio dal samba a musica classica) e commentato dal vivo dai fiati e di rumoristi, fa da sottofondo ad azioni sceniche dove gli indiavolati satiri e le menadi (il lavoro prende spunto da Euripide de Le Baccanti), si cimentano in prestazioni fra il ginnico ed il mimo. Davvero insolito l'uso funzionale degli oggetti: leggii e aste di microfoni sparsi sulla scena diventano strumenti per creare immaginari di vite comuni: da scudi a spade a ombrelli, da fucili a macchine da scrivere in un crescendo di mirabolanti azioni perfettamente integrate e pensate al millimetro degli spazi a disposizione. I diversi quadri sembrano rimandare a scene delle vite di ognuno di noi nel nostro mondo occidentale. Si va dal carnevale (forse carioca-simil o Viareggio-Venezia o disco dance da Thanks god its Friday), alla vita dell'ufficio, alla guerra nelle prime tre scene. e poi arriva suono di sirena sarà ambulanza o fine turno in fabbrica, magari quella informatica-una nuova selvaggia e mondiale servitu. E guarda caso un quadro è procreazione di cinesi o cineserie (proiettata in realismo in bianco e nero sullo sfondo), come passaggi naturali delle nostre esistenze nelle diverse età della vita. Ma di chi? di quali etnie?il tutto condito con una energia non da vecchio continente che poco ha di occidentale, ora, e di tragico malgrado lo spunto euripideo. Il tutto è energia dionisiaca allo stato puro come (forse), da interpretazione del nostro Autore mediterraneo, lui Euripide, caso letterario teatrale di ispirazione della capoverdiana Monteiro. Insomma: la fiesta continua.nella zona dove il grottesco si mescola alla vita



con Andreas Merk, Betty Tchomanga, Cookie, Claudio Silva, Flora Detraz, Goncalo Marques, Guillaume Gardey de Soos, Johannes Krieger, Lander Patrick, Marlene Monteiro Freitas, Miguel Filipe, Tomas Moital e Yaw Tembe

luci e spazio Yannick Fouassier

suono Tiago Cerqueira

attrezzeria Joao Francisco Figueira e Luis Miguel Figueira

Produzione P.OR.K Lisbona

Premio Leone d'Argento alla Biennale Danza 2018 a Marlene Monteiro Freitas

Visto a Prato- Teatro Metastasio a Contemporanea Festival, il 29 settembre 2019

venerdì 11 ottobre 2019







ARTICOLO 21 ROBERTO RINALDI e RENZIA D'INCA

Premio Nobel a Peter Handke

COMMENTI FRA CRITICI per uno straordinario scrittore e drammaturgo

mercoledì 18 settembre 2019

Grazia Taliani è un'artista  che possiede il dono della leggerezza, quella descritta da Calvino nelle sue "Lezioni americane". Grazia sa re-inventarsi giorno dopo giorno la vita nella sua dimensione archetipica, mettendo al centro della sua poetica lo spazio fantastico della consecutio-temporum degli eventi. Ogni minimo segnale della natura e delle sue creature ( siano reperti fossili, vegetali e animali, repertori di artigianato folk e di collezionismo cosiddetto minore, oggetti animati ed inanimati, patrimonio della nostra microstoria comune familiare e collettiva, patrimonio spazio-fisico e della spiritualità condiviso presso la dimora di famiglia in Valdicava in provincia di Pisa), riscuotono in lei un palpito esistenziale che entra in circolo con la sua vita e quella delle vite che orbitano intorno alla sua sfera di influenza. Grazia ingloba lo spazio tempo, germogliandolo e fertilizzandolo, con la sua fantasia affascinatrice e sbocciante. Le sue tele, olii in prevalenza, ma anche il segno inciso da una mano levigata, che lavora in sottrazione, restituiscono nei diversi passaggi della sua produzione artistica, un universo  che spazia dalla domesticità naive ( il gatto, i cagnetti, le oche, gli spazi della casa-vita orlati della bellezza, rasserenanti spazi della rinascita e della quintessenza naturalistica), fino al risultato piu recente della sua produzione  che la vede protagonista  dentro lo spazio della sua stanza-mondo a rispecchiare la condizione  del femminile allargato, alla stanza vita delle donne del Terzo e Quarto mondo, angeli ormai consueti, abitanti delle nostre strade e realtà domestiche quotidiane occidentali.

 Frutto di viaggi e meticciati, i lavori piu recenti di Grazia, risentono del clima multi-etnico delle sue esperienze  di nomade in terre di Medio ed estremo Oriente con lo sguardo diretto alla condizione femminile in quei luoghi: dominio di sabbie  dei deserti, di cammelli, delle bellissime città di case torri dello Yemen, dei pepli-mantelli femminili dai colori sgargianti che coprono-scoprono il mistero della bellezza enigmatica che non svela e che sembrano, per vivezza cromatica dei colori ad olio sui toni rosso-viola, ricordare certe mappe di città medievali toscane redatte dal Rosso di San Secondo e  Beato Angelico, dentro cui le masse plastiche  si nascondono alla vita mimetizzandosi coi colori del deserto.

Renzia D'Incà 1995 Pontedera

 Madre- Uccello. Insegnante. Pittrice Viaggiatrice Contadina
in foto Ciccio

Ho avuto l'onore di presentare Grazia Taliani a Pontedera alcuni anni fa all' interno dei festeggiamenti per l'8 Marzo organizzata dal Comune
Grazia la abbiamo incontrata a Vulcano e io e mio marito lo scorso anno 2018 in una delle piu belle vacanze della nostra vita

Grazia vive in un posto straordinario e gliene siamo grati della splendida ospitalità
 Grazia ha molti figli. alcuni di lei e del marito Argelli chirurgo a Pontedera. alcuni adottati

Grazia è una donna straordinaria che sa dell'accoglienza e del convivere

Civile e coraggioso. come solo donne autentiche  sanno

segue aggiornamento

martedì 17 settembre 2019

lettera rubata alle tue lunghe leve
ero sotto il tuo sguardo fiero severo
mi ammiravi e mi odiavi

mentre  annaspavo sul divano
soffocata dai miei umori
dai tuoi strali confidenziali

lettera rubata mi cercavi
lontano vicino invano
non capivi  ma trasalivi

se ti toccavo dentro nel centro
tossivi sospiravi implodevi
e poi, da solo mi maledivi

lettera rubata eri e maledetta
sia la volta che  t'ho incontrata
l'incrocio la messa in croce

e adesso torna quell'eco
a gran voce ci reclama
e sia la stagione e cosi sia amen

lettera rubata ero e sono
le spoglie di antica usanza
tu ed io dentro la stessa stanza

a MB

lunedì 16 settembre 2019


Serata su  ULISSE  Odissea- Circolo Makedonia, Via San Martino 39 Pisa- Domenica 19 Maggio 2019

ideazione Gioia Maestro

argomento: Le Donne di Ulisse

Con Marco Signori (Scuola Normale), Franco Donatini(scrittore), Rossella Bianucci, Francesco Morosi( Scuola Normale). Letture  a cura di Angelo Tonelli(grecista, traduttore per Einaudi, Mondadori)

Lettura Angelo Tonelli di mia poesia su Penelope (Camera ottica, Baroni 2001, collana di Dino Carlesi, prefazione Mariella Bettarini)-- fu donata per l' 8Marzo a tutte le dipendenti del Comune di Cascina in una cerimonia alla presenza di Sindaco e assessore alla Cultura (con un acquerello di Paolo Lapi)

MOTIVAZIONI DELLA SCELTA Tante sono le donne di Ulisse: Penelope, Circe, Calipso, Nausicaa, Ermione (figlia di Menelao e Elena- D'Annunzio Pioggia nel pineto), cit. alcuni versi presi da  Giacomo Leopardi per A Silvia  dall'Odissea.

LE DONNE DI ULISSE: chi è Ulisse? ULISSE oggi una sorta di Maschio ALFA, capobranco, guida gli altri, seduttore e sedotto.  Molto maschio bianco americano WASP

ARCHETIPI DEL FEMMINILE: PENELOPE E LE SIRENE (che in realtà sono per metà  donne e per metà uccelli-pesci)

PENELOPE/SIRENA: sono oggi figure antinomiche?domanda aperta

Penelope la SPOSA, la Madre, la principessa fedele al marito e alla casa (reggia), al patrimonio (eredità e dote). Se a Telemaco la Madre si risposa succede che perde Regno ed eredità

dall'altro la SIRENA, la seduttrice, la donna vampiro che trascina gli uomini dentro la passione carnale, li fa allontanare dalla legittima sposa, dai figli, dalla dimora. Per poi ucciderli




ULISSE E LE SIRENE  ODISSEA CANTO XII


cit da LE DEE DENTRO LA DONNA DI JEAN SHIMODA BOLEN

PSICHIATRA E ANALISTA JUNGHIANA USA

LE VERGINI :ARTEMIDE ATENA ESTIA
LA CACCIA:  ARTEMIDE
LA FIGLIA DEL PADRE: MINERVA
DEA DEL FOCOLARE:  ESTIA
DEA DEL MATRIMONIO :ERA
PERSEFONE: BAMBINA DELLA MADRE
AMANTE: Afrodite


Condominio nelle donne  attuali, di questi archetipi

 PROTOTIPO 1

PENELOPE


Margaret Atwood: Il canto di Penelope. Un romanzo insieme delicato e divertente.
Una autonarrazione dal punto di vista di Penelope della propria vita dall'orizzonte distaccato del dopo morte, dove incontra le anime (senza corpo) fra campi di asfodeli. Ne esce una figura femminile inquieta e pensosa. L'autrice ci restituisce con profondità di scrittura una Penelope forte e generosa, ma in preda a dubbi di ogni genere: al suo amore inestinguibile non rinuncerà mai: Ulisse è il suo sposo di cui è veramente innamorata e lo è per tutti i vent'anni che rimane ad Itaca ad attenderlo. Ma è anche una madre preoccupata per il figlio Telemaco, adolescente. Preoccupata per il rischio di perdere i propri beni materiali una volta avesse accettato di andare in sposa ad uno dei Proci (che dichiara, non sono interessati a lei ma al suo patrimonio, patrimonio a cui è attaccato anche il giovane Telemaco). A fianco di questa donna saggia molto intelligente (e non bella, figura speculare opposta a quella della cugina Elena che è la causa della guerra di Troia ( forse) che le ha portato Ulisse ad andar per guerra e poi sperso nei mari, forse morto); nel romanzo di Atwood, si alternano i cori ( proprio come nelle tragedie greche) delle dodici ancelle uccise  da Ulisse al suo rientro. Penelope è sconvolta da queste morti di giovani perchè sa che non hanno tradito ma hanno collaborato alla sua causa di donna in ostaggio  ai Proci.  Sono giovani nate da povere famiglie, andate schiave ( anche sessuali). Mentre lei nasce regina per andare in sposa (matrimonio combinato). Sa che su di lei ci sono maldicenze sulla sua non comprovata castità. E ne soffre. Il suo è un canto  triste, pacato, di vittima-regina in balia delle circostanze ma consapevole di aver resistito con la complicità materna della vecchia nutrice  di Odisseo, Euriclea, altra figura femminile tratteggiata con ironia affettuosa. Lei riconoscerà Ulisse per via della cicatrice quando torna nelle vesti di mendicante.
Questa versione moderna dell'ARCHETIPO di Penelope sposa fedele, madre protettiva, ci restituisce uno spessore accettabile anche per noi donne occidentali odierne,  dalle suffraggette  ( modello Mary Poppins) alla Penelope alla guerra di Oriana Fallaci di un mito femminile, che sfugge ad una proiezione-identificazione del ruolo e del vissuto delle donne contemporanee. Un Mito, quello di Penelope, sicuramente non sbiadito ma sottoposto all'usura dei secoli. Ancora topos letterario?

ATTUALITA DEL MITO greco e latino rispetto la contemporaneità: quali le categorie di riferimento?   Cit. Maurizio Bettini, filologo, latinista e antropologo ha fondato all'Università di Siena il Centro Antropologia e Mondo antico





 SIRENE

ARCHETIPO 2

lettura Angelo Tonelli

Canto XII

è Circe, la Maga- Strega (altra rappresentazione del femminile ancora molto in auge oggi, è Dea quindi immortale con capacità magiche di pharmaka dunque STREGA), a raccomandare a Ulisse come difendersi dal canto delle sirene

Riflessioni letterarie:

In Andrea CAMILLERI Le sirene non sono pesci col rossetto: Maruzza Musumeci (Sellerio) Camilleri scrive in forma di cunto cioè derivato dalla tradizione orale siciliana nata nell'Ottocento (e qui voglio ricordare Mimmo Cuticchio, erede straordinario della tradizione dei pupi). Il racconto del nostro scrittore nazionale è ambientato a Vigata (vedi saga di  Montalbano), fra Otto e Novecento. Viene rovesciato il mito delle Sirene distruttrici. Qui le Sirene  sono bisnonna e nipote parlano in greco  e  sono  Vestali  protettrici , benefiche verso il sesso maschile. Sono donne feconde (le Sirene non lo erano), molto seducenti, vivono tra gli uomini abitano gli stessi luoghi ma non lo stesso tempo. Maruzza e la bisnonna si disfanno dell'animalità selvaggia. Sono portatrici di segreti millenari. Ricordano anch'esse miti e leggende: quelle della fase delle Grandi Madri.

Ma il mito delle Sirene è topos letterario: ha ispirato molta letteratura recente, oltre all'iconografia (vasellame di e da  tutto il Mediterraneo, bassorilievi, sculture, influenze molto importanti nella tradizione folclorica).

( cit. da Lorenzo Greco)
Le sirene sono giunte a noi come entità femminili del mare, seducevano il navigante col canto e lo distoglievano dalla giusta rotta (nel caso di Ulisse: Itaca). Nella tradizione marinaresca sono ibridi, forse veri animali marini ormai scomparsi (la foca monaca). Stefano D'Arrigo ne scrive in Horcynus Orca. Affascinanti ibridi, erano raffigurate metà donne metà uccelli.  Solo in età tarda saranno per metà pesci. In Virgilio nell'Eneide, ne evitava la rappresentazione lasciandoci solo intravedere i loro scogli disseminati di resti umani. A Enea fu risparmiato il confronto immondo con questi mostri. Del resto anche la sfinge ha caratteristiche ibride.

LA BONACCIA: le sirene compaiono per i Marinai con la bonaccia. Non c'è vento e sempre d'estate con la canicola. Si poteva solo remare. Una bonaccia paralizzante (Cit. Ballata del vecchio Marinaio di Coldridge- Sirene variante dei “demoni meridiani”, Mario Tobino L'angelo del Liponard, Tomasi di Lampedusa LIGHEA. Sirene dunque come rappresentazione di MORTE, la perdizione, lo smarrirsi. Michele Mari La stiva e l'abisso. Bonaccia in greco: galene, mare calmo ma si dice anche malakia: mollezza effeminatezza, ignavia. La parola Sirene etimologicamente: incerta. Sirena da seiros, ardente bruciante. In sanscrito surya, sole o siccità, ma anche stella SIRIO, costellazione della canicola. Rende le donne lascive gli uomini spossati. Effetto ipnotico e fatale del canto delle sirene come avviene nello smarrimento fra i ghiacci: stessi effetti sul corpo-psiche. ( assideramento- confusione mentale da insolazione ?) E' noto l'effetto ipnotico dei canti e dei ritmi specie delle percussioni che accompagnavano i riti orgiastici. Le Menadi. I Satiri. I riti   pregreci alla Dea Cibele. Vampirismo: attrazione sessuale

(cit. Lorenzo Greco). La solitudine del comandante: come la Sfinge, anche la Sirena donna uccello, mette in crisi il Sapere: e qui da Omero il canto è associato alla musica. Solo un uomo intelligente come Ulisse, l'astuto, si salva (l'enigma delle dotte Sirene, così le chiama Ovidio). L'enigma della Sfinge degli Indovinelli

Non sappiamo chi siano (e forse chi sono) queste creature misteriose. Non possiamo accendere un microfono e  intervistarle. Eppure sono creature di fascino da topos letterario ancor oggi. Saranno una reminescenza delle Grandi Madri insite in una Memoria collettiva  che forse le neuroscienze potranno indagare? Anche col  loro Canto e di Poesia? o forse è meglio che questo mistero permanga a suscitare pensiero creativo di ispirazione sempiterna? un eterno femminino?

La domanda è aperta. A ciascuno, qui presente, la sua proiezione-identificazione







venerdì 13 settembre 2019


Le sirene.
            Forse più dei leoni e delle aquile, più degli elefanti e dei serpenti, tutti animali che popolano la nostra cultura con l’inesauribile ricchezza della loro trasfigurata simbologia; più delle balene, che navigano misteriose fra le pagine di libri splendidi come Moby Dick di Mellville; forse più di ogni altro animale reale, sono le fantastiche sirene che più profondamente hanno affascinato nei millenni la mente umana.
Le sirene sono giunte a noi come entità femminili del mare, che seducevano  il navigante col canto e lo  distoglievano  dalla giusta rotta. Fra tutte le raffigurazioni che la nostra immaginazione ha potuto concepire dell’ambiente naturale più vasto e inquietante che ci circonda, questa è certo una delle più potenti e diffuse. Ne è popolato il vasellame di tutto il Mediterraneo, le loro forme appaiono dovunque nei bassorilievi, nelle sculture… Basti pensare che nell’Odissea Omero ne ha lasciato una raffigurazione essenziale  in appena pochi versi, ma che sono rimasti incisi per sempre e  in modo indelebile nella tradizione folclorica, letteraria, artistica. E’ vero che la stessa fortuna non hanno avuto testi letterari in cui le misteriose e terribili figure – magari diversamente  rappresentate - pure compaiono, come le Argonautiche di Apollonio, uno dei più antichi di argomento marino. Ma questo non vuol dire che nell'insieme,  la tradizione non appaia complessa e vasta.[1]  E che  si tratti di un mito dal nucleo inossidabile, in grado di esercitare ancora oggi tutto il suo fascino lo prova perfino  uno dei più fortunati film della produzione Walt Disney, La sirenetta.

 Ibridi.
            Spesso – nella tradizione marinaresca - ci si imbatte nella fiducia che un mito così diffuso debba necessariamente discendere da esperienze vissute, condivise, in certo confermate dall’esperienza concreta… E così non senza compiacimento  si ipotizza che all’origine di questo racconto vi sia stato un vero animale marino, un mammifero ormai scomparso, o quasi, nel Mediterraneo: la foca monaca. I pescatori e i marinai per millenni avrebbero fantasticato sulla presenza di simili miti creature (le cui femmine sono dotate di mammelle) su scogli sperduti nel mare o anche lungo le coste inaccessibili. La loro apparizione non era infatti infrequente prima che i traffici marittimi e gli inquinamenti ne riducessero la popolazione complessiva forse a poche unità. Stefano D’Arrigo in Horcynus Orca (un poderoso romanzo di argomento   marino di qualche lustro fa) vi alludeva direttamente: “ ma ve la figurate a sirena sta iattamammona? Ve la figurate che fa impazzire gli uomini con le sue beltà? E dove le ha ste beltà? Dove se le tiene nascoste? E i galleggianti dove li ha? Dov’è minnuta?  E la capigliatura lunga, riccia e bruna? E il biancore di pelle come di latte eh?.. “
E analogamente all’origine delle stesse credenze in altri mari saranno stati altri mammiferi come i dugonghidi – diffusi un tempo nell’oceano indiano, in Australia, nel golfo Persico, nel mar Rosso… O i lamantini, presenti dalle coste d’Africa all’Amazzonia, dalla Florida ai Carabi. C’è stato nei secoli passati un gran fiorire di studi e osservazioni su questi animali, un ripensare estenuante a certe loro affinità con gli esseri umani, fonte di ogni fantasia e supposizione. Lo stesso Jules Michelet, nel suo libro del 1861 sul mare, con mente razionale ma con gli strumenti scientifici limitati del tempo, aveva cercato di indagare le ragioni evoluzionistiche di tali animali, da sempre oggetto di attenzione da parte dell’uomo, ma soprattutto di crudeltà tali da arrivare di fatto al loro sterminio.
Da tutto questo retroterra culturale, sono scaturite le sirene. Archetipi affascinanti e inquietanti di ibrido, le  sirene sono state a lungo raffigurate per metà donne e  per metà uccelli. Solo in  età tarda saranno per metà pesci. Ma la fede nella loro esistenza non è stata indiscussa… Nel suo fervore di grande razionalista, Lucrezio  negava  che potessero esistere creature (non diversamente dai centauri) formate da  membra fra  lori  discordi, membra che non crescono parimenti né decadono  insieme nella vecchiezza, né possono amare nello stesso modo, e che nemmeno possono cibarsi delle stesse sostanze. Addirittura, Virgilio  nell' Eneide  ne evitava la rappresentazione,  lasciandoci solo intravedere i loro scogli disseminati di resti umani,  forse accogliendo  la tradizione che le voleva morte suicide dopo il passaggio di Ulisse.  Al pio Enea fu risparmiato dunque il confronto immondo con quei mostri.
Forse  proprio la loro enigmatica natura mista le ha  fatte giungere fino  a  noi : portano  con  sé -  nell'ibridismo - l'ambivalenza,  la polarità, la doppiezza, dimensioni a  cui l'arte  e  la  poesia moderna  si  sono aperte  largamente. Alberto Savinio scriveva a Ibsen a proposito di quelle  sue figure umane  dalla  testa  di cavallo :  in  queste  forme apparentemente  ibride  e  fondamentalmente  armoniose, vi è traccia dell’espressione del carattere umano più profondo e sacro. 

La bonaccia.
Qui vorremmo riflettere sugli originari aspetti marini  del mito, un’occasione per riflettere su aspetti profondi e forse poco evidenti, ma centrali del nostro rapporto culturale, contraddittorio e perfino a volte conflittuale, con l’ambiente del mare.
Nel racconto di Apollonio i marinai, spinti da  una  vivace brezza,  incontrano le sirene. Non c'è per loro il  pericolo di restare  fermi  nella bonaccia ad  ascoltarle,  il loro richiamo semmai può indurre ad abbandonare  la  nave  per unirsi a loro. Come fa il giovane Bute, il più sfortunato di tutti,  che  si tuffa in mare, ma che tuttavia è salvato  da Afrodite e fonderà con lei Lilibeo.  In  Omero  invece la brezza non c'è : i marinai di Ulisse devono far  forza  sui  remi  con  grande   volontà per allontanarsi dalla  zona dove le sirene estendono  la  loro pericolosa  influenza.  Quella  zona  di mare  è  infatti caratterizzata  dalla bonaccia. Non c'è un alito  di  vento, l'unico modo per non arrestare la corsa è remare. Questa diversa situazione  raffigurata nell'Odissea, pare essere risultata la  più suggestiva, quella che più ha influenzato la tradizione : le sirene, variante di  demoni   meridiani, compaiono in  una bonaccia nociva e paralizzante,  nel momento della canicola, dei raggi a perpendicolo (si ricordi che  il sole ammorbidisce la cera con cui Ulisse si tura le orecchie).  Nella tradizione letteraria  - dalla Ballata del Vecchio marinaio di Coleridge ai drammi marini di O’ Neill al nostro Mario Tobino (L’angelo del Liponard è fra i più bei racconti italiani di ambiente marino) - la bonaccia, si sa, è  considerata un grande pericolo  per i naviganti, pericolo talvolta anche maggiore della tempesta. In mezzo  al  mare, l'inazione,  la stasi, il ristagno di ogni forza contagiano la   nave :  sopravviene  il torpore,  la pesantezza, lo stordimento. E quindi la perdizione, la  morte. 
Fra i recenti romanzi contemporanei che giocano  proprio su questi temi, vi è La stiva e l’abisso di Michele Mari (Milano Bompiani 1992). In una estenuante bonaccia un galeone spagnolo  è immobile nell’oceano… Lo sfacelo del corpo tiene immobile il capitano. Ma un analogo sfacelo corrompe la nave. Il confine fra la vita umana di bordo e la vita inquietante e misteriosa del mare  si fa labile, la vita del mare comincia ad occupare la stessa stiva con la comparsa inspiegabile di creature sconosciute.
In  greco “bonaccia” si dice galène, e il termine indica il mare calmo, sereno, ma in senso traslato indica anche serenità d'animo. Però bonaccia si dice anche malakìa :  il senso di questa parola è un  po’ diverso,  la sua accezione  è  negativa :  si  estende  a mollezza,   effeminatezza, e  anche  a ignavia,   fino   a malattia. Il Vocabolario marino e militare del Padre Alberto Guglielmotti (Roma 1889), che raccoglie vari modi di dire per bonaccia, spiega il termine malaccia con “ requie spossata e nociva”. Insomma, lo sa chiunque vada per mare, ci  sono due diverse   calme   marine :  una  piacevole  e positiva, l'altra inquietante, corruttrice e pericolosa. Ora la  sirena è collegata indissolubilmente alla malakìa,  alla  calma pericolosa e mortale.

            Quanto alla parola che usiamo per indicare le sirene, seppure l’etimologia appaia incerta, le varie tracce paiono suggerire un significato omogeneo. Forse il termine viene dal greco seirà, che vuol dire legaccio, corda, laccio? C’è un verbo seirazein che vuol dire legare: ma un altro seirazein vuole per altro dire prosciugare, provocare siccità,  con riferimento ai pascoli. E si sa che il sole allo zenit pareva avesse l’identico potere del malocchio, di arrestare la corsa della nave quasi la legasse (ligatio navis). E’ anche possibile infatti che sirena venga da seirios, ardente, bruciante. Potrebbe esserci dietro il sanscrito surya, sole o anche bruciante e insopportabile siccità, con riferimento in tal caso al sole zenitale, cioè proprio a quell’ora meridiana in cui le sirene si manifestavano. Ma, come qualcuno ha proposto, sirena può forse venire semplicemente dalla stella Sirio, costellazione della canicola. Ma di nuovo siamo rimandati allo stesso campo semantico, si rimane insomma nello stesso ambito di significazione, di caratterizzazione: Sirio - ricordava Roger Caillois nei suoi studi giovanili sui demoni meridiani[2] - portava con sé un’atmosfera perniciosa capace di corrompere la carne ancora attaccata alle ossa, facendo marcire i corpi nella terra. Sirio è l’astro più brillante di tutti, che rende le donne lascive, spossa le energie degli uomini. Per contro la siriasi - infiammazione per troppo caldo - equivale all’assideramento dovuto alle basse temperature nel senso che presenta gli stessi sintomi psicofisici caratteristici della canicola : spossatezza, sonnolenza, apatia. Che sono poi di nuovo gli stessi effetti ipnotici e fatali che la tradizione mitica attribuisce al canto delle sirene. E’ stato infatti anche notato che sia nelle nebbie che nella bonaccia marine si hanno gli stessi fenomeni psichici dello smarrimento sulla neve e sui ghiacci, quali perdita di sicurezza, di orientamento, di riferimenti e di stimoli. Uno dei drammi marini di O’ Neill La pesca è ambientato tra i ghiacci dei mari nordici, e la vicenda che si svolge a bordo del peschereccio avrebbe senz’altro potuto avere come sfondo la bonaccia dei mari caldi...

Le conferme letterarie non mancano. Già Claudiano  (IV sec. d.c.) ha scritto : "Sulle carene  delle  navi (le sirene) fermavano l'aria avvolgente mentre dalla  poppa  una voce colpiva  l'imbarcazione.  Né piaceva più  al navigante orientarsi  nel  sicuro cammino del ritorno.  Ma  non  c'era dolore, la stessa gioia dava la morte."  E Marziale "Sirene, pena ilare dei naviganti, morte soave, godimento crudele." Pavese  in uno  dei dialoghi con Leucò, fa  dire  a  Saffo parole perfette sull'angoscia e il desiderio dell'annullarsi  nel mare :  "Ma  tu lo senti  questo tedio,  quest’inquietudine marina ?  qui tutto macera a ribolle senza posa..."

Ma le sirene sono per più aspetti legati alla morte : esseri meridiani, rappresentano anche i defunti. Alcuni  commentatori (Georg Weicker) insistevano sul fatto che  nell'episodio omerico, il nucleo  portante  fosse  il vampirismo  animistico, secondo una  tradizione  che   si sarebbe  smarrita.  Ebbene, in Coleridge (e anche  in altri moderni) proprio questa tradizione è ripresa : l'antico marinaio assetato per la bonaccia, beve il suo stesso sangue per  rinfrescarsi la bocca. In una leggenda tedesca tutti a bordo  stanno morendo, per una bonaccia terribile, di sete  e fame.  E il pilota propone che si uccida il mozzo per  berne il sangue... (sangue e acqua di mare, si sa, si equivalgono, perfino biologicamente, e nella bonaccia  il  mare  diviene sangue).  Per non  dire della  tradizione   di racconti  di naufraghi alla deriva, che si nutrono  di carne umana,  coma  la vicenda famosa della Medusa,  o quella  della baleniera Essex.
Le acque  in cui le sirene esercitano il  loro  pericoloso richiamo,  sono dunque con certezza la acqua  calme,  molli,  corrotte e corruttrici,  quelle della bonaccia : della malakìa. Chi  cede, chi non fa forza sui remi, chi si lascia andare al torpore, all'inazione,  allo  stordimento, finisce sugli  scogli. E il suo corpo vampirizzato è destinato a corrompersi, a marcire, ad andare in putrefazione. Benché si possa affacciarne  solo l'ipotesi   suggestiva,  tali  connotazioni  propongono   un argomento dei meno studiati, quello dei morti  annegati,  i cui corpi  marciscono sulle rive. In certe  tradizioni,  i corpi degli annegati  vengono trafitti  al  cuore  con  un paletto  di legno, e  sepolti  in  terra  non  consacrata : trattati cioè proprio come vampiri.
Che anche attraverso l'accenno al vampirismo riaffiori  nel mito un aspetto  di mortale  attrazione   sessuale,   non sorprende. Le sirene hanno forma femminile, seducono l'uomo e lo portano alla rovina, eccitandone un lussuria che non soddisfano, per  alcuni commentatori  perché non avrebbero nemmeno l'apparato  sessuale idoneo (viene in mente la ricca tradizione che vuole identificare nelle sirene le foche monache o altri mammiferi marini). Le conferme nella cultura moderna sono infinite.
Nel bellissimo racconto Lighea, Giuseppe Tomasi di Lampedusa racconta di un govane che isolatosi su una sperduta spiaggia siciliana per studiare, entra dopo molti giorni di vita solo a contatto col sole, col mare e col silenzio, in relazione con una bellissima sirena, che gli consente di assaporare l‘amore che solo i divini possono sperimentare. Da Lighea il giovane riceverà anche la conoscenza della lingua classica tanto da diventare il più grande studioso di antichità. Ma per tutta la sua vita egli non potrà più avvicinare altra donna mortale, avendo conosciuto qualcosa che non è paragonabile a nient’altro. Se Lighea nei giorni assolati del loro amore giovanile gli aveva offerto di raggiungerla negli abissi e godere con lei delle gioie infinite dell’immortalità, il professore ha preferito invece svolgere tutta la sua vita umana sulla terra, anche privo di quell’unico grande privilegio che è l’amore di una divinità. Ma arrivato alla vecchiezza, dopo aver confidato a un giovane interlocutore la sua vicenda, decide di dare infine addio alla banale e dolorosa, insoddisfacente vita umana per tuffarsi dal parapetto della nave e raggiungere fra i flutti l’amore giovanile nella sua intatta eterna perfezione acquatica.

 Solitudine del comandante.

L'episodio omerico di Ulisse mantiene un grande fascino per la solitudine  del comandante,  legato  per  suo   volere all'albero. La sua diversità dai marinai è anche in quel suo voler sperimentare  la voce delle sirene, tuttavia impedendosi a priori di restarne  vittima.  Sia  nei drammi marini  di O’ Neill che nell’ Angelo  del  Liponard di Tobino, come  in tanti analoghi testi  straordinari di Conrad, ma anche nel passi ovidiani di Bacco e i pirati, il capitano è l’essere solitario e superiore, figura sacra investita di potere religioso : la sua importanza  a bordo, il suo ruolo insostituibile lo rendono colui che più drammaticamente deve contrastare, con   la  sua  volontà  ferrea, le tentazioni. E’ evidente che la  tematica  si è sviluppata nella cultura cristiana con caratteri propri. In genere, tuttavia, egli deve essere casto,  non cedere  al richiamo   della   sirena dell'amore. Paura della sirena sarà allora anche  paura di perdersi, di tradire   e di  abbandonare, di  trasformarsi.  Per questo nell'episodio di Bacco nelle Metamorfosi ovidiane i marinai si  trasformano in delfini. Interessante anche la metamorfosi descritta  da Ovidio della ninfa Ciane, talora ritenuta una sirena. Ovidio descrive  il disfarsi del corpo di Ciane : la sua  membra  si fanno molli, le ossa diventano pieghevoli, le unghie perdono durezza, al  posto del sangue entra l'acqua, tutti si  sfa,  diviene inafferrabile. Ogni sostanza si trasforma  in  acqua  passando  per la corruzione a il disfacimento del corpo.
Ma  a  differenza della ninfe, delle nereidi  o  di  altre figure femminili dell'acqua e del mare, le sirene sono  donne-uccello, appollaiate su scogli marini.  la coda  di  pesce verrà più  tardi,  Da  Omero ai cristiani  le  sirene sono donne-uccello come le  sfingi.  E come queste hanno relazione con la  sapienza. La sfinge  che propone a Edipo il suo enigma, saggia il potere conoscitivo dei  passanti. E infatti Edipo è “colui che sa”.  La sfinge rende succubi coloro che non hanno intelligenza sufficiente, dà  loro la morte, addirittura vi è collegato anche (come  si vede nelle raffigurazioni) un dominio sessuale. La  stessa  cosa avviene per le sirene da Omero in poi.  In particolare per gli antichi greci (così scriveva Ateneo  nel II-III  sec.) la vera sapienza era connessa alla  musica. Il canto straordinario  seducente e ammaliatore delle sirene,  la situazione di pericolo che si determina nelle loro acque,  è un enigma, e solo chi è intelligente come Ulisse, l'astuto per eccellenza,  si salva. Ma quale  fosse l'enigma  delle “dotte” sirene (proprio così  le chiama  anche  Ovidio),  in  cosa consistesse davvero il  loro straordinario canto, è rimasto  un mistero :  quesito ritornante nella tradizione, rimasto senza risposta.

           
                                               Lorenzo Greco




[1] Ne fornisce un ampio quadro il lavoro di Meri Lao Le sirene (da Omero ai pompieri), Rotundo editore, Roma 1985.


[2] Roger Caillois I demoni meridiani, edizione italiana (che è anche la prima edizione in volume) a cura di Carlo Ossola, Bollati Boringhieri, Torino 1988.




mercoledì 4 settembre 2019


ORIZZONTI VERTICALI- Generazioni a confronto

renzia.dinca

San Gimignano (Siena)


Settima edizione del festival Orizzonti Verticali, diretto da Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari nello splendore della città di  San Gimignano : Connessioni creative  tra passato e futuro. Questo il sottotitolo del festival. Un programma ricco di proposte con “una mutevole e caotica contemporaneità che ci regalerà diversi spunti di riflessione e di visioni sul mondo e della giusta collocazione dell'uomo nella moltitudine”-si legge nel Programma. Settima edizione per cinque giorni fra teatro, danza, performance e incontri tra pubblico artisti e critici, che vale e conferma la proposta e l’offerta creativa e ricettiva di Orizzonti Verticali. Infatti la location del Festival multidisciplinare a San Gimignano, città cardine fra Firenze e Siena per la bellezza paesaggistica così apprezzata da inglesi, tedeschi e americani che nello Chianti Shire hanno trovato seconda cittadinanza, è quanto di più valorizzato a livello culturale ed artistico in questa  nuova edizione 2019.  Il Progetto è nato nel 2013, fondato da Roberto Guicciardini. E’ stato curato dalla Compagnia Giardino Chiuso e dalla formidabile Fondazione Fabbrica Europa (già per il quarto anno consecutivo), che ha avuto in cantiere a Firenze progetti e compagnie internazionali  presso lo spazio della Leopolda.  Quello di Orizzonti Verticali  è un ricco programma con alcune Prime regionali ideato dentro uno spazio straordinario: le Torri della città che fra Firenze e Siena gode di uno spazio ideale per performance estive: basta sollevare lo sguardo e trovare i nessi fra ciò che da spettatori itineranti viviamo nelle piazze in presa diretta con le Compagnie in azione performativa o semplicemente di coordinamento organizzativo, nelle viuzze medievali, nei bistrot, nelle dimore storiche  che sanno di storia della Toscana, dalla più aristocratica e insieme  verace, dove si respira fra passato e presente un’aria da flusso di coscienza  tra medioevo e Rinascimento italiano. Ricco il parterre della danza: con Roberto Doveri e Nuovo Balletto di Toscana in Animanimale.  Ma anche Teatro d'autore  con Luca Scarlini in La penna e la spada e  con  Teatro Koreja in La Ragione del Terrore di Michele Santeramo per la regia di  Salvatore Tramacere, con Michele Cipriani e Maria Rosaria Ponzetta. E poi Silvia Battaglia/Bianca teatro in anteprima nazionale con Ballata per Minotauro. Ancora Danza d'autrice con la straordinaria Francesca Zaccaria  in prima regionale ( Zaccaria è in quota artisti di ALDES di Roberto Castello, già vista in primo step a Porcari a Lucca nello spazio  SPAM)  con: Carnet erotico. Un lavoro che avrà sviluppi significativi nella ricerca della danzatrice: è una summa di tecnica e immaginario femminile transnazionale con sguardo privilegiato da artista, coreografa e intellettuale sul pensiero orientale buddista.
La Compagnia Giardino Chiuso, già fondatrice del Festival, ha presentato in anteprima nazionale dentro il Palazzo della Propositura L'imputato non è colpevole, con la regia di Tuccio Guicciardini. Liberamente ispirato agli atti del processo Talaat Pascià, il lavoro presenta uno studio minimalista  in solo parlato, sul processo a carico di un giovane la cui storia personale e famigliare è apparentemente inattuale. Talaat Pascia, dopo una strage degli Armeni avvenuta nel 1921 (in Italia a Livorno nasceva il Partito Comunista ad opera di Antonio Gramsci), è il ministro turco. Il giovane  studente chiamato dalla sua cella in giudizio è un assassino comune o politico? la sua intera famiglia, secondo dichiarazioni rilasciate al Giudice, dalla madre alla sorella e fratelli, è stata sterminata. Ha visto violenze, stupri. Lui è il solo testimone. Cerca vendetta? sarà dichiarato non colpevole? molto bravi, in assenza completa di scenografia dove il pubblico è stato schierato sulle quattro pareti della sala del Palazzo della Propositura coi due personaggi schierati  l’un di fronte all’altro, i due attori  Sebastiano Geronimo e Bob Marchese nel ruolo del Giudice. Un lavoro che avrà sicuramente grandi possibilità di sviluppo. La tematica è quella dei genocidi  sul popolo curdo. solo curdo? uscendo col nodo alla gola dal bel Palazzo, su una Piazza Duomo dalla fenomenale bellezza (per citare Gianna Nannini che è di quelle parti), tante emozioni e riflessioni sulla Storia.  quella che si ripete.  La stessa sera  abbiamo visto  in spettacolo itinerante Juliette on the road liberamente tratto da Romeo e Giulietta di Cie Twain Phisical Dance Theatre con regia, testi e drammaturgia di Loredana Parrella e Aleksandros Memetaj.  una bella performance fra  Piazza Duomo, Piazza delle Erbe  e la Rocca di Montestaffoli (sempre San Gimignano ma solo in salita delle stradette). con azioni e testi (peccato non comprensibili per un pubblico in cerca di comprensione dei vari materiali e malgrado le casse ). ma poi, forse in pieno choc da bellezza che neanche il francese Marie-Henri Beyle vedi Stendhal  proviamo a chiederci: e chi è questa Giulietta? questa adolescente di 12-14 anni  che scappa. da chi? da cosa? tante corde, proprio corde intrecciate- i nodi ? come materiali di lavoro del gruppo in performance, fra Lei e i suoi alter ego. tanti legami nella sua vita di corsa. on the road. come i poeti americani anni Settanta.  Forse.  Forse dentro una morsa di controfigure sia maschili che femminili in azione,  che si ritroveranno assieme a lei, on the road, appunto, in uno spazio, quello in alto,  su vista alle tante torri abbattute, secoli fa, sulla rocca di San Gimignano. Uno spazio un  po giardino dei Ciliegi. un po Orto degli  Olivi,  quello del tradimento a  Cristo.



 Festival ORIZZONTI VERTICALI 

Arti sceniche in cantiere -VII edizione

Ministero dei Beni e delle Attività culturali/Regione Toscana/Comune San Gimignano /Siena)

 Visto a  San Gimignano ( Siena) 6 Luglio 2019