lunedì 2 giugno 2014

Teatro Metropopolare  H20tello  in carcere
Posted by Renzia  D’Incà
Prato

La Toscana è da molti anni oramai regione impegnata  a sostenere  progetti di formazione  e produzione teatrale nelle carceri con risultati talvolta anche  di straordinario valore artistico. Ma non solo Volterra è sede di sperimentazioni, anche  diversi altri spazi carcerari si sono aperti alla pratica teatrale  e fra questi La Dogaia a Prato dove da alcuni anni opera la giovane regista Livia Gionfrida col suo gruppo  Teatro  Metro popolare. Da molti anni la regista opera con la sezione maschile con laboratori che si concludono con la messa in scena di uno spettacolo aperto al pubblico mentre le repliche sono esclusivamente dedicate ai detenuti.
La regista ha scelto di lavorare su Shakespeare con una programmazione triennale. La trilogia si è conclusa proprio quest’anno con una riscrittura dell’Otello.
Di cosa parla l’Otello?-scrive in una nota di regia la Gionfrida. Tantissime possono essere le trame che ogni volta si possono rintracciare in ogni opera di Shakespeare, ma noi ci siamo concentrati su una cosa soltanto: perchè  un uomo come Otello si trova protagonista e artefice di un femminicidio? Che cosa ne pensano i detenuti del carcere di Prato della violenza sulle donne? Come sarà accolta la nostra opera dal pubblico dei detenuti per i quali facciamo le nostre repliche?
Con questa premessa  in testa ci siamo incamminati nei corridoi infiniti del carcere fino a raggiungere lo spazio dell’azione: una palestra o meglio un campo di basket con alcuni attori-detenuti in maglietta numerata ad accoglierci. Vengono distribuite delle bottigliette d’acqua con sopra la scritta H20tello, una sollecitazione mentale che apre una chiave di lettura sull’intera operazione sia scenografica che di regia. L’acqua infatti  raffigura lo spazio  del simbolico femminile- dalla parte di Desdemona quindi, ma è anche la suggestione dello spazio in cui avviene la trama della tragedia del Moro: Venezia ma anche Cipro e quindi il mare. Ecco che allora grandi contenitori d’acqua vengono trasportati su e giù per lo spazio scenico su carrelli di portavivande  mentre si svolge la “partita” fra Otello e Jago con un coro di altri  copratagonisti personaggi-giocatori. Otello  il Moro è impersonato da un attore marocchino, Desdemona è bianca come la neve, il padre Brabanzio gran signore di Venezia  recita con forte accento inglese  e abito moderno in linea. Gli attori-detenuti sono tutti stranieri (purtroppo nelle carceri italiane abbondano per complesse ragioni), le nazionalità sono albanesi ( Jago), il Coro un mix di razze: Africa,Albania, Polonia, Romania, Brasile.
La narrazione delle vicende della tragedia avviene in modo rapsodico, si alternano azioni sceniche veloci e atletiche- passaggi di palla, arrampicate sulle strutture delle porte che sostengono i due canestri. Dalla scena del  fazzoletto (con una Erminia picchiata e ricattata da  Jago) fino al climax del delirio di gelosia di Otello è un crescendo di pathos. Lo spazio è interamente occupato dal Coro-giocatori come in un match all’ultimo canestro.  Straordinariamente  efficace la scena che precede  l’assassinio della sposa innocente, con Otello al centro della scena in preda al  delirio: come da tragedia greca, qui le Erinni si trasformano in scimmie ululanti  con addosso occhiali enormi da sub che danzano intorno all’uomo in un macabro rito. Le ossessioni, le paure, le fantasie, le allucinazioni sonore- cornuto, gli sghignazzi prendono voce dentro la testa del Moro fino a farlo impazzire.  Segue un’altra scena molto densa con gli attori-coro che immergono la testa dentro secchi d’acqua-l’atto dell’affogare, e di nuovo ricorre ossessivo l’elemento acqua, lo sprofondare dentro un’acqua che anziché vita porta morte.
Insomma uno spettacolo coraggioso, ricco di invenzioni e di spunti originali questo firmato dalla Livia Gionfrida, esile donna che combatte ogni giorno con le difficoltà del portare avanti la sua ricerca artistica in un luogo difficile qual’è quello del carcere e che con piglio volitivo riesce a trasformare uno spazio chiuso  per persone private della libertà in un mondo possibile altro, creativo giocoso ed anche di arricchimento intellettuale.

Teatro Metropopolare
Regia Livia Gionfrida


Visto il 23 maggio   Prato Carcere La Dogaia 

domenica 1 giugno 2014

Anna Meacci è Romanina. La nascita di un cigno
Nella giornata internazionale contro omofobia e transfobia

Firenze
Posted by Renzia D’Incà

Ripercorrere tutte le fasi del lavoro su Romanina non è facile perché è una storia lunga 18 anni- così  esordisce Anna Meacci in una sua mail molto intensa e ricca di particolari dove mi racconta come e perché si è innamorata della storia di questa straordinaria persona. Del resto come sarebbe potuto non succedere quando la sensibilità estrema  dell’attrice porta ad una empatia altrettanto estrema per una figura emblematica, quella del più “ famoso travestito di Firenze” che fa da valore aggiunto alla dote intrinseca di generosità  e di giusto coraggio  che deve essere naturale in chi sceglie  il mestiere del palcoscenico?
La  Anna,  quella Anna che aveva sposato  con grande passione questa idea che come chiodo fisso ripeteva agli amici teatranti (oltre che alla sua agenzia di allora), nel frattempo aveva realizzato  e messo in scena con Dodi Conti e  Katia Beni: I monologhi della vagina e  Un due tre chiacchiere.
Dunque il percorso è  stato lungo e anche accidentato perchè questa serata fiorentina, ospite il Teatro delle Spiagge, Compagnia Teatri d’Imbarco diretto da Nicola Zavagli e Beatrice Visibelli,  da sempre molto attento ai temi della solidarietà e del sociale, ripropone  e rilancia questo lavoro scritto a quattro mani dalla stessa Meacci con Luca Scarlini-che all’attrice dopo un’esperienza teatrale  invitata da Vladimir Luxuria per  le serate  romane di Mucca Assassina  nel lontano 1996, aveva suggerito di leggersi la storia di Romano Cecconi, nato in un paesino della Garfagnana poi fiorentino e adesso bolognese.
Si tratta del diario della complessa e delicata(nell’accezione di intima) storia di una transessuale,  di un uomo che si sentiva donna e viveva da donna e che ad un certo punto della propria esistenza ha avuto il coraggio di trasformare, anche chirurgicamente, il suo status anagrafico. Sembrerebbe una questione nota, almeno  a livello di rotocalco, per le genti italiche  televisivamente ‘edotte’ ed anche per una certa politica. E invece: e invece questo lavoro è andato in scena per la prima volta nove anni fa grazie all’intuizione  e al coraggio utopistico di Massimo Paganelli  che affidò la regia a Giovanni  Guerrieri col contributo fondamentale di Barbara Nativi (il debutto a  Sesto  fiorentino, Teatro della Limonaia nel novembre 2005 corredato da una mostra fotografica), una conferenza stampa al Teatro del Sale con l’arrivo di Romina  da star fra frotte di fotografi e con a seguire alcune repliche con gran successo specie di pubblico.
Mi scrive Anna: durante le tre settimane di repliche, ho visto di fronte a me persone di ogni età e stato sociale. Gay, lesbiche, transessuali, eterosessuali, un’umanità eterogenea che rideva e si commuoveva assieme a Romina e a me. Dopo questo primo step di percorso il lavoro è andato in tournée per la penisola. Amato dal pubblico  e dai teatranti ma non dalla politica  per pregiudizi espliciti sul tema, qualche volta anche da parte di associazioni di genere. Il lavoro è stato ospitato solo dal Gay pride di Torino.

Tornato alla grande sul palcoscenico da tutto esaurito delle due serate fiorentine “ Romanina” è un lavoro godibilissimo con una Anna  Meacci strepitosa.
In scena con abito attillatissimo e paillette, pelliccia bianca, una  scena  vuota con in terra solo  coppie di scarpe di varie fogge,  la storia di Romanina è  raccontata con glamour e delicatezza anche nelle sue crudezze più inenarrabili( prostituzione, carcere, confino, abusi,  e anche violenze che l’hanno costretta a fuggire da Firenze) con una leggerezza commovente. Una prova d’attrice di coraggio e un pubblico straboccante, curioso e molto divertito


Con Anna   Meacci
Regia Giovanni Guerrieri
Compagnia Teatri d’ Imbarco di Nicola Zavagli e Beatrice Visibelli

Teatro delle Spiagge, Firenze 17 maggio