mercoledì 9 ottobre 2024

 E' su RUMORSCENA di Roberto Rinaldi

Vajont -una testimonianza

 

Come molti ho visto da adulta il film Vajont-La diga del disonore (2001) di Renzo Martinelli con Laura Morante interprete di Tina Merlin e il monologo di Marco Paolini  Il racconto del Vajont.

C'è un filo rosso autobiografico che mi lega a queste due visioni. Sono nata  e vissuta a Belluno fino a quasi vent'anni a pochi chilometri da Longarone dove il disastro del 9 ottobre 1963 con la frana del Monte Toc che ha provocato lo straripamento della diga, ha portato morte a Longarone e nelle frazioni con un bilancio di oltre 2000 morti. Questa tragedia immane è arrivata alle mie orecchie di bambina fin dalle scuole elementari, fra narrazioni domestiche e scolastiche. La mia maestra Giuseppina Merlin era sorella di Tina (già staffetta partigiana), la giornalista dell'Unità che aveva scritto articoli di fuoco fin da 1960 sostenuta da cittadini del luogo contro la società SADE ( Società Adriatica Elettricità), inascoltata anzi querelata. La maestra, che era molto amica di mio padre (erano del 1926 e vivevano a Trichiana sulla sinistra Piave dove avevano case proprio vicine e dove ebbi poi modo di conoscere Tina, raccontò a noi bimbi di seconda o forse terza elementare che lei aveva visto coi suoi occhi nella chiesetta di Pialdier (una frazione prossima al greto del  fiume Piave), i cadaveri di 7 bambini della nostra età trascinati  per chilometri a valle dalla furia delle acque che raccolsero la fuoriuscita del bacino del Vajont. Mio padre mi raccontò poi che la mattina del 10 ottobre (nessuno ancora sapeva niente, non c'erano i telegionali o internet) era al suo lavoro a Belluno e che tutti gli abitanti della città erano increduli davanti alla massa d'acqua che ingrossava il corso d'acqua del Piave cresciuto di diversi metri. Mi disse anche: se la diga avesse ceduto, la più alta diga d'Europa, sarebbero stati spazzati via molti  comuni a valle e forse io e la mamma non saremmo ancora qui e tu non saresti neanche nata. In seguito sono stata più volte a Longarone, ricostruita dal fango. Al cimitero delle vittime ma anche a concerti   come quello di Franco Battiato allora semisconosciuto. Ma questa è un'altra storia 

 

Renzia D'Incà


 

foto di Giorgio Termini

CONTEMPORANEA 2024

 

renzia.dinca

 

Prato. L'emozione prima della sommossa è il sottotitolo di questa edizione della rassegna Contemporanea ( andati in scena dal 27 settembre al 5 ottobre scorsi )sotto la direzione artistica di Edoardo Donatini, rassegna che ha inaugurato la stagione del Teatro Metastasio di Prato dove è stato riconfermato per tre anni  Massimiliano Civica nell'incarico di direttore artistico. In programma “spettacoli selezionati per obbligare a cambiare postura", scrive nella presentazione del programma Edoardo Donatini, dentro una poetica del prendere sul serio anche la farsa; in una prospettiva di speranza di cambiamenti in questo non facile momento storico nazionale e internazionale, dove anche la crisi  del Teatro e delle Arti morde, funestata dal periodo Covid e dalle ennesime mancanze di fondi ministeriali. Le compagnie invitate, italiane e internazionali, hanno presentato i loro lavori  nei sei giorni di appuntamenti ed hanno riscontrato un  buon successo di pubblico. Abbiamo assistito a due lavori: La luz de un lago, della compagnia catalana El Conde de Torrefiel e La foresta trabocca di Antonio Tagliarini


Il lavoro di El Conde si rivela nella forma complessa di un paesaggio sonoro fondato sulla percezione immersiva dove conferiscono molteplici linguaggi: video, testualità, azioni sceniche, voce, effetti sonori in un plot narrativo- quasi una mise en abyme, che si tiene attraverso  una traccia in forma di sceneggiatura per un film in quattro momenti spazio- temporali diversi. Il fil rouge che collega queste quattro micro narrazioni è il tema archetipico di eros e thanatos, amore e distruzione, tenerezza e crudeltà. La poetica di fondo sembra essere quella di una meta riflessione della compagnia sul senso del fare Arte nella contemporaneità. Al centro del lavoro quindi, la narrazione in multicodice delle 4 storie di persone accomunate  dalle dinamiche  umane dell'incontro: la prima  per una giovane coppia a Manchester ad un concerto anni Settanta dei Massive Attack, la seconda per  una coppia gay borghese che si frequenta di nascosto in un cinema ad Atene a causa della discriminazione verso gli omosessuali, la terza quella di  Philippe, un intellettuale transessuale a Parigi che si incontra con la propria sessualità di nato maschio che, fedele alla propria identità d'infanzia,  decide di cambiare sesso. Per finire con una ambientazione a una prima alla Fenice di Venezia nel 2036 in un set di “arte uau” dove un gruppo di attivisti protesta con una azione di imbrattamento con secchi  di cacca gettata sugli spettatori, contro l'arte commerciale. Sul palco, mentre scivolano le immagini video in loop di vortici di colori che si intrecciano e vanno a sfumare in un confuso pattern che dà la sensazione del confuso mondo liquido in cui tutti siamo immersi, un terzetto di “tecnici” si muove in sintonia nello spostare quinte, attori microfonati in viva voce recitano, mentre sottotiloli  e un importante mix sonoro commenta le immagini e le azioni in scena. Il lavoro di El Conde col suo portato caleidoscopico di suggestioni cariche di emozioni, è un paesaggio sonoro che nell'apparente confusione di segni che si intersecano e si sciolgono in un pastiche di senso, sembrano testimoniare in palcoscenico quella che è la nostra attuale realtà liquida (secondo la definizione di Zygmunt Bauman) dove: incertezza, velocità frenesia, performance, narcisismo, inconsistenza, virtualità  mettono al centro l'individuo per prevalere in una società dove regnano precarietà e incertezza. Con echi del filosofo Mark Fisher con i suoi saggi sul linguaggio della contemporaneità  oltre il realismo capitalista

 

 

 

 

La luz de un lago

 

Idea e creazione  El Conde

Regia, drammaturgia e testo Tanya Beyeler e Pablo Gisbert

Scenografia Ed Conde e Isaac Torres

Materiali e spazio  El Conde e la Cuarta Piel

 

 

La foresta trabocca

 

Antonio Tagliarini, performer, danzatore, autore ed attore ha proposto a Contemporanea La foresta trabocca. Già presentato come primo studio  al Festival FOG/ Triennale nel 2023 con Un' andatura un po' storta ed esuberante il lavoro, condotto in coppia con Gaia Ginevra Giorgi poetessa e performer, si caratterizza per lo studio sulle azioni del performer nello spazio studioK in sinergia con Giorgi, statica, dotata di microfono e mixer in un'immersione sonora  plastica ed evocativa. Ispirato alla scrittrice giapponse Maru Ayase, la Foresta  di Tagliarini tratteggia col corpo del performer, diverse trasformazioni dell'io narrate attraverso azioni a corpo libero dove dominano inciampi, cadute,  riposizionamenti, ricerca di un nuovo equilibrio sempre instabile, sempre ritrovato attraverso una ricerca di nuovi baricentri e forse nuove direzioni. Cos'è infatti questa “foresta” traboccante se non la ricerca umana che dal buio scheggiato di lampi di luce (l'inconscio?) muove verso strade mai percorse prima per poi perdersi di nuovo, per poi riemergere in un altro stato, un'altra dimensione esistenziale  risolvendosi in un atto rigenerativo. Questo il senso interattivo che Tagliarini gioca con lo spettatore a cui vengono consegnati all'ingresso dei bigliettini con delle domande. La mia era: qualcosa che hai lasciato andare. E sul retro c'era scritto: Nel momento che ritieni più opportuno, puoi depositare questa domanda nello spazio scenico. Questa suggestione, la cui risposta era dentro la mente dello spettatore, era il mezzo con cui il performer, aveva modo forse di rispecchiarsi, forse no, ma comunque procedere nella sua ricerca nello spazio al centro del quale Gaia Ginevra Giorgi ad un certo punto comincia a rapportarsi col danzatore che si avvicina e insieme, microfonati tentano un dialogo fatto non di parole ma di suoni

 

Progetto Antonio Tagliarini

con Antonio Tagliarini e Gaia Ginevra Giorgi (anche in collaborazione artistica)

Cura del suono Emanuele Pontecorvo

Disegno luci e direzione tecnica Elena Vastano

Coproduzione  INDEX, Triennale di Milano, Spazio Matta, Casa degli artisti

 

Visti a Prato, Teatro Metastasio e spazioK  Contemporanea, il 4 ottobre 2024

lunedì 23 settembre 2024


 IL CORPO IN TESTA

 (Cue Press 2022, Imola Bologna)

 

Il viaggio artistico di Animali Celesti teatro d'arte civile nelle periferie sociali del disagio e delle marginalità

 

Autore Alessandro Garzella

Prefazione Andrea Porcheddu

 

renzia.dinca

 

1.      La lunga, proficua, e intelligente esperienza teatrale del regista, autore, attore e formatore Alessandro Garzella è un'opera esistenziale e compartecipativa di Teatro Metafisico. Nel senso utopico e paradossale del termine “metà tà-physikà” proprio perché “fisica”, come è l'esperienza del Teatro, abissale concreta “immonda”, per usare un aggettivo che ricorre nella sua non-autobiografia intitolata Il Corpo in testa, un libro dedicato ai primi dieci anni della Compagnia  Animali Celesti che oggi prosegue una ricerca avviata all’inizio degli anni Novanta. Un volume un po' confessionale, un po' autoironico, un po' auto-biografico e un po' nonsisacché in quanto, letterariamente, indefinibile, ineffabile, come scrive Andrea Porcheddu in prefazione. Una scrittura di prima mano che prende alla pancia, agli occhi e al cuore di chi legge e si occupa di Teatro nella storiografia italiana, facendo molto riflettere sulla vicenda personale e collettiva di un artista e intellettuale a tutto tondo, di fatto e di diritto, che può appassionare sia un lettore che conosce la poetica dell’Autore, le sue opere e le sue avventure artistiche, sia un lettore-spettatore che ama il Teatro tout court.

 

Anche la copertina del volume Il corpo in testa  (CUE Press), da pensare: primi piani dei suoi occhi, mani, bocca, orecchie (forme cinestesiche di un lavoro anche basico del fare teatro, senza scomodare la PNL o Jung), del regista Garzella che dirige e ha diretto i suoi attori, fin da giovanissimo, con protesi o in carrozzina per via di un grave handicap (mai vissuto come tale), che lo accompagna da quando è nato e che lo pone pertanto alle prese con spazi teatrali al chiuso (spesso difficilmente accessibili) e all’aperto come strade, piazze (vedi il suo lavoro itinerante Vangeli di strada a Pisa), giardini o luoghi naturali, come per il Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli dove risiede oggi la sua Compagnia, ideando e realizzando la maggior parte dei suoi spettacoli più recenti. Garzella ha vissuto artisticamente tra stanzialità e nomadismo, giungendo a Coltano, una frazione del Parco, da esperienze come la direzione del settore Scuola e Ricerca del Teatro di Pisa, la creazione e direzione artistica della Città della  Città del 1.      Teatro Sipario Toscana a Cascina e l’ideazione del Teatro Stalla a Bergamo, esperienza successivamente trasferita a Coltano, dove dirige ANIMALI CELESTI teatro d’arte civile, una nuova avventura che coinvolge artisti, teatri, compagnie e persone provenienti da diversi Centri sociali e Sanitari di alcune USL territoriali che compartecipano a una ricerca sul rapporto tra teatro e malattia mentale (cfr. Il Gioco del Sintomo- Renzia D'Incà-Pacini Fazzi Editore Lucca, 2002 e Il Teatro del Dolore-Renzia D’Incà, Titivillus 2012)

2.       ANIMALI CELESTI da ormai molti anni è una presenza fertile e attiva al Nuovo Fontanile-Parco delle Biodiversità di Coltano non solo con il contro-festival ALTRE VISIONI ma anche e soprattutto con laboratori che si svolgono continuativamente (anche in inverno) in natura, e che producono opere sperimentali frutto di una ricerca radicata a un borgo della periferia pisana più estrema.

3.      Quella di Garzella è una identità particolarissima: l’espressione dell’animo umano più “selvatico” e naturale, nelle sue “diversità” e “difformità” più estese. Un teatro fisico e concettuale, astratto e carnale che include bio-diversità ambientali e alterità fisiche o mentali, vissute in Natura, alla ricerca di un benessere che il suo Teatro prova a respirare e far respirare a centinaia di persone che provengono dalle tre città e Università contigue al Parco: Pisa, Livorno, col suo affaccio al mare e Lucca che, con la sua eleganza e le sue Mura, aveva fatto innamorare anche il Principe di Galles ora Re Carlo d'Inghilterra.

4.      LAutore con il suo Corpo in testa - non trovo titolo più dissacrante e insieme metaforicamente inclusivo per un libro di teatro impegnato nel sociale – appartiene a quel gruppo di artisti che Andrea Porcheddu, nella pubblicazione Che c’è da guardare, definisce creatori di un Teatro d’Arte Sociale. La Compagnia, riconosciuta e sostenuta dal Ministero alla Cultura e dalla Regione Toscana, è infatti un nucleo di artisti e persone eterogenee tra loro che, proprio attraverso la visionarietà teatrale di Garzella, condividono una comune ricerca artistica e umana sul rapporto traTeatro, alterità e follia

La Compagnia, vincitrice del Bando MIC sulla accessibilità degli artisti disabili, con il progetto LUCIGNOLI, manifesta una crescente vitalità artistica, capace di coniugare ricerca e sperimentazioni produttive di particolare qualità e prestigio.  In questa comunità di artisti, definita “La tribù” in un video molto apprezzato sui social,  sono sicuramente da ricordare, per l’importanza dei loro apporti artistici, alcune presenze attoriali      storiche, particolarmente significative: Francesca Mainetti, Chiara Pistoia che seguono Garzella da venticinque anni ispirandone la creatività e affiancandolo nella guida della compagnia e Marco e Ivano:due maestri di strada che mi ero andato a cercare vent’anni prima negli anfratti della loro e della mia follia” (cit. A. Garzella in Il Corpo in testa). Ad essi oggi si aggiungono altri artisti più giovani e alcuni allievi coinvolti nei laboratori ATTORI DI/VERSI e ATTORE DISSENNATO, vero motore creativo che alimenta un progetto artistico, culturale, sociale e politico molto difforme dalle convenzionalità.  In questo periodo la Compagnia sta realizzando un progetto di distribuzione del proprio repertorio in teatri e città interessate ad ospitare le proprie opere: oltre alla Toscana la compagnia sarà in Sardegna, a Genova, Ferrara, Napoli, Rovigo, Trieste ed altri luoghi ancora, intrecciando la propria creatività con quella di teatri e compagnie affini. 

mercoledì 28 agosto 2024

E'su RUMORSCENA di ROBERTO RINALDI con ampio reportage fotografico di ALESSANDRO GRICCIOLI il volume curato da ALESSANDRA REY

Jean Paul Philippe il  Poeta dello spazio

 

 

renzia.dinca

 

Parigi-Siena

 

Un gran bel libro dell'Editore Sillabe (Livorno), dedicato al trentennale del Site Transitoire (1993-2023), fra Asciano (Siena), dove il poeta dello spazio Jean-Paul Philippe ha il suo studio La Bottega e La Roque d'Anthéron in Provenza e da un anno anche spazi esterni a lui dedicati all'aeroporto Charles de Gaulle a Parigi. Il volume (144 pagine patinate), è stato curato da Alessandra Rey. Corredato da un contributo di Antonio Prete, con  interviste dell'Autrice allo scultore francese e ad Alessandro Griccioli che ha curato la parte ricchissima   della sezione fotografica del volume. L'opera è una produzione della Associazione Site Transitoire con il sostegno della Galleria Jeanne Bucher Jaeger, dell'Associazione Patrimoine Art et Culture.

 

Il volume, di notevole eleganza editoriale, intercetta intellettualità artistiche quali la eccezionale virtuosità dello Scultore dello spazio-cosi' definito dal poeta Tahar Ben Jelloun: Jean-Paul Philippe, che ha vissuto e vive fra Parigi e le crete senesi dove ha ancora  Bottega ad Asciano, borgo toscano dove l'artista di spazio visivo ha creato la scultura: Site transitoire, appunto. Si tratta di una struttura pensata architettonicamente dall'artista Jean-Paul Philippe, che nasce come pittore a Parigi per innamorarsi dell'Italia dove ha trascorso molto tempo, per poi passare alla scultura, alle grandi opere.  JP Philippe ha costruito in pietra un monumento che ha le dimensioni di una finestra con due lati verticali marmorei e uno spazio verticale al centro, per dare la possibilità al visitatore di immergersi in un luogo denso di emozioni a tutto tondo dove, fisicamente, si può ammirare il solstizio d'estate la sera del 21 Giugno, quando il sole tramonta esattamente nello spazio-finestra dell'opera, immersi fra le crete e i paesaggi mozzafiato senesi. L'esperienza, cinestesica, può far provare al visitatore, una esoterica sorta di incantamento, che sboccia quasi istintiva in chi frequenta queste zone che sia turista americano o giapponese o europeo (il senese e la vicina Val d'Orcia, come la montagna amiatina sono luoghi di attrazione mondiale, il poeta Mario Luzi, fiorentino viveva nella non lontana Pienza). L'opera Sito Transitorio collocata “nel 1993 su una collina tra la località Leonina e il Borgo di Mucigliani, si trasforma in un gesto che per primo segna il ritorno della presenza umana”,così scrive la curatrice del volume Alessandra Rey. La scultura è stata infatti collocata in una zona di campagna abbandonata a pochi chilometri da Asciano dove l'artista parigino ha tuttora il suo Atélier. Sostenuta da scrittori quali Antonio Tabucchi, il poeta Bérnard Noel (a cui il volume è dedicato), Antonio Prete, poeta e già professore di Letterature comparate all'Università di Siena, autore di un  proprio intervento in questo libro. Il luogo ha visto la realizzazione di spettacoli  annuali di teatro e di danza proprio in occasione del solstizio con la presenza di Lisbeth Gruwez,  belga, coreografa performer per la Compagnia di Jan Fabre,  performance di mimo,  un lavoro teatrale per la regia di Paolo Pierazzini, noto artista e intellettuale  fondatore di Atélier Costa Ovest (Collesalvetti -Livorno) e Teatro Lux ((Pisa), luoghi che hanno segnato profondamente  la cultura e le avanguardie teatrali in ospitalità europea e mondiale di questa parte occidentale della Toscana, prematuramente scomparso. Il volume è in doppia lingua, italiano e francese, curate da Alessandra Rey e Marc Ceccaldi, e poiché la Francia è terra di nascita del grande scultore, il riconoscimento del Site transitoire a livello internazionale ha portato ad un gemellaggio fra il Comune di Asciano e il Comune provenzale di Roque d'Anthéron dove è stato realizzato un monumento in dialogo con Site Transitoire, denominato: Résonances, inaugurato nel 2022. Ne è ampia testimonianza fotografica ed anche amicale nel lungo periodo, il réportage  di foto e intervista a Alessandro Griccioli da parte di Alessandra Rey per il suo volume.

 

“Archeologia interiore” è stata così definita da Antonio Prete, la poetica di Jean Paul Philippe, come:“silenziosi passaggi di astri e di primi incontri con i visitatori”, formula felice coniata da  Rey, per rendere più esplicita l'ideazione artistica di Philippe. L'opera monumentale ideata e costruita dall'artista in Provenza prende forma da cave di travertino da Serre di Rapolano (Siena), e presenta richiami letterari a Albert Camus, al mito di Sisifo, è un omaggio allo scrittore amato. Un luogo da attraversare: Résonances sarà ciò che resta di un muro e di una porta, ma in cammino...(J.P.Philippe.). In sinergia solare, stellare e terrestre con la vicina Abbazia Silvacane e con  la poetica della condizione  dell'artista per  Camus: Solitaire/Solidaire.

Il volume ha una ampia rassegna fotografica, firmata da Alessandro Griccioli, giovane talentuoso fotografo senese, che ha seguito, fin da giovanissimo, le tappe di ideazione e realizzazione delle opere monumentali di Jean-Paul Philippe dalla Bottega di Asciano a La Roque d'Anthéron. Sono foto in bianco e nero. Raccontano la e le storie fra Asciano senese di Site Transitoire  e  la Roque d'Antéron provenzale. Raccontano e testimoniano in forma d'arte  fotografica l'Opera di Jean-Paul Philippe Poeta dello Spazio

 

 

 

 

 

 

 

 
Alessandra Rey Tommasi

 

E’ laureata in Lingue e Letterature straniere con indirizzo letterario, vive tra la Toscana e la Provenza ed è coordinatrice di progetti culturali tra la Francia e l’Italia.

Fondatrice e presidente dell’Associazione Site transitoire, scultura monumentale di Jean-Paul Philippe, di cui cura mostre e pubblicazioni in Italia e all’estero dal 2000.

Traduce in italiano testi di nuova drammaturgia contemporanea di autori francesi.

Ha tradotto e curato il sopratitolaggio per diversi autori e compagnie italiane in tourné in Francia.

Autrice di articoli su autori teatrali per la rivista “Vivaverdi”.

Membro della famiglia Tommasi, pronipote di Angiolo e Lodovico Tommasi e nipote di GhigoTommasi, è responsabile degli Archivi Ghigo Tommasi.

Cura pubblicazioni ed articoli sui pittori Tommasi.

giovedì 15 agosto 2024

 

INEQUILIBRIO FESTIVAL 2024


renzia.dinca


Castiglioncello (Livorno). Il nuovo progetto di Inequilibrio Festival Festival della nuova scena tra circo, danza, musica e teatro (dal 27 giugno al 6 luglio), fra Castiglioncello, Rosignano Marittimo, Vada e Rosignano Solvay, ha proposto numerose prime nazionali di spettacoli con un occhio di particolare riguardo alla danza e proposte di esposizioni, tavole rotonde, laboratori negli spazi interni ed esterni del Castello Pasquini, sede storica di Inequilibrio da una ideazione di Massimo Paganelli (oggi anche noto attore TV in BarLume), con Armunia. Sotto la direzione unica di Angela Fumarola il Festival, giunto alla sua ventisettesima edizione, si è presentato con un vasto parterre di proposte: dieci giorni per 55 lavori dei quali 9 debutti. Fra questi Giulietta e Romeo per la drammaturgia e regia di Roberto Latini. Ospite assiduo di Inequilibrio, lo abbiamo ammirato due anni or sono nella sua versione di Venere e Adone nel boschetto del Castello, molti anni prima alla regia del progetto Metamorfosi da Ovidio e prima ancora nella trilogia di Noosfera


Il nuovo lavoro di Latini, da qualche giorno nuovo Direttore artistico di Orizzonti Festival di Chiusi, è stato in prima nazionale a Rosignano Marittimo in tandem con Max Mugnai e Gianluca Misiti, sfidando un classico dei classici del Bardo: Giulietta e Romeo.


Lo fa in una modalità essenziale ed aristocratica, come del resto ci ha abituati nel suo stile inconfondibile e pregnante, dove i segni drammaturgici e di scena sono leggibili fra le ragnatele delle testualità classiche, fino a sfiorare e appagare il regno della Poesia. In Teatro è forse questa la poetica di Latini: sorprendere nella apparente semplicità delle re-interpretazioni-allusioni talvolta funamboliche, un pubblico molto esigente, un po' all'insegna di una pratica teatrale del Perturbante. Così Latini rilegge e trasforma alla maniera di, una storia d'amore che si potrebbe definire un po' antiquata (e non basta il balcone veronese per renderla cool). Riesce a traslare il romanzo- tragico d'amore, spostandolo verso una contemporaneità, e di coppia, quasi verosimile. L'amore può nascere sulle assi del palco, come potrebbe in ufficio o sul treno o in chat. E così' Giulietta si presenta (Federica Carra) su uno spazio vuoto (Teatro Nardini), vestita dei suoi abiti da tutti i giorni, odierni. Palco con due leggii, una antiquata bobina di registratore, una video proiezione alle spalle dove campeggia dietro Carra una scritta fissa: Rose. Molto ambigua ( chi è lei? l'eterno femminino? quale?). Latini si appalesa con una chitarra elettrica e vestito fra Elvis Presley anni Cinquanta e Renato Zero anni Settanta. Qui parte lo spostamento spazio-temporale e il Perturbante. La coppia si scambia i vestiti, ma non i ruoli. Da qui cominciano le rispettive escalation di interloquizioni, tratte dalla testualità di Romeo e Giulietta, quelle poche che nel testo di Shakespeare li trovano insieme, dentro la voce straordinaria, microfonata di Latini. I due si scambiano impressioni, passioni, come da manuale amoroso d'antan. Lei ad un certo punto in riff, si traveste da cantante tipo cantante Winehouse, stesso abito scintillante rock 'n roll pettinatura modello anni Sessanta. chi sono? forse i loro nonni i loro genitori? storia che si ripete? alle loro parole “d'amore”, si succedono alle loro spalle in video-proiezione, narrazioni. storie di giovanissime ragazze e ragazzi in video clip di etnie, lingue diverse, diverse storie d'amore contemporanee e intelligenze europee. Raccontano le loro storie “d'amore”, ma anche loro fallimenti amorosi. Gruppo Video Collettivo Treppenwitz.




Prima Nazionale


Drammaturgia e regia Roberto Latini


con Roberto Latini e Federica Carra


musiche e suono Gianluca Misiti


luci e direzione tecnica Max Mugnai


costumi Daria Latini


video Collettivo Treppenwitz da L'amore ist nicht une chose for everybody (loving kills)


produzione Compagnia Lombardi Tiezzi


Visto al Teatro Nardini di Rosignano Marittimo (LI), il 29 Giugno 2024



mercoledì 19 giugno 2024

Il riformatore del mondo al Fabbricone renzia.dinca Prato. Thomas Bernhard è stato il più grande scrittore e drammaturgo austriaco del secondo Novecento. Appartato, coltissimo, feroce oppositore della politica e dei costumi dell'Austria non più felix, Bernhard ci ha lasciato capolavori letterari quali Perturbamento, Il Soccombente, Estinzione, Il nipote di Wittengstein e molti altri in uno scavo impietoso e grottesco della società austriaca dagli anni Cinquanta alla sua morte, avvenuta nel 1989 a 59 anni. Intellettuale scomodo, misantropo, ha spesso descritto nei suoi romanzi e drammaturgie figure di accademici e artisti inquieti, famiglie al limite della follia, come in Ritter Dene Voss, con alle spalle gli spettri del nazismo che in Austria ha dato i natali a Hitler e a molti ufficiali delle SS. Il Riformatore del mondo è una scrittura graffiante, che si presta a più interpretazioni rispetto alle dinamiche di coppia che abbiamo visto in scena. Infatti sono proprio una coppia Il Riformatore (un Roberto Capuano in superba prova d’attore e di regia), e la sua serva forse amante Renata Palminiello. Lui è un intellettuale anziano in preda a microdeliri di grandezza mentre sta per ottenere l'ambita laurea honoris causa per i suoi studi. Lei, l’amante convivente da vent'anni, una taciturna e sodale Renata Palminiello, in una recitazione essenziale, minimalista, antitetica agli eccessi umorali del partner. Palminiello si muove in una prova di attrice in perfetta sinergia con il registro peculiare della regia che Capuano ha scelto di seguire nella sua personale interpretazione del testo di Bernhard. Lo spazio scenico dove si svolge tutta l’azione, è quello di un interno borghese asfittico se pur affacciato su ampi finestroni con poltrone e cassapanche mentre i pochi dialoghi fra i due protagonisti, a cui invece fanno da contraltare i monologhi ossessivi del Riformatore, segnano la struttura drammaturgica dell’intera piece in un pas à deux misteriosamente complice delle complesse dinamiche di coppia. Il testo dello scrittore viennese (che aveva deciso di impedire di mettere in scena in Austria per ben 50 anni tutte le sue opere), ha affascinato molti attori e intellettuali italiani nel corso del tempo. Ricordo di questa pièce l'allestimento con uno straordinario Gianrico Tedeschi (Premio UBU 1997/1998 come miglior attore) e le lezioni di un mio maestro Aldo Giorgio Gargani, studioso del pensiero mitteleuropeo che mi ha fatto conoscere Bernhard nel corso di Filosofia all'Università di Pisa. Si nota che a differenza di altre mise en espace, qui la relazione fra il vecchio intellettuale e la sua governante, presenta dei caratteri di forte ambiguità. Apparentemente succube di lui, la donna è di fatto, più potente. Lei esegue i suoi ordini senza replicare, in apparente assuefatta sottomissione e con precisione scientifica. Millimetrica, anche nello spostare i (pochi) mobili, come nell’atto di trascinare altre poltrone per accogliere gli accademici dentro la stanza in cui si sviluppa tutta l'azione drammaturgica. Quasi per paradosso, il professore entra in scena arrampicandosi da acrobata in camicia e mutande di un bianco fulminante a degli anelli sospesi per poi rifugiarsi in una pseudo immobilità sulla sua poltrona, privato delle gambe, proiettato nella sua lungodegenza di intellettuale che ha scritto un saggio degno di Laurea honoris causa che gli sarà conferita proprio a casa sua poche ore dopo. Saranno infatti gli accademici ad andare a casa sua e non lui nell’Università che gli ha assegnato l’onorificenza. In quanto lui non può (o forse non vuole) muoversi da quella stessa poltrona. Non è chiaro se in effetti sia handicappato, privato cioè dell'uso delle gambe oppure no. Nasconde e fa trapelare nella sua affabulazione ripetitiva, un cinismo che definire patriarcale e da delirio di onnipotenza , sarebbe far gioco a certe correnti femministe e da manuale psichiatrico del ventesimo secolo. Il Riformatore cioè il professore che scrive un Trattato sul miglioramento delle sorti del Mondo, che entra in scena come un funambolo aggrappandosi da atleta modello Iuri Chechi agli anelli, nutre nel suo affabulare da flusso di coscienza, un odio divertito pure verso gli accademici che andranno a fargli visita per onorarlo dei suoi studi mentre, da alcune sue azioni appena accennate, forse potrebbe riuscire anche a stare in piedi da solo. E’ stato questo: Il Riformatore del mondo, l'ultimo e ottimo spettacolo della Stagione 2023/2024 del Teatro di Prato visto al Teatro Fabbricone diretto da Massimiliano Civica, riconfermato da poco Direttore del MET per i prossimi tre anni. Il riformatore del mondo di Thomas Bernhard regia Leonardo Capuano con Leonardo Capuano e Renata Palminiello traduzione Roberto Menin voci Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano e Renata Palminiello sound designer Francesco Giubasso scene e costumi Andrea Bartolomeo light designer Gianni Staropoli Produzione Teatro Metastasio di Prato e Compagnia Umberto Orsini Prima Nazionale Visto a Prato, Teatro Fabbricone, il 12 maggio 2024
Foto di Andrea Bartolomeo
PESSOA- Since I've been me di Bob Wilson renzia.dinca Firenze “Quando comincio a lavorare. La prima cosa che faccio è illuminare lo spazio. Comincio con la luce Questo l'incipit a firma del regista e drammaturgo texano Robert Wilson a commento della sua nuova creazione artistica: Pessoa-Since I’ve been me (Pessoa-Da quando sono io) L’artista visivo, fra i maggiori sulla scena internazionale, ha allestito questa produzione in prima mondiale per il Teatro della Pergola di Firenze. Fortemente voluto dal direttore generale Marco Giorgetti (in co-progettazione con Theatre de la Ville Parigi, dove il lavoro sarà dopo Firenze), Wilson ha magistralmente lavorato su uno degli scrittori più insigni del Novecento Fernando Pessoa (1888-1935), avvalendosi della drammaturgia firmata da Darryl Pinckney, curandone la regia, le scene e le luci in un mix vincente per cui si può parlare di questo spettacolo, come di un esempio di Teatro totale. Ben sette gli attori in scena. Sette, come gli eteronimi (non pseudonimi), che il grande scrittore portoghese ha utilizzato per dare voci diverse e multiple alla sua scrittura e al suo pensiero creativo. Gli attori, infatti, hanno reso in scena una forma raffinata di plurilinguismo per un lavoro dal vivo, giocato sui registri di mimo, danza, canto in performance, quasi a commento e/o interfaccia rispetto alla cornice sulla quale Wilson ha ideato un bombardamento di luci suoni colori, creato dalla simbiosi fra azioni agite sul palcoscenico e impressioni che allo spettatore arrivano da un caleidoscopico immissaggio di proiezioni dal fondale per una inintermittente sequenza di luci cangianti: dal blu del mare con barche (un siparietto di Lisboa col suo affaccio sul mare e sul fiume Tago in emissario verso l’Atlantico), che ci accoglie in sala a luci accese, dove un Pessoa stilizzato nella figuretta in completo nero e baffetti alter ego di Pessoa (l’attrice Maria de Medeiros nota anche nel cinema per una parte in Pulp Fiction), sta immobile per accoglierci. Un Pessoa configurato un po' Groucho Marx da Dylan Dog, un po' icona di se stesso, trasfigurazione fumettistica del suo stesso soma. Poi in sequenza quasi una intro di Pessoa che introduce se stesso e i suoi alter ego, sbocciano in scena gli altri sé, sei attori ovvero sette con lui, in una esplosione di figure fisiche di controcanto, una proiezione di luci fra il blu, il rosso e il bianco cangiante, care alle atmosfere oniriche e surreali che sono i colori del cielo e del mare della città di Lisboa. Le rappresentazioni icastiche di Pessoa, i suoi eteronimi nelle forme dei sette attori in scena, si esprimono in 4 lingue: inglese, francese, italiano e portoghese. Le lingue con cui lo scrittore si è cimentato o è stato attraversato (ricordiamo che il traduttore di Pessoa è stato in italiano lo scrittore pisano Antonio Tabucchi con Ines De Lancastre), arrivano allo spettatore attraverso dei versi di Pessoa, tratti dal Libro dell’Inquietudine in sovratitoli in italiano. Al solito, quando uno scrittore così alto viene saccheggiato, o dal cinema o da altro, si perde in profondità lo spessore della sua scrittura. In ogni caso, uno spettacolo godibile. Da vedere Pessoa-Since I've been me di Robert Wilson regia, scene e luci Robert Wilson testi Ferdinando Pessoa drammaturgia Darryl Pinckney costumi Jacques Reynaud con Maria de Medeiros, Aline Belibi, Rodrigo Ferreira, Klaus Martini, Sofia Menci, Gianfranco Poddighe, Janaina Suaudea Commissionato e prodotto da Teatro della Pergola Firenze e Theatre de la Ville Parigi in coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Bolzano, Sao Luiz Teatro Municipal de Lisboa, Festival d'Automne à Paris in collaborazione con Les Theatres de la Ville de Luxembourg Visto al Teatro della Pergola (Firenze), il 3 Maggio 2024 Prima mondiale
Foto di Lucie Jansch
LIBERA Il titolo della nostra nuova stagione è Libera. Viviamo in un mondo “alla rovescia” in cui è in atto un rovesciamento dei Valori, portato avanti cambiando il senso delle parole. “Pacifismo” oggi significa “vigliaccheria”, “Onestà” “ingenuità”, “Diversità” “pericolo sociale”, “Solidarietà” “mancanza di senso pratico”, “Bene pubblico” “interesse privato”, “Complessità” “posa da intellettuale”, “Cultura” “spocchia”, “Buona Educazione” “mancanza di carattere”, “Libertà” “capacità di spesa”. A teatro sappiamo quanto sono importanti le parole e, se ci rubano le parole, ci rubano anche i sentimenti corrispondenti. La nostra nuova stagione vuole dunque essere libera e insieme un invito a liberare la parte migliore di noi, a non avere paura di dichiararsi umani, ad avere il coraggio di accettare e confrontarsi con la complessità paralizzante del mondo di oggi, a schierarsi per i Valori contro la legge del più forte. La piccola comunità teatrale, forse perché fuori dai radar dei grandi mezzi di comunicazione di massa, è ancora un luogo in cui si esercita la libertà di essere umani. A teatro, grazie alle storie che ci vengono raccontate, noi ci mettiamo nei panni di qualcun altro, e quando ci mettiamo nei panni degli altri, quando ascoltiamo le loro parole e le loro storie e non li consideriamo più solo “dei numeri”, nasce in noi la comprensione, la solidarietà, la fratellanza. Andare a teatro, oggi più che mai, è un atto di civiltà. Di difesa delle parole e dei sentimenti che aprono e salvano. MASSIMILIANO CIVICA, Direttore Fondazione Teatro Metastasio

sabato 23 marzo 2024

LIVIA GIONFRIDA per Franco Scaldati renzia.dinca Prato. Avevo seguito la parabola ascendente della giovane regista e attrice Livia Gionfrida fin dai suoi spettacoli coi detenuti-attori del carcere la Dogaia di Prato ( dove lavora di 15 anni con la sua Compagnia Teatro Metropopolare). Ricordo uno strepitoso allestimento di Otello dove l'energia in scena era palpabile come le sinergie fra gli attori-detenuti e gli attori professionisti. Le ventennali esperienze di visione di spettacoli in carcere (da Punzo a Pedullà) mi avevano segnalato che l'intercettazione con questa artista siciliana trapiantata a Prato, aveva la peculiarità di dissezionare un talento e una sensibilità per il Teatro Civile, il Teatro sociale (o Teatro d'Arte sociale secondo la definizione di Andrea Porcheddu), che avrebbe dato i suoi frutti. Certo, in brevissimo tempo, Gionfrida ha superato se stessa fino a vincere il Premio ANCT (Associazione Nazionale Critici teatrali) e il Premio Radicondoli dedicato al maestro della critica Nico Garrone. E ancora il Premio UBU per l'Inedito Franco Scaldati. Con Si illumina la notte, infatti, in prima nazionale dentro la cornice storica del Teatro Metastasio di Prato la stella di Gionfrida si è accesa di una luce speciale. Quella dell'incontro con Franco Scaldati, siciliano di Palermo come la regista, in una rivisitazione di un lavoro del drammaturgo da sempre vicino ai temi della marginalità: La Tempesta di Shakespeare. Questa riscrittura della regista mette in scena un paesaggio post guerra atomica (quanto è vicino all'attualità di guerre conflitti che avevano fatto dire al Papa Francesco non tanti mesi or sono: qui siamo alla terza guerra mondiale!). Lo studio per la realizzazione di quella Tempesta, risale al 2020. proprio i tempi e non metaforici della peste, dello tsunami insomma del Covid, in cui tutti indistintamente come essere umani, dovevamo inventarci una “ ragione di più per vivere, per volersi bene e... per dimenticare” ( testi Ornella Vanoni, dei nostri genitori-nonni, con Strehler con Giulia Lazzerini- Ariel ). E quindi la rigenerazione è possibile, plausibile. Ce lo dice con gioiosità leggera innocente l'Ariel- forse alter ego di Gionfrida, che cuce le scene del post atomico fra palco e platea, incoraggiando il poeta stanco, forse barbone (chi è ? forse il poeta di Mazara nelle vesti del fisico Majorana del gruppo Fermi romano, non più collaborazionista della Bomba a tirarsi su a collaborare per la rinascita). Perchè rinascono i morti i vivi le piante gli animali anche nel disastro climatico. Ariel c'è. E' nell'aria. Mette in-sieme, seduce, affabula. Come i bambini. E dove c'è: è speranza. Il lavoro è stato accompagnato nel suo svolgersi da Melino Imparato (già braccio destro di Franco Scaldati, attore in scena in un intreccio di visionarietà poetica rispetto ai sopravvissuti.Il linguaggio è un mix di siciliano italiano e napoletano mentre ci sono echi di Eduardo anche nella meta-testualità metafisica e tanto corrosiva fino a ribaltare gli spazi del borghese Teatro di Prato. Immagini davvero belle quelle scenografiche del gioco delle corde sul palco. Un lavoro apparentemente leggero. Quanto può essere profonda certa apparente leggerezza sulle corde dell'altalena di Ariel dove lo Spirito dell'Aria dondolava in regie milanesi per confrontarsi con la Poesie e il Pensiero.per volare sull'Infinito Visto a Prato Teatro Metastasio Teatro Metropopolare PRIMA NAZIONALE
Produzione Teatro Metastasio con sostegno di Armunia il 25 febbraio 2024 Regia Livia Gionfrida Drammaturgia inedita in omaggio a Franco Scaldati con Melino Imparato, Manuela Ventura, Daniele Savarino, Naike Anna Silipo, Rita Abela, Giuseppe Innocente Foto di Augusto Biagini

mercoledì 20 marzo 2024

Una mia poesia di nuovo su Italian Poetry della Columbia University New York poesie Sulla Guerra dedicata ad un artista pisano nel 2023 ( e con lui agli Artisti in perenne ricerca e fratellanza nella buona e cattiva sorte che ci accomuna come artisti in viaggio) Cinema Arsenale Pisa per Delio ora su Rivista internazionale universitaria I.P.

giovedì 14 marzo 2024

MARCO FILIBERTI renzia.dinca Montalcino(Siena).Marco Filiberti, regista, attore, drammaturgo, scrittore e sceneggiatore è protagonista del volume Alle sorgenti della bellezza pubblicato dalla casa editrice Titivillus diretta da Enrico Falaschi per celebrare i vent'anni di carriera dell'artista milanese ora anche cittadino della Val d’Orcia Patrimonio Unesco dell’Umanità . Il libro, corredato da una ricca scelta di foto di scena sia tratte da suoi lavori in cinema che in teatro, è stato presentato a Montalcino nel Teatro degli Astrusi che per l'occasione si è prestato anche all'allestimento di una Mostra di foto, manifesti, documentari audiovisivi, costumi. Nel Teatro degli Astrusi, un gioiello seicentesco arricchito da affreschi del '700, diretto già da alcuni anni da Enrico Falaschi con una vivace programmazione- si è tenuta la presentazione del volume. In presenza dell’Autore Marco Filiberti, è stato presentato il suo poliedrico e sfaccettato ventennale lavoro fra cinema e teatro a cura del giornalista e critico cinematografico Giovanni Bogani e da Enrico Falaschi. Segnalato al Festival del Cinema di Berlino e al Festival cinematografico di Venezia, Filiberti si è imposto alla critica internazionale per l’originalità del suo percorso artistico e di ricerca con film e corti dove ha imposto la sua personalissima visionarietà. Nelle interviste all’Autore di Bogani e Falaschi sono emerse, anche alla presenza in prima fila dei suoi giovani attori, le problematiche legate al cammino personale e di raffinata sensibilità di questo Autore dalla caratura internazionale. Intervallate alle domande a Filiberti si sono intrecciati spezzoni di sue opere fra cui il documentario Precedo l’aurora, Il “Parsifal” di Marco Filiberti di Dario Pichini e Federico Livi del 2023. Nello scavo della personalità artistica di Filiberti intervistato da Giovanni Bogani, si è intuita la straordinaria recezione del Paesaggio della Val D’Orcia (Montalcino ne è al centro come territorio con accanto Pienza e le crette senesi) e la particolare attitudine alla introspezione che in queste zone fra l’altro attirano un turismo legato, anche alla meditazione. Attualmente il regista sta lavorando su La Recherche di Proust in ambientazioni fra Milano e Parigi. La Mostra al Teatro degli Astrusi a Montalcino, sarà aperta fino al 23 Marzo TEATRO DEGLI ASTRUSI- Montalcino

martedì 5 marzo 2024

PAOLA LUCARINI POGGI In ricordo di Renzia D'Incà Ho conosciuto Paola grazie ad una sua poesia dall'incipit: Acqua oscura/ un raggio sulla superficie mi aiuterebbe... eravamo negli anni Ottanta. Mi fu recapitata da un professore di Pisa quando ero matricola all'Università in omaggio, forse-ad una mia precoce vocazione alla letteratura. La imparai a memoria. Poi, quando ebbi modo di conoscerla in un Salotto fiorentino, dove da Pisa, la mia anch'essa precoce iniziazione al giornalismo culturale mi aveva portata, davanti a lei- luminosa incorniciata da un mantello di volpe bianca, le sgranai sillabando i suoi stessi versi uno ad uno - la scrissi quando ero molto giovane molto giovane, commentò. Cominciò così l'assidua frequentazione fra di noi, una conversazione fatta di letture, ascolti in presenza fra Pisa e Firenze e il Castello di Compiano, dove ci incontravamo con altri amici di percorso intellettuale, per il Premio del PEN Club Internazionale con i soci nazionali ed internazionali PEN. Paola mi ha introdotto attraverso la sua poesia e alla sua poetica, alla Poesia e al mondo letterario nazionale, come medium: la congerie fiorentina della sua Associazione Sguardo e Sogno che per oltre venti anni ha animato e ospitato poeti e scrittori da tutta Italia e non solo. Mi ha insegnato in scrittura e nella vita, la cura della Parola, il senso fraterno della comunità poetica, la sorellanza di vissuti in armonia del cuore, dell'amicizia oltre ogni barriera di culture diverse nello spazio tempo L'ultimo suo messaggio a me, che spesso ora vivo in territori a lei cari, suggeriti da temi per me montaliani (Notizie dall' Amiata, per lei Santa Caterina da Siena Monte Giovi) e luziani, dove Luzi aveva casa (Pienza, le crette senesi, la Val d' Orcia) è di un mese fa. e come una benedizione celeste e terrestre (cit). E felice, ne sono sicura, di sentirmi, mi ha lasciato il suo testamento vocale: Renzia: fai una buona estate. Un saluto a Paola e il suo sposo Giovanni, compagno di arte e di avventure artistiche e spirituali

giovedì 5 ottobre 2023

LA GINESTRA: un superbo Mario Biagini renzia.dinca Firenze. Prova attoriale insolita e coraggiosa della Canzone La Ginestra . Il Fiore del deserto di Giacomo Leopardi, da parte di un attore come Mario Biagini, anche regista e pedagogo già allievo di Jerzi Grotowki al Centro Studi di Pontedera (1986-1999) e in seguito con Thomas Richards, erede del pensiero del genio polacco al Centro Studi Grotowski, purtroppo chiuso dal 2022. Abbiamo visto, in case private-Casa Argelli-Taliani, dove Chiara Argelli vive dopo essersi formata come attrice all'Accademia Silvio D'Amico, ora titolare della Libreria Roma a Pontedera, uno spettacolo curato da Biagini-Richards. L'ideazione artistica denominata: Open Program, era una fioritura di esperienze con giovani artisti internazionali in cui la scuola del Corpo-Voce grotowskiana ha avuto nella storia della formazione di artisti in ospitalità usciti dal quel parterre di disciplina ferrea e lucidissima, una straordinaria passione e fioritura di talenti. Open Program si è trasformato in lavoro internazionale sul canto e sulle tradizioni etniche delle e sulle parole del corpo-voci internazionali. Mario Biagini ha chiuso quella esperienza per poi fondare lo scorso anno, con altri artisti, l'Accademia dell'Incompiuto. Interprete in a solo (con collaborazione di Felicita Marcelli) del Canto La Ginestra di Giacomo Leopardi, da tempo sviluppata in spazi di Teatri nazionali ed a Settembre ospite dell'Accademia della Crusca nella Villa Medicea sede della Crusca a Sesto Fiorentino, a Biagini compie una lettura dei passi de La Ginestra in due passaggi. Nel primo attraversa una lettura che raccoglie numerosa trattatistica di critica letteraria che ha indagato e indaga sui passi del Canto ( ultima fatica di Leopardi nel 1836, in seguito pubblicata da Ranieri, suo ospite napoletano, quando in città scoppiava epidemia di colera), a commento, mentre nella seconda parte della performance l'attore recita a memoria l'intera Canzone in una escalation di forte immedesimazione col testo che commuove e ne esalta l'attualità. Infatti Biagini dichiara che la lettura e lo studio sulla Ginestra, sono scaturiti dai lunghi periodi che ci ha costretto e solo pochi anni fa il lock down da Covid. Biagini ha rispettato una tradizione di interpretazione attoriale di poesia ( rari esempi in Italia : Carmelo Bene e Leo de Bernardinis, alcune attrici su Merini). Un sublime dettato, davanti a una platea attenta e con tanti giovani studiosi di somma Letteratura italiana . A seguire una Conversazione fra l'attore con gli accademici: Vittorio Coletti, Claudio Giovanardi ed Enrico Testa, con Paolo D'Achille, direttore dell'Accademia sul linguaggio della Ginestra Visto all’Accademia della Crusca Sesto fiorentino l’11 settembre 2023

lunedì 28 agosto 2023

LARI FESTIVAL DEL SUONO. IL SUONO E' VITA IL RUMORE LA UCCIDE Non dobbiamo isolarci dal rumore, dobbiamo eliminarlo renzia.dinca Lari – Santa Luce (Pisa). Il Festival Collinarea, giunto alla 25esima edizione ( 11-29 Luglio) nella cornice medievale delle colline del Borgo di Lari, ha proposto un parterre di efficaci proposte su un tema alquanto attuale quanto forse poco ancora esplorato: l'inquinamento acustico, con una serie di incontri a cura di scienziati e ricercatori ospiti del Festival. Molto nutrito il carnet delle proposte. Oggetto degli incontri avvenuti presso il Teatro comunale di Lari per la Sezione Suono con concerti e lezioni e performance, Per la Sezione Multidisciplinare danza con due prime nazionali: IntimInnesti in Lea-un'altra giornata emozionante, Barbiero Buscarini D'Angelo in Cavalli e Sartoria Caronte in Lucy Rox Cabaret Evento clou come del resto lo scorso anno fu con Butterfly di Giacomo Puccini, in Prima nazionale: Turandot-Ombra della luce, rivisitazione dell'omonima opera di Puccini in chiave contemporanea. Un lavoro di gruppo, un'opera di rara complessità che ha coinvolto competenze multiple e poliedriche in una sfida che nasce dalla ideazione dei due direttori artistici di Collinarea: Loris Seghizzi e Mirco Mencacci. Le maestranze entrate nel progetto che ha visto una contaminazione coraggiosa fra i generi di lirica, musica pop sperimentale, teatro, video, suono e danza hanno animato tre spazi del Borgo dove in simultaneità-il pubblico ha potuto assistere sia rimanendo nella stessa platea sia spostandosi fra i tre spazi utilizzati per le performance (Orchestra del Teatro Goldoni di Livorno diretto dal Maestro Mario Menicagli con una banda rock di sei elementi, un coro teatrale di 25 persone, il coro CLT Coro Lirico Toscano di 40 elementi e 11 attori. Tutta questa straordinaria complessità per tradurre la Turandot di Puccini coordinata dalla regia di Studio SAM diretta da Nicol Lopez Bruchi, Marco Ribecai e Mirco Mencacci. In questo scenario naturale-artificiale del Borgo di Lari, l'edizione di Turandot, si è fusa e con-fusa con le più belle canzoni di Franco Battiato ( di fatto l'esperimento era tale fin dal titolo Turandot-Ombra della luce)

domenica 15 gennaio 2023

ECUBA, LA CAGNA NERA da Le Troiane di Euripide di renzia.dinca Buti (Pisa). Maestosa. Dominante. Macabra e sublime Giovanna Daddi in monologo, in questa prova d'attrice dura e insieme celestiale nella sua incarnazione di sposa, madre, sorella, figlia vittima sacrificale (una Antigone per analogia-contrapposizione, ma solo anagrafica), delle guerre che icasticamente entrano sulla scena spoglia del mondo archetipico che va dalla classicità greca alla più attuale contemporaneità. Aggrappandosi al testo di Euripide in qualità e personificazione di Ecuba e liberamente tratta dalla tragedia Le Troiane, per l'adattamento drammaturgico e la regia di Dario Marconcini, a testimoniare con la propria fisicità solenne di nata femmina, e/e ma anche Regina, il dolore della perdita, il lutto, la disperazione che le guerre d'ogni tempo d'ogni cittadinanza guerre come tabu (Alberto Moravia così le aveva immaginate: esempio di profezia che non si autoavvera), segnano la micro e la macro storia di ogni popolo stato religione sulla faccia della Terra dove il dominio della ferocia dell'homo hominis lupus mai si accontenta e ancora, di fagocitare lutti e dolore e sangue. Dopo quasi un anno di guerra intestina di cui sentiamo l'eco delle bombe sui civili in Ucraina e in Donbass (come sentivamo a Trieste la stessa eco nella martoriata allora Jugoslavia), è ancora tempo di gridare lo strazio e la pena delle vittime. Cosi lo esplicitano facendosene carico idealmente e in scena la coppia Giovanna Daddi e Dario Marconcini in un pas a deux così rituale così brechtiano (secondo lo stile consono allo spazio, alla storia, ai protagonisti maestri di Teatro che provengono a loro volta dai maestri di Pontedera: Grotoski, il Teatro Povero, Brecht), cosi costruito addosso ad una Ecuba dolente che piange la sua casata, i figli e che sta per essere “deportata” come schiava come da testo euripideo per trasformarsi in cagna, cagna nera e consegnarsi nel distacco in mare prigioniera dei nemici vittoriosi a Ecate. Ecuba, figura mitologica e come l'archetipo che ci arriva dalla nostra stirpe mediterranea, donna fiera, consapevole ma composta davanti alla salma del figlio bambino ucciso dalla guerra. Cosi ci si presenta nello spazio Sala Di Bartolo ( in questo momento il Teatro di Buti è chiuso per restauri). Come non pensare ai bambini restituiti dai nostri mari del Sud alle madri o ai soccorritori di Lampedusa, come non lavare le immagini dei telegiornali sulle madri ucraine, (e anche russe, nel Donbass parlano la stessa lingua), che seppelliscono i propri figli in guerre incomprensibili, ideologie guerresche malate, come le follie psichiatriche di chi detiene il pulsante rosso del Potere in Africa come in Asia come in Vietnam come: ai confini della “nostra” Europa. Nello spazio dove si erge, respiriamo il monologo di Ecuba: lei sola in scena. Asciutta, regale nella sua disperazione di identità femminile e negata. Vestita a nero lutto piedi nudi vecchia sola regina senza più regno né vestigia, con alle sue spalle una città devastata in una foto- proiezione in bianco e nero. Nel climax, quando sembra non possa accadere davvero più nulla alla “ Cagna” , vittima-carnefice del suo destino famigliare, compare in un tripudio di fogli gettati sul palco: Dario Marconcini che, in un gesto situazionistico fulmineo, inaspettato entra in scena ed esclama ex abrupto, quasi deus ex machina: non deve piu succedere tutto questo. Siamo di fronte ad un alto Teatro. Una risposta subline e forte di Poesia in scena. E come non sarebbe potuto esserlo in una produzione de
lTeatro di Buti? Ecuba, la cagna nera da Le Troiane di Euripide con Giovanna Daddi drammaturgia e regia Dario Marconcini scene e luci Riccardo Gargiulo e Maria Cristina Fresia musica da Le sacre du printemps Stravinskij Produzione Associazione Teatro Buti Visto a Buti ( Pisa), il 7 dicembre 2022

sabato 1 gennaio 2022

renzia.dinca Il più bel Cantico fra i cantici (il Cantico nella traduzione di Guido Ceronetti), è il nuovo studio creato dalla coreografa Flavia Bucciero. Una produzione del Consorzio Coreografi Danza d’Autore della rete delle residenze artistiche Toscane e Movimentoinactor_Teatrodanza. Nello spazio pisano Teatri di Danza e delle Arti dove ha sede la Compagnia diretta dalla coreografa di origine napoletana, abbiamo assistito ad un assaggio, il cuore germinativo, di un progetto di teatro-danza performativo con tre danzatori e interpreti Luca Di Natale, Pauline Manfredi e Federica Modafferi con musiche dal vivo di Antonio Ferdinando Di Stefano. I temi della narrazione creativa per corpo e voce sviluppati magistralmente fin da questa prima prova aperta al pubblico (come da consuetudine nello spazio della Compagnia), corrispondono in maniera esemplare alla trascrizione del Cantico secondo la traduzione di Ceronetti, scrittore, critico e intellettuale fra i più prolifici e insieme appartati della sua generazione. Un primo nucleo tematico è quello degli Amanti, del desiderio del sesso delle nozze della passione carnale. Lei (Federica Modafferi) è Sorella e Sposa (Madre). Tramanda al femminile l'amore romantico. Lui è pastore e guerriero- Lui (Luca Di Natale), la cerca ma è anche e insieme l'Assente. Lo spazio tempo in cui si inserisce lo storytelling della coppia è quello della Natura e della ricerca dell'altro da sé. Preponderanti gli elementi fisici sia come presenze animali sia come erbe e piante, una sorta di Giardino dell'Eden prima del peccato. Una ridda di analogie, comparazioni, figure retoriche si susseguono: Lei è colomba lui gazzella o cerbiatto. Lo sfondo dell'idillio amoroso sono le montagne le colline. Essenze di profumi mirra e incenso l'ambientazione è quella del Libano, il Libano come zona “altra” con tutti gli elementi letterari dell'esotismo. La promessa sposa viene da terre altre ( cit.Tu sei l'oasi sprangata Sorella mia e sposa sorgente turata fonte sigillata I tuoi scoli sono un Giardino paradisiaco di melograni) Elemento di sintagma fra i due è una sorta di Coro che nella scrittura poetica si rappresenta in forme di ripetizioni come ritornelli ( cit.-Alzati! (lui)-Non risvegliate il mio amore se non vuole-O figlie di Jerusalem- coro per le nozze-l'incontro) Il secondo fulcro tematico del Cantico rimane tuttavia quello dell'Assenza ossia del distanziamento fra due Amanti. Lei cerca Lui vagando per la città perchè: la mandragora manda odore (citazione essenziale per il nuovo lavoro di Flavia Bucciero a distanza di circa vent'anni anni dal precedente, uno dei molti allestimenti curati dalla danzatrice e regista, che si ispirava proprio al Cantico). Troviamo qui gli elementi magici dell'esoterismo e del dionisiaco. La mandragora è pianta velenosa collegata a rituali del sesso, dell'afrodisiaco. Sono rituali ancora oggi legati al piano della stregoneria per gli effetti narcotici (senza scomodare Machiavelli che ne ha scritto una commedia), noti in tutta la zona del Mediterraneo, del Nord Africa e Medio Oriente, costituiti da riti magici e filtri amorosi per riavvicinare l'amato (cit. L'amore è duro come la morte. Il desiderio è spietato come il sepolcro) Un altro dei temi ricorrenti del Cantico quello di amore e morte, una ulteriore pista di sviluppo sulla riflessione di un tema caro al Romanticismo da Shakespeare a Goethe Un terzo e ultimo passaggio tematico del Cantico, una sorta di ritorno ad anello del tema del Corteggiamento: come una danza della Primavera ( tema caro alla coreografa che ne ha sviluppato un suo potente lavoro tratto da Stravinski), narra del risveglio della Natura che sempre si rinnova con la stagione ( all'insegna di: cit alzati mia bella) E qui entra in scena il corpo della Primavera botticelliana (Pauline Manfredi…) in una danza stavolta pura, non segnata da canti o commenti in versi se non quelli commentati musicalmente dal maestro Di Stefano al piano, al flauto alle percussioni in un trionfo di fisicità sonora. L'ultima sezione del primo studio Il piu bel Cantico fra i Cantici, termina con l'avvento del principio della primavera: i fiori della vigna (torna il dionisiaco) il fico, la tortora, la melagrana in un simbolismo classico. Torna quindi l'Amato (cit. oh amato mio che fuggicome la gazzella o il cerbiatto appari sulle alture odorose), in una danza dionisiaca con azioni quasi d'impronta orientale derviscia Attendiamo quindi gli sviluppi artistici di questo primo esperimento che ha già dato buoni risultati creativi come confermato anche dal successo decretato dal pubblico nella discussione seguita alla visione dello spettacolo. Numerosi sono i riferimenti alla attualità di questi due anni di Covid che hanno lasciato il segno nelle relazioni umane per la mancanza di contatto fisico dovuto al distanziamento imposto dal lockdown. In scena questa dinamica è stata sviluppata attraverso una modalità di azione in cui i due danzatori recitavano e insieme danzavano posti su due pedane distanti tra loro e monologanti. Questa atmosfera di distanza è stata sottolineata anche dagli elementi scenografici di Delio Gennai e dalle luci curate da Riccardo Tonelli Visto a Pisa il 18 dicembre 2021

domenica 28 novembre 2021

Pinter e Latini al Francesco di Bartolo renzia.dinca Buti (Pisa). Finalmente riaperto lo scrigno del Teatro Francesco di Bartolo a Buti sotto la direzione di Dario Marconcini in quella da lui definita in una laconica nota di direzione artistica: “stagione breve” una programmazione felice anche se di poche date con artisti di punta del panorama nazionale fra ottobre e dicembre. Una stagione che soffre della chiusura a livello delle sale di teatri e concerti dal marzo 2020 causa Covid. Un azzardo, dunque. Un azzardo sulle impossibili possibilità che ancora l'ideazione artistica con pochi mezzi economici ( ma questa è altra storia), può regalare a un pubblico finalmente in sala, anche e se ancora con estrema prudenza di fruizione negli spazi e nei contatti. E cosi Daddi-Marconcini hanno di nuovo ripresentato Pinter in Paesaggio. L'ultimo Pinter della coppia che in repertorio ha l'Autore nelle sue memory plays era: Voci di famiglia(2015 con Carucci Viterbi in scena). Il lavoro spiazza immediatamente lo spettatore: l'Uomo ( Marconcini) , la Donna ( Daddi) sono seduti in palco dando le spalle alla platea. E questo stato durerà per la gran parte della piece. Ciascuno racconta come in flusso di coscienza, memorie di vita. Lui di gite col cane verso un laghetto, lei di un amore sempre vissuto dentro uno iato fra conscio e inconscio su uno spazio marino. Lo spazio comune della coppia che ci parla quasi in forma confessionale, è una casa borghese con libri e divani in stile british floreale da dove si affacciano nella loro affabulazione non dialettica su un giardino quasi onirico. La coppia pur di spalle, rivela subito una anagrafe avanzata-in proscenio un foliage di foglie secche di alberi d'autunno tipico di questa stagione. La fascinazione della non dialettica fra i due soggetti della coppia svela e rivela la contiguità di spazi e corpi e insieme la discrepanza dei vissuti interiori o forse e solo delle memorie che sopravvivono alle vite anche comuni di un marito e moglie in solitudine di coppia. Poi lo sguardo d'emblée cambia: i due monologanti girano la sedia e si rivolgono al pubblico. Sorge domanda: siamo quindi e davvero ritornati ancora a Teatro dal vivo? In uno spazio pubblico dove l'attore lascia la propria dimensione privata in cui si è richiuso in cui anche il pubblico si è rinchiuso per due Stagioni di fila per finalmente poter far circuitare l'energia unica e irripetibile di un uno spattacolo dal vivo? Con uno sberleffo finale Dario Marconcini rivolta Pinter piegando il finale alla Commedia dell'arte. Un guizzo inaspettato, ironico e spiazzante. è Capitan Spavento. E la sua Compagna Giovanna Daddi si trasforma nella Morte. In questa stessa Stagione del Teatro di Buti un Roberto Latini in una versione ( dopo quella vista a Prato della Prima di Metastasio di Armata Brancaleone) di Hamlet Machine di Muller). Ne scriveremo a breve PRIMA ASSOLUTA Visto a Buti Teatro Francesco di Bartolo, il 7 novembre 2021