giovedì 1 maggio 2025

Gentile Renzia, ho letto Bambina con draghi e L’assenza e come sa non è facile impratichirsi subito di una voce poetica nuova, valutarne l’originalità, la portata, ci vorrebbe del tempo, ci vorrebbe della lentezza, e poi non voglio valutare niente e nessuno, ma volevo solo dire che l’ho sentita la sua voce e anzi direi che ho intravisto un suo mondo. E che non mi sono sentito estraneo a quel mondo, anzi. Ci sono entrato volentieri. La letta infatti rilassandomi, e cioè l'ho fatto non solo e non tanto, come accade spesso in questi casi, perché si sa "qualcosa devo dirgli/le al poeta, alla poeta". Le ho lette divertendomi le sue poesie, ecco. Sì, trovo che siano a loro modo poesie divertenti. Quel che ho capito è questo: c’è un soggetto che prova forti sentimenti (che hanno a che fare con i "legami") e che spesso a provare quei sentimenti si ferisce, si fa male, e però ecco può anche sorriderne. Invece che piangerne ne sorride, sì. Sì ci ho sentito un bel po’ di ironia nelle poesie. In L’assenza c’è anche un gusto esplicitamente carrolliano che a me è piaciuto molto. Ecco questa ironia ha a che fare con il senso e gusto del paradosso logico, con il piacere di rovesciare sempre la prospettiva, con il piacere di azzeccare certi aforismi, ma anche e molto con il gioco di parole, con assonanze, consonanze, calambours. Con un forte senso per la materia fonica, musicale della lingua, insomma. Ma il bello è che questo senso ludico-poetico si combina con un senso drammatico della vita, delle relazioni e soprattutto delle relazioni d’amore, inteso in senso lato. C’è come un soggetto che sanguina d’amore e mentre sanguina fa dello spirito e dello spirito di buona qualità e niente affatto difensivo. Una roba tipo una giornata che piove e però c’è il sole. Ecco l'effetto. Come se il soggetto giocasse a sabotare un po’ le sue confessioni, i suoi drammi privati. Per dire solo che ho letto con piacere i suoi testi, facendomi stupire, ballando un po’ con la mente intorno alle parole. Ecco mi rendo conto che sono solo impressioni ma sono impressioni vivaci che volevo riportarle meglio che potevo. Buon fine settimana Renzia, per intanto, Stefano da una lettera privata di Stefano Brugnolo, professore ordinario Facoltà di Lettere Università di Pisa

domenica 20 aprile 2025

ABRACADABRA Uno spettacolo di magia renzia.dinca Prato. Cosa fare (e/o non fare) per esorcizzare la morte di una persona cara, in questo caso la propria compagna di una vita. In teatro si può dire e fare, tutto perché tutto è possibile nella magia delle possibilità narrative e d'invenzione artistica. Perché non è tanto cosa ci succede di drammatico, di imprevedibile, di tragico, ma quanto e come siamo in grado di re-agire a questi eventi a cui tutti siamo suscettibili, attori e interpreti nella vita reale, a confrontarci col principio di realtà, direbbe Freud. Il teatro, un certo tipo di teatro che non è intrattenimento, ha più a che vedere con la filosofia che con l'arte in senso generico. Questo uno degli insegnamenti di un maestro professore di teatro dell'Università di Pisa Fernando Mastropasqua. In questo nuovo lavoro di Babilonia Teatri (Premio UBU 2011), che ci hanno abituato a scandagliare anfratti bui della contemporaneità (uno per tutti il lavoro Pinocchio -Il Paese dei balocchi Casa dei risvegli Amici di Luca con in scena tre persone, uscite dal coma in percorso teatro-terapeutico, 2012), tabu dei tabu, specie in questa contemporaneità dove tutto deve essere: bello giovane ricco cinico smart figo. In piena era trump e rigurgiti di berlusconismi. Il manifesto dello spettacolo vede Valeria Raimondi per strada in cammino in zone di campagna. Sarà un non luogo del lombardo-veneto o altre zone terrestri campestri rupestri l'Emilia, una valigia firmata Topolino con Enrico Castellani dietro a lei con maglietta e jeans. Sulla maglietta un logo: Freedom e lui che salta su se stesso. Da dove si scappa? Dalla morte? Dal viaggio della vita? Si scade nella rimozione della morte, ci si trovi ad affrontarla muso a muso. Però si potrebbe affrontarla con la magia. Tipo: esiste? Non esiste la magia. E questo è un paradosso logico. Per questo viaggio da miracolati in vita, Babilonia ha scelto una drammaturgia e una presenza scenica di un noto illusionista, che ha girato i 5 continenti. un mago insomma: Francesco Scimemi che della sua arte ha fatto un lavoro anzi una professione riconosciuta a livello internazionale. Un sottotesto dove la compagna di una vita, muore per un tumore di soli, si fa per dire 8 millimetri che l’affabulatore Scimemi, che occupa per un’ora l’intera scena con i servi di scena Raimondi e Castellani che lo supportano nell’auto-narrazione (anche monologanti in loop), fa da contro sipario ad azioni sceniche dove il mago Scimemi fa apparire e scomparire la sua compagna: un’iconica Emanuela Villagrossi esile, esangue come l’abbiamo sempre conosciuta di rosso vestita come il ricordo erotico, la sua figura, il suo vestito rosso della compagna che non c'è più. Scimemi ci accoglie in sala regalandoci 4 carte. Le francesi E poi? poi Abracadabra ossia: che cosa sta succedendo? le carte si sono confuse, scomposte, il mago ci guida nel suo percorso interno-esterno e ce le fa strappare. Come il puzzle della vita che compone e scompone a volte tragicamente e contro ogni logica razionale le relazioni fondamentali strappando le persone fisiche alla vita di sempre. Il clown-prestidigitatore vorrebbe far tornare a lui e al mondo della e con la sua compagna. Ma questo è assolutamente impossibile. Perché la realtà supera ogni fantasia. Esorcizzare, applicare in scena l’esercizio della elaborazione del lutto. Ci entra anche una riflessione (?) nello psicodramma di Abracadabra dello psicoanalista Recalcati: le stelle rimandano luci dopo che sono morte per millenni. Quali nostri millenni? I nostri pochi anni di essere al mondo in quanto umani? Non quelle delle stelle o magari pure anche stelle comete, decisamente più durature nella loro scia fintamente luminosa e pseudo romantiche o semplicemente delle nuove scoperte della fisica sullo spazio-quantico delle nove dimensioni della realtà che, forse, segna nelle frontiere della fisica quantistica il nostro passaggio. E questo pensiero filosofico lacaniano può consolare una perdita esistenziale unica e forse mai sostituibile in un mondo della riproducibilità tecnica e della adolescenziale sostituzione di un corpo-donna (o uomo) con un altro? davvero interessante il lavoro di Babilonia con un attore-non attore come Scimemi, abituato al palcoscenico dove taglia letteralmente a fette nel gioco funambolico, la sua compagna in scena la bravissima Emanuela Villagrossi corpo evanescente puro, nel gioco illusionistico della scatola che conosciamo fin dagli anni Settanta in Tv e sagre di paese. Compagna che poi ricompare. Dove lui piange, però per finta (forse), mentre si ustiona dentro, con un dispositivo di lacrime che schizzano accompagnato fino in platea dove scende dal palco insieme con la coppia che lo sostiene, i Babilonia, sia in palco che in platea. E questa è una modalità teatrale e anche molto psicoanalitica magari in stanza di analisi, di reazione ad un lutto. Ci sono altri modi e mondi di affrontare e da vivi l’osceno della morte. Non in palco e anche in palco. Le morti quelle violente e shakesperiane, per esempio. O le ispirate da tragedie greche. O alla Moliere. Perché la morte è sempre oscena. Di per sé o come per le circostanze, che accade e magari non per vecchiezza. O quella che accade per malattie magari fulminee. Bisogna affrontarla o in senso comico o tragico. Qualcuno in platea se n’è andato prima della fine dello spettacolo. Di fatto la morte è l’unica delle possibilità per cui tutte le altre sono tutte possibili (Heidegger) e rimuoverla è un atto umanissimo. In questo Abracadabra dove anche la scelta dei brani musicali ricorda in toto una vicenda intimistica, quella della coppia Scimemi con la sua compagna, il registro volta verso la reminescenza surreale patetica, delicata, con la playlist, probabile colonna sonora della coppia, da Ivano Fossati Bella non ho mica vent’anni e per finire con David Bowie in Lazarus, sua ultima ricerca e lascito testamentario ora ripreso da Manuel Agnelli che sarà in concerto alla Pergola a Firenze fra pochi giorni In questi ultimi pochissimi anni un progetto del MET curato da Elisa Serianni Da vivi. Il miracolo della finitezza con la partecipazione attiva di medici, attori, persone di e da Prato e spostato anche a Pontedera Teatro Era, sembra essere un epitome di questa ricerca E come da indicazione poetica sancita in programma Abracadabra: Nascere è una magia. Morire anche. La morte è la sparizione per antonomasia. E’ la magia più grande: sparire per sempre Babilonia Teatri con Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Francesco Scimemi, Emanuela Villagrossi scene e costumi di Babilonia Teatri Produzione Teatro Metastasio di Prato Prima assoluta Visto a Prato Teatro Metastasio il 13 aprile 2025

martedì 15 aprile 2025

ODISSEA MINORE per un'educazione della frontiera renzia.dinca Prato. Una generazione nel futuro (non scritto) di una generazione che conosce solo la frontiera. Questo il messaggio che la Compagnia Odissea minore ci sollecita a comprendere e recepire (e completamente senza retorica): ci sono centinaia e migliaia di bambine e bambini che con le loro famiglie ci provano, da camminanti, invisibili, a attraversare le frontiere per poter cercare di raggiungere il confine dell’Europa con le polizie a fiato sul collo. Pagando salati conti ai trafficanti e rischiando respingimenti, botte ed anche torture. Tant'è che più vie del mare per l'Europa sono quelle dei barconi e delle carrette (taxi?) del mare, ma oltre a queste c’è chi sceglie o è costretto a raggiungere le frontiere dell'Europa attraversando la rotta balcanica attraverso Turchia, Grecia, Bulgaria, Romania, stati dell’ex Jugoslavia fino alla Croazia. Mentre come corrispettivo non oggettivo ma diabolico, ci sono famiglie in Italia e in Europa attualmente viventi, che la guerra l'hanno vissuta attraverso narrazioni di nonni e genitori, oppure-spesso chi la guerra l'ha vissuta sulla propria pelle e tornato indenne no, ma salvo, non la raccontano ai più piccoli, per preservarli dall'orrore vissuto. E' stata anche questa la seconda guerra mondiale che ha portato il nostro Paese alla redazione della Carta Costituzionale del 1948, che ancora e ancora più si riverbera in questi tempi grami dove lo spauracchio dell'atomica, dei dazi di Trump al secondo mandato dopo un tentativo di colpo di Stato, ancora ci fanno patire il Novecento, secolo breve con queste derive pericolose, febbrili dinamiche dei primi vent'anni del secolo Duemila. Dentro questa opacità dove azzurro non si vede con la guerra alle porte di Russia e Palestina, ché l'Europa ai suoi confini è anche questo e molto altro rispetto alle democrazie proprio nel rispetto legislativo e del diritto internazionale acquisito con le Carte Internazionali europee, si alza uno sguardo giovane, coraggioso, intelligente quello della Compagnia Odissea Minore (richiami a Odissea nello spazio film 1968. il film nello spazio-tempo? odissea perchè si passa dai confini attraverso la Grecia di Odisseo-Ulisse, per arrivare dalla culla del Mediterraneo fra Siria devastata da guerre e popoli nel Medio Oriente dominati dall' ISIS in fuga per raggiungere l'Europa? però ci vuole il passaporto, il visto per passare dopo mesi di cammino sulla via balcanica per entrare in Europa. Un visto un passaporto che dai Paesi d'origine è carta straccia. perché si tratta non di un docu-film questo ideato da Odissea Minore: i giovani artisti Miriam Selima Fieno, Nicola Di Chio, Christian Elia, che in teatro hanno deciso di espandere e dilatare la loro esperienza e che il teatro lo praticano bene davvero, scegliendo di filmare in un viaggio pericoloso, e raccontare, da reporter di guerra per poi restituirla al Teatro, l’esperienza di cosa accade sui fronti di guerra, al di là delle frontiere europee lungo la rotta balcanica Andare e filmare i fronti di guerra attuale: ci vuole coraggio e abnegazione. E protezione, almeno dalle Ong, dalle ambasciate. E rischiando, come è successo, di essere portati in caserma. Il docu-film, proiettato sul fondale è divenuto un dispositivo di drammaturgia, con in scena tre degli attori-documentaristi grazie alla produzione in prima assoluta del MET diretto da Massimiliano Civica oramai da parecchi anni e riconfermato, è appassionatamente ultra contemporaneo in coerenza di scelte artistiche: è un tema dove si fonde e confonde la capacità e intelligenza di professionismi che restituiscono in scena la contemporaneità di popoli senza diritti, senza tetto né legge. Oltre alle vicende narrate di profughi ODISSEA MINORE: tante le fascinazioni di questo lavoro che è diario di viaggio di artisti Miriam Selima Fieno, Nicola Di Chio, il giornalista Christian Elia, la documentarista Cecilia Fasciani, una drammaturgia che intercetta giornalismo narrativo, storytelling attoriale, cinema. E insomma anche questo, ora, è lavoro, è testimonianza in presa diretta. è teatro. Davvero. Con una foto emblematica che sveglia le coscienze di chi ancora vivo e testimone, è del bimbo siriano Alan (Aylan Kurdi tre anni fotografato, che sembra addormentato sulle spiagge, in realtà a pancia in giù perchè annegato), che aveva fatto il giro del mondo nel lontanissimo 2015 sfuggito con la famiglia dall’ ISIS. Con un comunicato della BBC che scrive” Quello fu uno di quei momenti di cui l’intero pianeta sembra interessarsi” ODISSEA MINORE uno spettacolo di Miriam Selima Fieno, Nicola Di Chio e Christian Elia drammaturgia Christian Elia e Miriam Selima Fieno regia documentario, riprese e video editing Cecilia Fasciani scenografia virtuale e light design Maria Elena Fusacchia Produzione Teatro Metastasio di Prato Prima assoluta Visto a Prato, Teatro Fabbricone, il 6 aprile 2025

martedì 8 aprile 2025

Io non sono il mio sintomo di Renzia D’Incà Recensione di Maria Lenti Pubblicato il 8 Aprile 2025 di Redazione Poeta e narratrice, saggista e autrice per il teatro, Renzia D’Incà è di nuovo in libreria con poesie dal titolo subito enigmatico e intrigante, così come la poesia eponima: «Io non sono il mio Sintomo / sono il mio Stile, il che mi rende irresistibilmente SS // seduttiva adorabile odiosamata stronza / tanto io vado per la mia strada-adieu / e chi mi ama non mi segua alé // conosco un uomo di me / assai più danneggiato / ma ahimè parlar non posso / del peccatore-e neanche del peccato» (p. 69). Un dentro e un fuori non combacianti? L’apparenza e la sostanza? Il desiderio e il suo riscontro? Il pensiero e l’agire? Potrei continuare con gli interrogativi divergenti o confluenti, in ultima analisi, in constatazione o in altra domanda: sono io in questo tempo, oppure chi è con me nei giorni di questo tempo? Posto che quell’io ci/mi riguarda come accade sempre nel pensiero che raccoglie la propria linfa da una linfa anteriore e posteriore al formarsi di essa: la poesia, si sa, è conoscenza, ma è anche reinvenzione, spostamento da sé, ritorno nel sé della vita reincarnata dall’esperienza, ridata poi in pensieri. Nel caso in versi. Così, nell’andamento snodato anche in citazioni, supportato qua e là dai “fantasmi” di viaggiatori, i propri simili, precari di un quotidiano andare, da tempi verbali al passato (mentre prevale il presente indicativo), da assonanze e rime (il montaliano Bufera ha l’efficace “annera”), da strofe di tre versi brevi, da soluzioni stilistiche non usuali, Io non sono il sintomo rende un andamento dei giorni odierni accidentato, deflesso, difficile da dire perché difficile e doloroso è doverci stare: ciò nonostante amato nel suo esserci e desiderato in cambiamento. Una poesia, questa di Renzia D’Incà, da centellinare per sentirne il “fiato”, “il respiro vitale”, per vedere come dalla diversità linguistica (per tutte la poesia In una zona rotta dal silenzio, pp. 78-80) esca la visione di un mondo squinternato, ma ancora con la richiesta, magari tacita, di essere rimesso in differenti quinterni vivibili, ritrovabili con la memoria di un bene già prefigurato o di un simbolico da inventare. E valgono anche, per quest’ultimo aspetto, i richiami a Stendhal, Vasari, Schubert, a Ermete Trismegisto (in exergo), la citazione di Fabrizio De Andrè.. Coniugato, questo mondo, con la malinconia propria di chi lo vorrebbe diverso dall’inesorabile precipitato massmediale, di chi lo vive però mai fuori dalla speranza, di chi sa essere, il deserto, una terra possibile di vita altra dall’usuale: « …tu dentro mortifera voliera / mentre io volo ancora, papi / come cincia allegra con le cincie / che setacciano la polpa dell’albero…», (p. 44). Con qualche illusione che fa intravedere, scrive Ottavio Rossani in clausola alla sua prefazione, «…una felicità composta, leggera, nascosta.», (p. 8). Renzia D’Incà, Io non sono il mio sintomo, I Quaderni del Bardo Edizioni, 2024

lunedì 31 marzo 2025

L' INFAMANTE ACCUSA DI ASSENZA renzia.dinca Prato. E siamo sempre nel mondo della satira che sfiora il grottesco (come in Kafka ne Il Processo) in questo lavoro di Oscar De Summa L'infamante accusa di assenza nella prima assoluta di Oscar de Summa nella stagione del MET diretto da Massimiliano Civica. Nella nuova drammaturgia del regista, autore, e qui anche attore nella parte dell'avvocato difensore, lo scontro generazionale è palese e grottescamente trattato. Una ragazzina unica femmina in scena, deve difendersi da un complottismo... tutto al maschile che addirittura la chiama in processo con tanto di rimbambiti ridicolizzati e personaggio che suona la tromba con cresta arancione punk un forse amico dalle movenze di clown. Una ragazzina assolutamente “normale”. Ma chi è questa ragazza (Valeria Sibona, brillante nella parte di Demi, unico nome dichiarato mentre gli altri 4 maschi sono maschere di protagonismi maschili)? Una ragazza che ha scelto di non compartecipare al gioco al massacro del presente degli adulti e di potere, della sua-loro politica delle sue guerre delle sue comparsate (citazioni spurie da appartenenze ebree per la ragazza e visto che sarà allestito un tribunale delle “colpe”). E quindi da che parte stare? la giovane si sfila. La giovane è stata tradita anche da suo fratello, come potrebbe fidarsi di una, forse due generazioni tutte al maschile, che la vorrebbero condannare? E poi per quale reato? Indifferenza-assenza: vedi dal titolo L'Infamante accusa di assenza. La scena si presenta spoglia al Teatro Metastasio, 5 seggiole due appendiabiti. Tutto sta nella tensione della lingua, della grottesca manifestazione aggressiva maschilista e stupidamente gerarchica della supremazia generazionale anche linguistica dei più vecchi (e maschi) sui più giovani. E sicuramente soli, come la ragazza Demi. La ragazza non capisce. Le generazioni che hanno letto Gramsci, fatto il 68 non riescono a mettersi nei panni di Demi che per difendersi, anestetizza il dolore del tradimento fratricida da parte del fratello, travestita dall'ingenua Alice nel Paese delle meraviglie mentre si affida alle uniche tracce di riferimento di informazione che sono il Portatile e il cellulare che le verranno sequestrate da quell'improbabile tribunale degli adulti e traditori. Sulle note di Kurt Cobain di Smells like teen sprint. Del resto Io non sono Lui. O Loro e Io è un Altro. Lezione francese degli esistenzialisti anni Sessanta. Salto quantico? ma siamo davvero in grado noi adulti di lasciare fuori nessuna adolescente e proteggerla da questi espliciti giochi di potere? Prima assoluta di Oscar De Summa con contributo di Lorenzo Guerrieri con Oscar De Summa, Valeria Sibona, Mattia Fabris, Lorenzo Guerrieri. luci Matteo Gozzi musiche Davide Fasulo e Oscar de Summa Produzione Teatro Metastasio Visto al Teatro Metastasio di Prato, il 9 marzo 2025

giovedì 27 marzo 2025

MEMORIA E FUTURO DEL PRESENTE in STORIE DI DONNA renzia.dinca Cascine di Buti (Pisa). La nuova produzione del Teatro di Buti, diretto da Dario Marconcini nella troppo breve stagione di uno spazio che ha storia internazionale di cinema e teatro, è Storie di donna con due atti unici: La più forte di August Strindberg e Dondolo di Samuel Beckett. Una stagione questa del Teatro di Buti in provincia di Pisa, esempio di teatro aristocratico all'italiana scrigno di bellezze purtroppo ancora chiuso per restauro, che ha avuto in cartellone 2024-2025 fra altri Danio Manfredini, I Sacchi di Sabbia, Muta Imago, Garbuggino-Ventriglia e che da qualche anno si è spostato nella vicina bella sala del Teatro Vittoria a Cascine di Buti. Il nuovo lavoro è una scelta di micro-testualità, tema caro a Dario Marconcini che di testi pressocché sconosciuti di grandi autori ne ha fatto una bandiera della sua molteplice feconda ideazione e produzione dove ha prodotto e ospitato figure di internazionalità straordinaria come il regista Jean Marie Straub. Proprio nei giorni della festa della donna si presenta la prima di Storie di donna con protagonista Giovanna Daddi, compagna di Dario (segnaliamo la recentissima uscita del volume sulla storia della coppia Scene da un matrimonio a cura di Carla Pollastrelli e Gianfranco Capitta per Titivillus) con cui, insieme, hanno creato e condotto lo spazio del Teatro di Buti, In La più forte, Irene Falconcini si confronta in un monologo sferzante come da scrittura di Strindberg, con la sua alter ego rivale a sua volta attrice Giovanna Daddi. Il gioco delle parti fra le due donne che nella vita sono state e sono attrici, è feroce. L'attrice più anziana però al gioco non ci sta anzi ignora il gioco e le sue sadiche contrapposizioni. Le due si incontrano in un bar dove la più grande d'età (di spalle al pubblico), se ne sta seduta sfogliando un giornale in silenzio assoluto mentre l'altra sfida e provoca in un monologo aggressivo, e anche volgare mentre l'Altra non dà mai segni di reazione alcuna. in fondo: chi è e sarà la più forte? Una micro piece La più forte, che ha ispirato il film Persona di Ingmar Bergman. Continua così la incessante ricerca di Dario Marconcini sugli scrittori nord europei da Pinter a Beckett agli svedesi ai mitteleuropei come Peter Handke. Prima del secondo monologo parte un intermezzo di Leonardo Greco a fare da contrappunto col successivo. Un giovane Hamlet nel suo delirante monologare con la povera Ofelia. Del resto qui si parla di Storie di donna e, di donne. Nel secondo monologo Dondolo, vediamo in scena Giovanna Daddi seduta su una sedia a dondolo, ed è una ripresa di una scena beckettiana di lavori precedenti del regista. La donna sta in flusso di coscienza. Si dondola sulla sedia in reminescenze di memorie narrate fuori campo dalla sua stessa voce, registrata. Sembra dentro un abisso fra realtà e sogno, fra veglia e memoria. Appena la voce si attenua, a voce viva l'attrice esclama: “ancora” e il nastro riparte. La voce però è roca. Sullo sfondo nero come il vestito della donna, un'immagine di finestre tutte uguali anonime di condominio fatiscente in atmosfere nordiche. Ci sono richiami all'Ultimo nastro di Krapp. Una esemplare ed efficace resa all'annichilimento della memoria e della vita che scorre, ineluttabile. PRIMA NAZIONALE Storie di donna regia Dario Marconcini La più forte con Giovanna Daddi e Irene Falconcini Dondolo con Giovanna Daddi con un intermezzo di Leonardo Greco allestimento e luci Riccardo Gargiulo e Cesare Galli produzione Associazione Teatro Buti Visto al Teatro Vittoria di Cascine di Buti, il 7 marzo 2025

lunedì 10 marzo 2025

è su RUMORSCENA di Roberto Rinaldi Giuliano Scarpinato in ALL ABOUT ADAM renzia.dinca Vorno (Lucca). Giuliano Scarpinato ha presentato All about Adam nello spazio della tenuta Dello Scompiglio diretta in un team internazionale artistico da Cecilia Bertoni a Vorno, 50 ettari fra le colline pisane e lucchesi che guarda alla Garfagnana ed Emilia. Una sua ideazione performativa sul tema della mascolinità, tristemente appassionante tema, dove si intrecciano singolari riflessioni sul rapporto maschio-femmina in Europa e USA, specie in questi periodi dove la questione della e sulle identità di genere è in primo piano-negativo, dell'attenzione politica. E' risultato vincitore Scarpinato, con altre compagnie, del bando che ha, di fatto chiuso il ciclo indetto da Residenze toscane, con al centro la performance in solitaria e per circa mezzora del bravo Cristian Cucco. Ma che cosa vogliamo dire di e su anzi, in lingua inglese (lingua della scimmie): All about Adam? anzi e proprio tutto in super attuale specismo dove non dalla scimmia darwiniana ma da Adamo ed Eva deriva la (nostra?) la specie? Adam-Cristian Cucco, si ritaglia uno spazio asfittico dove un giovane uomo prova a cercare la sua dimensione spazio-temporale dell'hic et nunc. Lo fa danzando sulle ceneri del pavimento dello spazio performativo a sfondo nero (ricoperto di finta cenere-il passato, l'Oroboro), dove si apre la performance segnando centri concentrici con i suoi passi, con se stesso perché da qui si arriva: quella madre e quel padre che ci hanno messo al mondo. Per poi ritornare ancora nel centro della sua ricerca, nel finale performativo. L'azione slitta tutta dentro la ricerca di sé. Cadute, risalite in uno spazio concentrazionario, nero, forse sporco e comunque paludoso, limitato, dove il corpo-voce si manifesta in forma di coup de théatre, attraverso una condizione attuale-ancestrale dove domina la Voce. del Maschile? Si sentono in registrazione ad un certo punto voci di politici, spezzoni di telegiornale: Craxi, Renzi, Grillo e altre. Tutte maschili. sarebbe questa la Voce della mascolinità in questo Paese? La debolezza del maschile in tempi della assenza dei padri così richiamati da una letteratura psicoanalitica un po' démodé anni Novanta da Zoja, al lacaniano Recalcati che ne attestano, si fa per dire e da decenni, l'assenza? Forse si. Oppure e invece un eccesso di ingombrante presenza?un dejà vu? In contemporanea negli spazi espositivi dello straordinario luogo che è Dello Scompiglio, dove in realtà tutto è ordine s/composto dentro la Natura e dentro l'abilità “femminile”, perfetta ideazione e organizzazione della accoglienza in attivo, ci sono due mostre godibili e di forte impatto visivo e fino al 13 aprile: Nexaris di Agnes Questionmark dove una madre-ragno ma fatta di plastica con richiami a Louise Bourgeois viste a Bilbao Venezia e Londra e a Barbie-plastica a cura di Angel Moya Garcia e di Chiara Ventura con : Le maniglie dell'amore sui femminicidi. In Italia. Dove conta, ancora e eccome Il nome e la legge del padre ALL ABOUT ADAM ideazione e regia Giuliano Scarpinato con Cristian Cucco ambiente sonoro e luci Giacomo Agnifili consulenza della danza Alessandro Sciarroni Produzione Emilia Romagna Teatro ERT/ Teatro Nazionale -focus CARNE in collaborazione con Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse progetto bando vincitore di residenze “Toscana terra accogliente” attraversamenti residenziali: Straligut Teatro-Siena, Giallomare Minimal Teatro-Empoli, centro di residenza della Toscana Armunia/ CapotraveKilowatt Visto a Vorno (Lucca) , il 22 Febbraio 2025

martedì 25 febbraio 2025

FUOCHI DI LISBONA Paolo Ruffilli (Passigli Editore, ottobre 2024, Euro 17.50) .In copertina Bad Boy, Good girl. Opera di Jack Vettriano Renzia D'Incà Quello di descritto nell'appassionante romanzo di Paolo Ruffilli Fuochi di Lisbona, è un dispositivo letterario e mentale che ha le significanze di un atto di riconoscimento-identificazione, un meccanismo freudiano e forse, pure lacaniano, del Perturbante. Un gioco di specchi fra un uomo (il forse professore, il dominante, almeno apparente, nel gioco seduttivo) e una donna, anche lei intellettuale che ha nome: Vita e, in gioco di doppio specchio: Ofelia, con ampia convergenza letteraria delle lettere fra Pessoa e la fidanzata Ofélhia di cui il bel romanzo, anche, tratta. Una trasposizione figurata e insieme forse poco importa se realistica, del viaggio nelle misteriosità delle sincopate multi-identitarie vite e cifre letterarie di Ferdinando Pessoa e della sua città Lisbona, città che ha forme e languori di donna e amante. Una sorta di spazio onirico in una sua, forse, reincarnazione come in altro specchio, una mise en abime mentre un Virgilio-Henrique, un po' scienziato chimico dell’“amore serotoninico” e amico dell'italiano, che lo accompagna nei Barrios, i vari quartieri dove Pessoa viveva e dove oggi si vive in qui locali una movida in quella straordinaria città cosmopolita, sospesa fra Europa e Americhe. In meandri su e giù, fra un alto e un basso, poiché la cosiddetta “realtà” rimanda sempre e costantemente ad altro di Altro. Una città che ha forme sinuose di donna, ma anche quelle di un amore amputato, un amore impossibile, rubato, desiderato, un amour fou. Una matrice cristallina e insieme decadente fra disquisizioni dinamiche e relazionali in cui il corpo-mente trascina dentro il fuori controllo di sé, della propria vita adulta e consenziente verso le trappole del perturbante. Pessoa, in questo romanzo è ed ha, il ruolo di un medium, una sorta di convitato di pietra però nominato e presente in maniera ossessiva quale specchio ustorio fra Vita, giovane donna di Lisbona, e il suo alter ego al maschile, italiano, studioso del forse più grande scrittore europeo del Novecento, che insegue sulle tracce di Ofelia e di sé stesso, in una pericolosa deriva identitaria, percorrendo e ripercorrendo dentro un gioco multiplo di specchi i Bairros ed in una manciata di ore, il gioco di seduzione, intrigante e un po' masochistico. Ma qui non vogliamo spoilerare. Una struttura, complessa ma resa efficace dallo stile di scrittura molto godibile, quasi drammaturgica, del romanzo, tanto che chi è stato a Lisboa e più volte, si riconosce negli spazi e nelle atmosfere sulla scia dei misteri letterari e poetici del portoghese Pessoa. E anche di Paolo Ruffilli. Centrale l'epistolario fra Pessoa e Ofelia dove risuonano i versi Le lettere d’amore sono ridicole. Nonché la Nota di lettura in calce del 2012 di Antonio Tabucchi Il romanzo è dedicato a Henrique Dinis da Gama, Herberto Hélder e Antonio Tabucchi. Tabucchi, di cui è in Nota dell'Autore il libro Fuochi di Lisbona, dedica del romanzo Fuochi di Lisbona da prima stesura del 2012, pag.169. Tutte le citazioni di Pessoa sono state dall'Autore tradotte sulla versione definitiva delle opere pubblicate dalla casa editrice Attica di Lisbona e sono date tutte in corsivo nel testo.

lunedì 17 febbraio 2025

RECENSIONE è su RUMORSCENA di ROBERTO RINALDI SCENE DA UN MATRIMONIO IL TEATRO DI GIOVANNA DADDI E DARIO MARCONCINI Titivillus - Collana Altre Visioni (Teatrino dei Fondi/Titivillus Mostre Editoria, Corazzano-Pisa novembre 2024, pagine 194, Euro 20, di Gianfranco Capitta e Carla Pollastrelli renzia.dinca Pontedera (Pisa). Con in copertina il logo dello spettacolo, memorabile, coprotagonisti la coppia Daddi–Marconcini al Teatro di Buti in MiniMacbeth (2001, scatto fotografico di Massimo Agus, anche fotografo in Carcere Volterra per lavori di Armando Punzo, Premio Biennale Teatro Venezia alla carriera e premio Presidente della Repubblica per meriti di teatro sociale coi detenuti 2025), è uscito il volume edito da Titivillus dal titolo bergmaniano Scene da un matrimonio. Il libro è firmato dal giornalista e critico teatrale Gianfranco Capitta e da Carla Pollastrelli, fondatrice storica del Centro internazionale Jerzi Grotowski di Pontedera, anche traduttrice dei testi del maestro polacco. Il volume si compone dei paragrafi e sezioni: Un lungo viaggio, Altri mondi. conversazioni con Giovanna Daddi e Dario Marconcini, Nota finale, Immagini di un viaggio teatrale, Le opere dal 1984 al 2022 e Sguardi critici. Giocando, forse un po' ironicamente, sul titolo del noto film dello svedese Ingmar Bergman che di cinema e teatro è un’icona universale, si ripercorrono le tappe del lungo percorso della coppia nella vita e nel teatro e si parte (o riparte) da uno spettacolo decisivo, rovesciando, temporalmente, le biografie dei due protagonisti: quando   Il 18 aprile 2018 al Teatro Era a Pontedera, debuttava Quasi una vita per la regia di Roberto Bacci con drammaturgia di Stefano Geraci e Roberto Bacci. Il volume, come da seconda di copertina “ non è un saggio, ma il racconto del lungo viaggio teatrale” della coppia, coppia anche nella vita, descritta come peculiare per la passione, associata all’intelligenza con cui i coniugi teatranti hanno attraversato e insieme, sessant’anni di avventure di teatro, Dario come attore, regista e drammaturgo formatosi al CSRT (Centro per la Sperimentazione e Ricerca Teatrale), per decenni e ancora attuale direttore artistico del Teatro di Buti (Pisa), Giovanna Daddi come attrice e non solo, protagonista e ispiratrice di tanti spettacoli in qualità e bellezza, in una modalità di coppia unica più che singolare nel panorama italiano, che ha incrociato esperienze di altissimo interesse culturale per il Teatro del nostro Paese e internazionale di qualità, come testimoniato da recensioni della critica nazionale ed internazionale. Ma ha anche intrecciato esperienze legate più strettamente alla toscanità popolare come quelle dei maggianti, rese vitali e pregnanti della tradizione toscana dei canti in ottava al Teatro di Buti e in Maremma. Nella prima parte del libro intitolata Un lungo viaggio, gli autori Pollastrelli e Capitta, ripercorrono le tappe della davvero lunga storia di Giovanna e Dario. Una doppia biografia ad incrocio, entusiasmante per la ricchezza delle esperienze, gli incontri cercati con eccezionale vivace curiosità, tenacia e passione. Vi si narra delle prime pratiche teatrali di Dario adolescente fra Pisa e Pontedera, in doppio specchio con l’innamoramento e poi matrimonio con Giovanna da cui è nato il loro figlio. Nella sezione Interviste si parla di MiniMacbeth scritto da Andrea Taddei in una riduzione proprio per Giovanna e Dario, testo che risale al 1975. Qui si narrano particolari della vita della diabolica coppia shakesperiana: il re e la regina, il pranzo, il morto ucciso sotto il tavolo, le streghe pazze, la danza, le foglie, la foresta, Gulliver, la maestra balinese le vicende personali “in questa casa devo fare tutto io “spegniti, spegniti breve candela, l’armatura, la maschera: si doveva rifare il Macbeth. E poi di un lavoro molto importante curato dal regista con la svolta minimalista nella sfida di Pinter: un più recente salto di qualità compiuto, forse un po' a sorpresa per il pubblico e la critica da parte di Dario, che era stato diretto da Paolo Benvenuti in cinema e teatro e da Jean–Marie Straub, personalità ospite straordinario a Buti. Dopo una carriera di incontri: da Ruggero Jacobbi al Piccolo di Milano, Ugo Betti, Roberto Bacci, il Living, l’Odin Teatret con Eugenio Barba, Moreno e lo psicodramma, Stanislavski. e poi Marisa Fabbri, Paolo Pierazzini, Cieslak, Paolo Billi, Fabrizio Buscarino, Leontina Collaceto. Nella sezione Interviste un'altra testimonianza preziosa, a puntate, sul lavoro di Giovanna e Dario. Inizia col lavoro Un’avventura di teatro e di vita appassionante che ha portato la coppia anche ad intraprendere innumerevoli viaggi dall’Africa all’Asia, continenti percorsi in lungo e in largo alla ricerca di emozioni e di compagni di viaggio da conoscere e poi invitare a Pontedera, la città della Piaggio, dove Dario ha ereditato dal padre una azienda e dove ha sempre lavorato. La coppia Giovanna e Dario sono un esempio significativo e molto emblematico del teatro del secondo Novecento italiano. E Scene da un matrimonio, un documento importante, brioso nella ideazione e scrittura a quattro mani di Pollastrelli e Capitta di e insieme appassionante per uno studente, da consigliare a chi oggi si iscrive a Lettere e vuole seguire i corsi di Storia del Cinema e di Teatro. da consigliare ai giovani aspiranti attori, a tutti quelle e quelli che amano il teatro e la cultura Solo pochi giorni fa Giovanna e Dario al Teatro di Capannoli (Pisa) erano in scena in un delizioso reading dedicato a Prévert e Bob Dylan accompagnati dai musicisti alle chitarre Andrea Lupi (ex allievo e attuale direttore artistico del Teatro) e il percussionista Valerio Perla. Uno spettacolo (prodotto dal Teatro del Bosco in prima nazionale), gustosissimo e per niente nostalgico perché la scelta dei testi tratta da antologia di Fernanda Pivano sulla beat generation, ha riscontri di notevole attualità come anche dimostrato dal pubblico di giovani in sala gremita. fra le altre canzoni lette dette di Prévert Questo Amore e poi Barbara, I ragazzi che si amano e da Dylan Blowing in the wind, Like on a Rolling Stones Un delizioso omaggio a Prévert e Bob Dylan, al Teatro di Capannoli (Pisa), da parte di Giovanna Daddi e Dario in perfette godibilissime sinergie dei musicisti e degli interpreti in ritmo, energia e bellezza attuale e profonda di senso in tempi di terza guerra mondiale

giovedì 30 gennaio 2025

CAPITOLO DUE renzia.dinca Prato. Nuova produzione del Teatro Metastasio di Prato diretto da Massimiliano Civica “Capitolo Due” di Neil Simon nella bella Stagione 2024-2025 del MET, intitolata Libera come da indirizzo programmatico, dopo la riconferma alla guida artistica per altri tre anni e con lo stesso Civica alla regia, traduzione ed adattamento del testo letterario. La “seconda volta” potrebbe essere la più difficile. Come il secondo album per un musicista (vedi un bel testo di Caparezza) o il secondo libro per un autore che scrive in cartaceo oppure online. Come, forse, per una coppia etero che si incontra dopo una precedente e per entrambi prima esperienza, che è finita male. Sarò lì con il mio mazzolino di fiori ...sarà una battuta delle tante, alcune folgoranti, altre datate un dejà vu (la commedia è tratta da un libro dell'autore newyorchese pubblicato nel 1977). Per la coppia George e Jannie è la seconda volta, dopo una vedovanza (lui), un divorzio (lei). E allora che cosa sta raccontandoci questa quasi-coppia con un'altra di coppia, però in crisi, in parallelo? che sta nel sottotesto? In mise en abime? Sullo sfondo di Broadway dove due donne e amiche vivono come attrici mentre George è un autore di gialli, vedovo e depresso dopo la morte della moglie (e qui risulta un tratto autobiografico di Simon), e il fratello di lui che a sua volta lavora nel mondo dello spettacolo. Siamo negli anni Sessanta, signori. Si sdipana così una situation comedy, un gioco delle coppie un po' pochade alla Feydeau, un po' sceneggiature cinematografiche di Woody Allen ma senza intellettualismi e psicanalismi (i plot si rassomigliano, come la costruzione degli intrecci). Anche la scena, fissa: due divani due telefoni (non cellulari, quindi ambientazione agèe), due scrivanie, quasi a definire spazi contigui di due appartamenti-spazi fisici e mentali in simmetrie dove scorrono le vicende sentimental- sessuali di George, suo fratello Leo e le due donne amiche Jannie e Faje. un clima molto American style e poco chic? cheap? Nooo. Ci, e ci si riconosce in questa divertente proposta di Civica perché, forse, la TV modello Rete 4, Canale 5 in ventennali tempi berlusconiani, ha creato generazioni di bambini, adolescenti, casalinghe (non più e solo di Voghera), incollati a quei modelli tele-visivi molto infantili e infantilizzanti, oggi easy generazionali Tik Tok. Ma qui siamo a Broadway, signore e signori, e il nostro George (Aldo Ottobrino, molto nella parte, con Maria Vittoria Argenti, Ilaria Martinelli e Francesco Rotelli), presto sarà pronto per finalmente assistere alla riduzione per il cinema di un film a Los Angeles tratto da un suo romanzo. Le battute sono anni Settanta, in presa diretta con certi film di Woody Allen, anche loro, forse, superati per i contenuti antropologico-sociali anni Settanta-Ottanta. O forse no. Perché la cosiddetta realtà ha superato e da decenni qualsiasi fantasia. Di qua e di là dell'Atlantico. O forse, come da presentazione del programma di sala in questa stagione italiana davvero: Non ci resta che ridere. Titolo di una bella canzone vincitrice a Sanremo di Angelina Mango. O, per rovesciare quel Non ci resta che piangere film italianissimo con Roberto Benigni e Massimo Troisi del 1984. Manifesto autorale Capitolo Due? ironica autoironia, forse, del regista e direttore artistico che ha scelto di agire questa testualità. Una linea autoriale che aveva già provato a percorrere sul tema della satira sociale,italiana, quindi doppio tranello, appena e proprio poco tempo prima dell'avvento Covid, nel 2018, con Belve di Armando Pirozzi. In un teatro dove aleggia il mito di Luca Ronconi Unica nota stonata: un pubblico che tiene cellulari accesi durante lo spettacolo ( due ore, ma con pausa), malgrado gli avvisi. Con foto e display in carica, in piene funzioni. Dei cellulari. Malgrado siamo entrati nello spazio del pubblico col buio, malgrado i gradini e le maschere che ci portavano ai nostri posti numerati con palco in piena luce. Bene lo spettacolo. Che non tratta di amori liquidi. vedi Baumann Capitolo Due di Neil Simon uno spettacolo di Massimiliano Civica con Maria Vittoria Argenti, Ilaria Martinelli, Aldo Ottobrino, Francesco Rotelli scene Luca Baldini costumi Daniela Salernitano luci Gianni Staropoli traduzione e adattamento Massimiliano Civica Produzione Teatro Metastasio di Prato Visto a Prato, Teatro Fabbricone, il 26 gennaio 2

martedì 28 gennaio 2025

di renzia.dinca RUMOR(S)CENA – PRATO – Valter Malosti (direttore dell’ERT Teatro Nazionale Emilia Romagna dal 2021), ha diretto e interpretato Antonio e Cleopatra da W. Shakespeare. Una operazione complessa di gran respiro dato il parterre degli artisti premiati di recente dalla critica nazionale per altre loro interpretazioni, coraggiosa per la giusta proposta anche collegata con la contemporaneità politica e sociale che sta vivendo il nostro Occidente. Così potrebbe risolversi l’operazione artistica di Valter Malosti in un flash storico-sociale corroborato da ideazioni scenografiche, costumi luci e sound che sicuramente non darebbe contezza-di per sé, della preziosità artistica di ideazione e di mise en espace di Antonio e Cleopatra. Un riferimento un po’ vetusto, è la versione cinematografica della tragedia shakesperiana con Liz Taylor e Richard Burton. Antonio e Cleopatra crediti foto Tommaso Le Pera E quindi a cosa stiamo assistendo fra le poltroncine rosa comodissime e con accanto un tavolinetto dove si appoggiano borse e sciarpe cappotti in piena deflagrazione-degradazione della politica: o meglio delle strategie di una nuova configurazione internazionale degli equilibri politici fra Mediterraneo ed Atlantico, dopo qualche anno dalla decimazione dei posti a teatro a causa del Covid? Ad una rivisitazione di un testo, fra l’altro poco frequentato sulle scene di e da William Shakespeare, ci troviamo di fronte ad un lavoro con ben 12 attori in scena (l’adattamento è di Nadia Fusini con Malosti). Dentro uno spazio concentrazionario, un Palazzo disegnato tanto da assomigliare a un De Chirico solo tracciato, dove niente è Roma e niente è Alessandria d’Egitto, dove i due amanti Antonio e Cleopatra vivono la loro passione apparentemente lontani dalle guerre quando invece tutto, ma proprio tutto, oltre al sesso, si consuma. Antonio e Cleopatra crediti foto Tommaso Le Pera La relazione fra i due si rivela per subito quella che sarà: una tragedia. Per entrambi. Su un praticabile mobile entrano in scena Re e Regina vincenti sopra un sarcofago con sottofondo di risate da show televisivo. Vestiti da Regina e Re. Ma il Re è nudo? E la Regina? Ma in cauda est venenum. La recitazione e l’approccio di regia si annuncia dal grottesco. E speravamo che andasse in quella direzione. La complessità del testo, la necessità di tagli ulteriori, di personaggi e narrazioni, ha spinto verso una regia dove prevalgono le due figure di dominio, dominati-loro, fra eros e thanatos: due principi folgorati dal potere. Già, entrambi seduti sul proprio letto di morte. Ma il plot che si annuncia è così, e non poteva essere diverso, con Antonio, romano in lotta intestina coi Triumviri nemici, Cesare e Lepido e dopo oltre due ore di spettacolo e senza pausa, e la Regina Cleopatra (Anna de Rosa), che si suicida, eroina molto antica così contemporanea davanti a sé stessa, il proprio specchio. non certo suicida col veleno ma sparandosi, narcisa (come del resto l’amante che non controlla più la sua sconfitta militare e politica). Una sé stessa, sconfitta allo specchio. Antonio e Cleopatra crediti foto Tommaso Le Pera Dentro le azioni della pièce, delle azioni sceniche di questi due attori-marionette, guidati da destino letterario o comunque che ha dato loro come personaggi storici molto fuoco alla legna e con il loro contorno di figure in scena, i personaggi cosiddetti minori, gran lavoro di ambientazioni curate in grande stile da scene iconiche dove si immobilizzano quadri metafisici grazie a luci che immobilizzano le azioni dei bravissimi attori quadri dei protagonisti Valter Malosti /Anna de Rosa e i comprimari, fra gli altri, un Massimo Verdastro, indovino e Dario Guidi, amorino fra i due amanti, con esecuzione di arpa celtica. Il clima è gotico. Viva Shakespeare. Visto al Teatro Metastasio di Prato il 19 gennaio 2025 Antonio e Cleopatra di William Shakespeare. di Valter Malosti, Traduzione e adattamento di Nadia Fusini e Valter Malosti con Anna Bella Rosa, Valter Malosti, Danilo Nigrelli, Dario Battaglia, Massimo Verdastro, Paolo Giangrasso, Noemi Grasso, Ivan Graziano, Dario Guidi, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta, Carla Vukmirovic, costumi Carlo Poggioli, scena Margherita Palli Produzione ERT, Fondazione Napoli- Teatro Bellini, Teatro Stabile Bolzano, Teatro Stabile Torino, Lac Lugano PUBBLICITA’ Ricerca per: Search … Rumor(s)cena è iscritto al nr. 4/11 del Registro Stampa del Tribunale di Bolzano dal 16/5/11 - direttore responsabile: Roberto Rinaldi webmaster: notstudio soluzioni grafiche contatti: Roberto Rinaldi / Privacy / © All Rights Reserved Rumor(s)cena – Culture teatrali cinematografiche e letterarie backstage, interviste e temi sociali – istruzioni per una visione consapevole

giovedì 9 gennaio 2025

PESO PRODUCIONES ALLO SCOMPIGLIO renzia.dinca Vorno (Lucca). La rassegna delle performance vincitrici del bando indetto dalla Associazione culturale dello Scompiglio per la direzione artistica di Cecilia Bertoni, dentro uno spazio di straordinaria bellezza sulle colline lucchesi che guardano alla Garfagnana, era incentrata sul tema della Voce “in tutte le sue accezioni del termine e nel suo significato più ampio, anche metaforico”. La rassegna ha ospitato, da maggio a dicembre i progetti vincitori ( alcuni non ancora allestiti): Intitled Noise/Jacopo Benassi, Trascendenze Artificiali, Orbita Spellbound Irene Russolillo, Giuliano Scarpinato Teatro ERT, DCollective Daniela Delerci, Office for a Human Theatre, Electroshocktherapy, Dies Irae. Fra le molte interessanti proposte abbiamo visto il lavoro di Peso Produciones con Tomàs Pozzi & Ian Garside David & Goliat-A work of gigantic proportions. Il lavoro performativo è di una bravura plastica impressionante. Due pesi due misure. Lui atletico, l'altro pure. Lui alto strafico. L'altro piccoletto rispetto all'altro e oversize. Strafico pure lui. Perchè si tratta di una danza-performativa dove la dimensione relazionale pas à deux, è il tema. L'uno, Ian Garside, si prende carico fisico delle azioni dell'altro. L'altro Tomàs Pozzi, in un funambolismo apparentemente in debolezza fisica, butta giù l'altro. Però poi lo sostiene in un ribaltamento simmetrico, non facilmente prevedibile per lo spettatore. E viceversa ( scatta qui in testa una canzone di Francesco Gabbani), dove la danza è danza di coppia ed in coppia. Perchè, insieme, David e Goliad (non a caso forse la: e fra i due protagonisti è commerciale: &). E così, insieme, sostenendosi, creano una danza, disarmonica ma così autentica e vicina alla vita coi sui alti e bassi, le cadute, le riprese. Non c'è emozione che traspare in questa relazione fisica fra i due corpi-persone né violenta né erotica verso l'Altro in una relazione possibile-impossibile. Solo un simbolico interagire. Fra distanza dei ruoli e degli spazi-quasi palestra uno spazio tatami, come non pensare alle performazioni di Pina Bausch. Ma anche alle arti marziali, dove la debolezza dell'avversario è, giocoforza, la carta vincente per i rovesciamento di forze. Non c'è Voce ( come da voce di Bando) fra i due contendenti: solo azioni fisiche fra due “lottatori”. E forse qui, a parte qualche brusio fra i due, sta la ideazione vincitrice, metaforica fra le altre, del progetto Dello Scompiglio della regista e performance, la direttrice artistica Cecilia Bertoni Visto a Dello Scompiglio (Lucca), il 14 dicembre 2024

mercoledì 9 ottobre 2024

 E' su RUMORSCENA di Roberto Rinaldi

Vajont -una testimonianza

 

Come molti ho visto da adulta il film Vajont-La diga del disonore (2001) di Renzo Martinelli con Laura Morante interprete di Tina Merlin e il monologo di Marco Paolini  Il racconto del Vajont.

C'è un filo rosso autobiografico che mi lega a queste due visioni. Sono nata  e vissuta a Belluno fino a quasi vent'anni a pochi chilometri da Longarone dove il disastro del 9 ottobre 1963 con la frana del Monte Toc che ha provocato lo straripamento della diga, ha portato morte a Longarone e nelle frazioni con un bilancio di oltre 2000 morti. Questa tragedia immane è arrivata alle mie orecchie di bambina fin dalle scuole elementari, fra narrazioni domestiche e scolastiche. La mia maestra Giuseppina Merlin era sorella di Tina (già staffetta partigiana), la giornalista dell'Unità che aveva scritto articoli di fuoco fin da 1960 sostenuta da cittadini del luogo contro la società SADE ( Società Adriatica Elettricità), inascoltata anzi querelata. La maestra, che era molto amica di mio padre (erano del 1926 e vivevano a Trichiana sulla sinistra Piave dove avevano case proprio vicine e dove ebbi poi modo di conoscere Tina, raccontò a noi bimbi di seconda o forse terza elementare che lei aveva visto coi suoi occhi nella chiesetta di Pialdier (una frazione prossima al greto del  fiume Piave), i cadaveri di 7 bambini della nostra età trascinati  per chilometri a valle dalla furia delle acque che raccolsero la fuoriuscita del bacino del Vajont. Mio padre mi raccontò poi che la mattina del 10 ottobre (nessuno ancora sapeva niente, non c'erano i telegionali o internet) era al suo lavoro a Belluno e che tutti gli abitanti della città erano increduli davanti alla massa d'acqua che ingrossava il corso d'acqua del Piave cresciuto di diversi metri. Mi disse anche: se la diga avesse ceduto, la più alta diga d'Europa, sarebbero stati spazzati via molti  comuni a valle e forse io e la mamma non saremmo ancora qui e tu non saresti neanche nata. In seguito sono stata più volte a Longarone, ricostruita dal fango. Al cimitero delle vittime ma anche a concerti   come quello di Franco Battiato allora semisconosciuto. Ma questa è un'altra storia 

 

Renzia D'Incà


 

foto di Giorgio Termini

CONTEMPORANEA 2024

 

renzia.dinca

 

Prato. L'emozione prima della sommossa è il sottotitolo di questa edizione della rassegna Contemporanea ( andati in scena dal 27 settembre al 5 ottobre scorsi )sotto la direzione artistica di Edoardo Donatini, rassegna che ha inaugurato la stagione del Teatro Metastasio di Prato dove è stato riconfermato per tre anni  Massimiliano Civica nell'incarico di direttore artistico. In programma “spettacoli selezionati per obbligare a cambiare postura", scrive nella presentazione del programma Edoardo Donatini, dentro una poetica del prendere sul serio anche la farsa; in una prospettiva di speranza di cambiamenti in questo non facile momento storico nazionale e internazionale, dove anche la crisi  del Teatro e delle Arti morde, funestata dal periodo Covid e dalle ennesime mancanze di fondi ministeriali. Le compagnie invitate, italiane e internazionali, hanno presentato i loro lavori  nei sei giorni di appuntamenti ed hanno riscontrato un  buon successo di pubblico. Abbiamo assistito a due lavori: La luz de un lago, della compagnia catalana El Conde de Torrefiel e La foresta trabocca di Antonio Tagliarini


Il lavoro di El Conde si rivela nella forma complessa di un paesaggio sonoro fondato sulla percezione immersiva dove conferiscono molteplici linguaggi: video, testualità, azioni sceniche, voce, effetti sonori in un plot narrativo- quasi una mise en abyme, che si tiene attraverso  una traccia in forma di sceneggiatura per un film in quattro momenti spazio- temporali diversi. Il fil rouge che collega queste quattro micro narrazioni è il tema archetipico di eros e thanatos, amore e distruzione, tenerezza e crudeltà. La poetica di fondo sembra essere quella di una meta riflessione della compagnia sul senso del fare Arte nella contemporaneità. Al centro del lavoro quindi, la narrazione in multicodice delle 4 storie di persone accomunate  dalle dinamiche  umane dell'incontro: la prima  per una giovane coppia a Manchester ad un concerto anni Settanta dei Massive Attack, la seconda per  una coppia gay borghese che si frequenta di nascosto in un cinema ad Atene a causa della discriminazione verso gli omosessuali, la terza quella di  Philippe, un intellettuale transessuale a Parigi che si incontra con la propria sessualità di nato maschio che, fedele alla propria identità d'infanzia,  decide di cambiare sesso. Per finire con una ambientazione a una prima alla Fenice di Venezia nel 2036 in un set di “arte uau” dove un gruppo di attivisti protesta con una azione di imbrattamento con secchi  di cacca gettata sugli spettatori, contro l'arte commerciale. Sul palco, mentre scivolano le immagini video in loop di vortici di colori che si intrecciano e vanno a sfumare in un confuso pattern che dà la sensazione del confuso mondo liquido in cui tutti siamo immersi, un terzetto di “tecnici” si muove in sintonia nello spostare quinte, attori microfonati in viva voce recitano, mentre sottotiloli  e un importante mix sonoro commenta le immagini e le azioni in scena. Il lavoro di El Conde col suo portato caleidoscopico di suggestioni cariche di emozioni, è un paesaggio sonoro che nell'apparente confusione di segni che si intersecano e si sciolgono in un pastiche di senso, sembrano testimoniare in palcoscenico quella che è la nostra attuale realtà liquida (secondo la definizione di Zygmunt Bauman) dove: incertezza, velocità frenesia, performance, narcisismo, inconsistenza, virtualità  mettono al centro l'individuo per prevalere in una società dove regnano precarietà e incertezza. Con echi del filosofo Mark Fisher con i suoi saggi sul linguaggio della contemporaneità  oltre il realismo capitalista

 

 

 

 

La luz de un lago

 

Idea e creazione  El Conde

Regia, drammaturgia e testo Tanya Beyeler e Pablo Gisbert

Scenografia Ed Conde e Isaac Torres

Materiali e spazio  El Conde e la Cuarta Piel

 

 

La foresta trabocca

 

Antonio Tagliarini, performer, danzatore, autore ed attore ha proposto a Contemporanea La foresta trabocca. Già presentato come primo studio  al Festival FOG/ Triennale nel 2023 con Un' andatura un po' storta ed esuberante il lavoro, condotto in coppia con Gaia Ginevra Giorgi poetessa e performer, si caratterizza per lo studio sulle azioni del performer nello spazio studioK in sinergia con Giorgi, statica, dotata di microfono e mixer in un'immersione sonora  plastica ed evocativa. Ispirato alla scrittrice giapponse Maru Ayase, la Foresta  di Tagliarini tratteggia col corpo del performer, diverse trasformazioni dell'io narrate attraverso azioni a corpo libero dove dominano inciampi, cadute,  riposizionamenti, ricerca di un nuovo equilibrio sempre instabile, sempre ritrovato attraverso una ricerca di nuovi baricentri e forse nuove direzioni. Cos'è infatti questa “foresta” traboccante se non la ricerca umana che dal buio scheggiato di lampi di luce (l'inconscio?) muove verso strade mai percorse prima per poi perdersi di nuovo, per poi riemergere in un altro stato, un'altra dimensione esistenziale  risolvendosi in un atto rigenerativo. Questo il senso interattivo che Tagliarini gioca con lo spettatore a cui vengono consegnati all'ingresso dei bigliettini con delle domande. La mia era: qualcosa che hai lasciato andare. E sul retro c'era scritto: Nel momento che ritieni più opportuno, puoi depositare questa domanda nello spazio scenico. Questa suggestione, la cui risposta era dentro la mente dello spettatore, era il mezzo con cui il performer, aveva modo forse di rispecchiarsi, forse no, ma comunque procedere nella sua ricerca nello spazio al centro del quale Gaia Ginevra Giorgi ad un certo punto comincia a rapportarsi col danzatore che si avvicina e insieme, microfonati tentano un dialogo fatto non di parole ma di suoni

 

Progetto Antonio Tagliarini

con Antonio Tagliarini e Gaia Ginevra Giorgi (anche in collaborazione artistica)

Cura del suono Emanuele Pontecorvo

Disegno luci e direzione tecnica Elena Vastano

Coproduzione  INDEX, Triennale di Milano, Spazio Matta, Casa degli artisti

 

Visti a Prato, Teatro Metastasio e spazioK  Contemporanea, il 4 ottobre 2024

lunedì 23 settembre 2024


 IL CORPO IN TESTA

 (Cue Press 2022, Imola Bologna)

 

Il viaggio artistico di Animali Celesti teatro d'arte civile nelle periferie sociali del disagio e delle marginalità

 

Autore Alessandro Garzella

Prefazione Andrea Porcheddu

 

renzia.dinca

 

1.      La lunga, proficua, e intelligente esperienza teatrale del regista, autore, attore e formatore Alessandro Garzella è un'opera esistenziale e compartecipativa di Teatro Metafisico. Nel senso utopico e paradossale del termine “metà tà-physikà” proprio perché “fisica”, come è l'esperienza del Teatro, abissale concreta “immonda”, per usare un aggettivo che ricorre nella sua non-autobiografia intitolata Il Corpo in testa, un libro dedicato ai primi dieci anni della Compagnia  Animali Celesti che oggi prosegue una ricerca avviata all’inizio degli anni Novanta. Un volume un po' confessionale, un po' autoironico, un po' auto-biografico e un po' nonsisacché in quanto, letterariamente, indefinibile, ineffabile, come scrive Andrea Porcheddu in prefazione. Una scrittura di prima mano che prende alla pancia, agli occhi e al cuore di chi legge e si occupa di Teatro nella storiografia italiana, facendo molto riflettere sulla vicenda personale e collettiva di un artista e intellettuale a tutto tondo, di fatto e di diritto, che può appassionare sia un lettore che conosce la poetica dell’Autore, le sue opere e le sue avventure artistiche, sia un lettore-spettatore che ama il Teatro tout court.

 

Anche la copertina del volume Il corpo in testa  (CUE Press), da pensare: primi piani dei suoi occhi, mani, bocca, orecchie (forme cinestesiche di un lavoro anche basico del fare teatro, senza scomodare la PNL o Jung), del regista Garzella che dirige e ha diretto i suoi attori, fin da giovanissimo, con protesi o in carrozzina per via di un grave handicap (mai vissuto come tale), che lo accompagna da quando è nato e che lo pone pertanto alle prese con spazi teatrali al chiuso (spesso difficilmente accessibili) e all’aperto come strade, piazze (vedi il suo lavoro itinerante Vangeli di strada a Pisa), giardini o luoghi naturali, come per il Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli dove risiede oggi la sua Compagnia, ideando e realizzando la maggior parte dei suoi spettacoli più recenti. Garzella ha vissuto artisticamente tra stanzialità e nomadismo, giungendo a Coltano, una frazione del Parco, da esperienze come la direzione del settore Scuola e Ricerca del Teatro di Pisa, la creazione e direzione artistica della Città della  Città del 1.      Teatro Sipario Toscana a Cascina e l’ideazione del Teatro Stalla a Bergamo, esperienza successivamente trasferita a Coltano, dove dirige ANIMALI CELESTI teatro d’arte civile, una nuova avventura che coinvolge artisti, teatri, compagnie e persone provenienti da diversi Centri sociali e Sanitari di alcune USL territoriali che compartecipano a una ricerca sul rapporto tra teatro e malattia mentale (cfr. Il Gioco del Sintomo- Renzia D'Incà-Pacini Fazzi Editore Lucca, 2002 e Il Teatro del Dolore-Renzia D’Incà, Titivillus 2012)

2.       ANIMALI CELESTI da ormai molti anni è una presenza fertile e attiva al Nuovo Fontanile-Parco delle Biodiversità di Coltano non solo con il contro-festival ALTRE VISIONI ma anche e soprattutto con laboratori che si svolgono continuativamente (anche in inverno) in natura, e che producono opere sperimentali frutto di una ricerca radicata a un borgo della periferia pisana più estrema.

3.      Quella di Garzella è una identità particolarissima: l’espressione dell’animo umano più “selvatico” e naturale, nelle sue “diversità” e “difformità” più estese. Un teatro fisico e concettuale, astratto e carnale che include bio-diversità ambientali e alterità fisiche o mentali, vissute in Natura, alla ricerca di un benessere che il suo Teatro prova a respirare e far respirare a centinaia di persone che provengono dalle tre città e Università contigue al Parco: Pisa, Livorno, col suo affaccio al mare e Lucca che, con la sua eleganza e le sue Mura, aveva fatto innamorare anche il Principe di Galles ora Re Carlo d'Inghilterra.

4.      LAutore con il suo Corpo in testa - non trovo titolo più dissacrante e insieme metaforicamente inclusivo per un libro di teatro impegnato nel sociale – appartiene a quel gruppo di artisti che Andrea Porcheddu, nella pubblicazione Che c’è da guardare, definisce creatori di un Teatro d’Arte Sociale. La Compagnia, riconosciuta e sostenuta dal Ministero alla Cultura e dalla Regione Toscana, è infatti un nucleo di artisti e persone eterogenee tra loro che, proprio attraverso la visionarietà teatrale di Garzella, condividono una comune ricerca artistica e umana sul rapporto traTeatro, alterità e follia

La Compagnia, vincitrice del Bando MIC sulla accessibilità degli artisti disabili, con il progetto LUCIGNOLI, manifesta una crescente vitalità artistica, capace di coniugare ricerca e sperimentazioni produttive di particolare qualità e prestigio.  In questa comunità di artisti, definita “La tribù” in un video molto apprezzato sui social,  sono sicuramente da ricordare, per l’importanza dei loro apporti artistici, alcune presenze attoriali      storiche, particolarmente significative: Francesca Mainetti, Chiara Pistoia che seguono Garzella da venticinque anni ispirandone la creatività e affiancandolo nella guida della compagnia e Marco e Ivano:due maestri di strada che mi ero andato a cercare vent’anni prima negli anfratti della loro e della mia follia” (cit. A. Garzella in Il Corpo in testa). Ad essi oggi si aggiungono altri artisti più giovani e alcuni allievi coinvolti nei laboratori ATTORI DI/VERSI e ATTORE DISSENNATO, vero motore creativo che alimenta un progetto artistico, culturale, sociale e politico molto difforme dalle convenzionalità.  In questo periodo la Compagnia sta realizzando un progetto di distribuzione del proprio repertorio in teatri e città interessate ad ospitare le proprie opere: oltre alla Toscana la compagnia sarà in Sardegna, a Genova, Ferrara, Napoli, Rovigo, Trieste ed altri luoghi ancora, intrecciando la propria creatività con quella di teatri e compagnie affini. 

mercoledì 28 agosto 2024

E'su RUMORSCENA di ROBERTO RINALDI con ampio reportage fotografico di ALESSANDRO GRICCIOLI il volume curato da ALESSANDRA REY

Jean Paul Philippe il  Poeta dello spazio

 

 

renzia.dinca

 

Parigi-Siena

 

Un gran bel libro dell'Editore Sillabe (Livorno), dedicato al trentennale del Site Transitoire (1993-2023), fra Asciano (Siena), dove il poeta dello spazio Jean-Paul Philippe ha il suo studio La Bottega e La Roque d'Anthéron in Provenza e da un anno anche spazi esterni a lui dedicati all'aeroporto Charles de Gaulle a Parigi. Il volume (144 pagine patinate), è stato curato da Alessandra Rey. Corredato da un contributo di Antonio Prete, con  interviste dell'Autrice allo scultore francese e ad Alessandro Griccioli che ha curato la parte ricchissima   della sezione fotografica del volume. L'opera è una produzione della Associazione Site Transitoire con il sostegno della Galleria Jeanne Bucher Jaeger, dell'Associazione Patrimoine Art et Culture.

 

Il volume, di notevole eleganza editoriale, intercetta intellettualità artistiche quali la eccezionale virtuosità dello Scultore dello spazio-cosi' definito dal poeta Tahar Ben Jelloun: Jean-Paul Philippe, che ha vissuto e vive fra Parigi e le crete senesi dove ha ancora  Bottega ad Asciano, borgo toscano dove l'artista di spazio visivo ha creato la scultura: Site transitoire, appunto. Si tratta di una struttura pensata architettonicamente dall'artista Jean-Paul Philippe, che nasce come pittore a Parigi per innamorarsi dell'Italia dove ha trascorso molto tempo, per poi passare alla scultura, alle grandi opere.  JP Philippe ha costruito in pietra un monumento che ha le dimensioni di una finestra con due lati verticali marmorei e uno spazio verticale al centro, per dare la possibilità al visitatore di immergersi in un luogo denso di emozioni a tutto tondo dove, fisicamente, si può ammirare il solstizio d'estate la sera del 21 Giugno, quando il sole tramonta esattamente nello spazio-finestra dell'opera, immersi fra le crete e i paesaggi mozzafiato senesi. L'esperienza, cinestesica, può far provare al visitatore, una esoterica sorta di incantamento, che sboccia quasi istintiva in chi frequenta queste zone che sia turista americano o giapponese o europeo (il senese e la vicina Val d'Orcia, come la montagna amiatina sono luoghi di attrazione mondiale, il poeta Mario Luzi, fiorentino viveva nella non lontana Pienza). L'opera Sito Transitorio collocata “nel 1993 su una collina tra la località Leonina e il Borgo di Mucigliani, si trasforma in un gesto che per primo segna il ritorno della presenza umana”,così scrive la curatrice del volume Alessandra Rey. La scultura è stata infatti collocata in una zona di campagna abbandonata a pochi chilometri da Asciano dove l'artista parigino ha tuttora il suo Atélier. Sostenuta da scrittori quali Antonio Tabucchi, il poeta Bérnard Noel (a cui il volume è dedicato), Antonio Prete, poeta e già professore di Letterature comparate all'Università di Siena, autore di un  proprio intervento in questo libro. Il luogo ha visto la realizzazione di spettacoli  annuali di teatro e di danza proprio in occasione del solstizio con la presenza di Lisbeth Gruwez,  belga, coreografa performer per la Compagnia di Jan Fabre,  performance di mimo,  un lavoro teatrale per la regia di Paolo Pierazzini, noto artista e intellettuale  fondatore di Atélier Costa Ovest (Collesalvetti -Livorno) e Teatro Lux ((Pisa), luoghi che hanno segnato profondamente  la cultura e le avanguardie teatrali in ospitalità europea e mondiale di questa parte occidentale della Toscana, prematuramente scomparso. Il volume è in doppia lingua, italiano e francese, curate da Alessandra Rey e Marc Ceccaldi, e poiché la Francia è terra di nascita del grande scultore, il riconoscimento del Site transitoire a livello internazionale ha portato ad un gemellaggio fra il Comune di Asciano e il Comune provenzale di Roque d'Anthéron dove è stato realizzato un monumento in dialogo con Site Transitoire, denominato: Résonances, inaugurato nel 2022. Ne è ampia testimonianza fotografica ed anche amicale nel lungo periodo, il réportage  di foto e intervista a Alessandro Griccioli da parte di Alessandra Rey per il suo volume.

 

“Archeologia interiore” è stata così definita da Antonio Prete, la poetica di Jean Paul Philippe, come:“silenziosi passaggi di astri e di primi incontri con i visitatori”, formula felice coniata da  Rey, per rendere più esplicita l'ideazione artistica di Philippe. L'opera monumentale ideata e costruita dall'artista in Provenza prende forma da cave di travertino da Serre di Rapolano (Siena), e presenta richiami letterari a Albert Camus, al mito di Sisifo, è un omaggio allo scrittore amato. Un luogo da attraversare: Résonances sarà ciò che resta di un muro e di una porta, ma in cammino...(J.P.Philippe.). In sinergia solare, stellare e terrestre con la vicina Abbazia Silvacane e con  la poetica della condizione  dell'artista per  Camus: Solitaire/Solidaire.

Il volume ha una ampia rassegna fotografica, firmata da Alessandro Griccioli, giovane talentuoso fotografo senese, che ha seguito, fin da giovanissimo, le tappe di ideazione e realizzazione delle opere monumentali di Jean-Paul Philippe dalla Bottega di Asciano a La Roque d'Anthéron. Sono foto in bianco e nero. Raccontano la e le storie fra Asciano senese di Site Transitoire  e  la Roque d'Antéron provenzale. Raccontano e testimoniano in forma d'arte  fotografica l'Opera di Jean-Paul Philippe Poeta dello Spazio

 

 

 

 

 

 

 

 
Alessandra Rey Tommasi

 

E’ laureata in Lingue e Letterature straniere con indirizzo letterario, vive tra la Toscana e la Provenza ed è coordinatrice di progetti culturali tra la Francia e l’Italia.

Fondatrice e presidente dell’Associazione Site transitoire, scultura monumentale di Jean-Paul Philippe, di cui cura mostre e pubblicazioni in Italia e all’estero dal 2000.

Traduce in italiano testi di nuova drammaturgia contemporanea di autori francesi.

Ha tradotto e curato il sopratitolaggio per diversi autori e compagnie italiane in tourné in Francia.

Autrice di articoli su autori teatrali per la rivista “Vivaverdi”.

Membro della famiglia Tommasi, pronipote di Angiolo e Lodovico Tommasi e nipote di GhigoTommasi, è responsabile degli Archivi Ghigo Tommasi.

Cura pubblicazioni ed articoli sui pittori Tommasi.

giovedì 15 agosto 2024

 

INEQUILIBRIO FESTIVAL 2024


renzia.dinca


Castiglioncello (Livorno). Il nuovo progetto di Inequilibrio Festival Festival della nuova scena tra circo, danza, musica e teatro (dal 27 giugno al 6 luglio), fra Castiglioncello, Rosignano Marittimo, Vada e Rosignano Solvay, ha proposto numerose prime nazionali di spettacoli con un occhio di particolare riguardo alla danza e proposte di esposizioni, tavole rotonde, laboratori negli spazi interni ed esterni del Castello Pasquini, sede storica di Inequilibrio da una ideazione di Massimo Paganelli (oggi anche noto attore TV in BarLume), con Armunia. Sotto la direzione unica di Angela Fumarola il Festival, giunto alla sua ventisettesima edizione, si è presentato con un vasto parterre di proposte: dieci giorni per 55 lavori dei quali 9 debutti. Fra questi Giulietta e Romeo per la drammaturgia e regia di Roberto Latini. Ospite assiduo di Inequilibrio, lo abbiamo ammirato due anni or sono nella sua versione di Venere e Adone nel boschetto del Castello, molti anni prima alla regia del progetto Metamorfosi da Ovidio e prima ancora nella trilogia di Noosfera


Il nuovo lavoro di Latini, da qualche giorno nuovo Direttore artistico di Orizzonti Festival di Chiusi, è stato in prima nazionale a Rosignano Marittimo in tandem con Max Mugnai e Gianluca Misiti, sfidando un classico dei classici del Bardo: Giulietta e Romeo.


Lo fa in una modalità essenziale ed aristocratica, come del resto ci ha abituati nel suo stile inconfondibile e pregnante, dove i segni drammaturgici e di scena sono leggibili fra le ragnatele delle testualità classiche, fino a sfiorare e appagare il regno della Poesia. In Teatro è forse questa la poetica di Latini: sorprendere nella apparente semplicità delle re-interpretazioni-allusioni talvolta funamboliche, un pubblico molto esigente, un po' all'insegna di una pratica teatrale del Perturbante. Così Latini rilegge e trasforma alla maniera di, una storia d'amore che si potrebbe definire un po' antiquata (e non basta il balcone veronese per renderla cool). Riesce a traslare il romanzo- tragico d'amore, spostandolo verso una contemporaneità, e di coppia, quasi verosimile. L'amore può nascere sulle assi del palco, come potrebbe in ufficio o sul treno o in chat. E così' Giulietta si presenta (Federica Carra) su uno spazio vuoto (Teatro Nardini), vestita dei suoi abiti da tutti i giorni, odierni. Palco con due leggii, una antiquata bobina di registratore, una video proiezione alle spalle dove campeggia dietro Carra una scritta fissa: Rose. Molto ambigua ( chi è lei? l'eterno femminino? quale?). Latini si appalesa con una chitarra elettrica e vestito fra Elvis Presley anni Cinquanta e Renato Zero anni Settanta. Qui parte lo spostamento spazio-temporale e il Perturbante. La coppia si scambia i vestiti, ma non i ruoli. Da qui cominciano le rispettive escalation di interloquizioni, tratte dalla testualità di Romeo e Giulietta, quelle poche che nel testo di Shakespeare li trovano insieme, dentro la voce straordinaria, microfonata di Latini. I due si scambiano impressioni, passioni, come da manuale amoroso d'antan. Lei ad un certo punto in riff, si traveste da cantante tipo cantante Winehouse, stesso abito scintillante rock 'n roll pettinatura modello anni Sessanta. chi sono? forse i loro nonni i loro genitori? storia che si ripete? alle loro parole “d'amore”, si succedono alle loro spalle in video-proiezione, narrazioni. storie di giovanissime ragazze e ragazzi in video clip di etnie, lingue diverse, diverse storie d'amore contemporanee e intelligenze europee. Raccontano le loro storie “d'amore”, ma anche loro fallimenti amorosi. Gruppo Video Collettivo Treppenwitz.




Prima Nazionale


Drammaturgia e regia Roberto Latini


con Roberto Latini e Federica Carra


musiche e suono Gianluca Misiti


luci e direzione tecnica Max Mugnai


costumi Daria Latini


video Collettivo Treppenwitz da L'amore ist nicht une chose for everybody (loving kills)


produzione Compagnia Lombardi Tiezzi


Visto al Teatro Nardini di Rosignano Marittimo (LI), il 29 Giugno 2024