IFIGENIA, liberata
renzia.dinca
Prato
Un personaggio della storia del Mito, figura
centrale del Teatro greco quello di Ifigenia,
tragico e complesso. Come molte delle eroine-pensiamo a due per tutte: Antigone
e Medea, che nei secoli non hanno mai cessato di intrigare ed ispirare narratori e poeti (basti pensare a
Goethe), studiosi dei miti come
Kérenji e Vernant, ma anche antropologi culturali come René Girard, a cui più
di tutti sembra aver attinto nel suo
processo di pensiero ed elaborazione di regia Carmelo Rifici (direttore
artistico del LAC di Lugano e direttore della Scuola di Teatro del Piccolo di
Milano), insieme alla drammaturga Angela Dematté. Rifici dichiara di
aver indagato sul Mito degli Atridi cercando agganci oltre che in Eraclito della Ifigenia in Aulide, in
numerosi altri autori classici da Omero a Eschilo a Sofocle, ma anche dal Nuovo
e Antico Testamento, Friedrich Nietzsche, Girard e il filosofo e grecista Giuseppe Fornari. Ci
sono correnti dell'antropologia classica contemporanea come quella diretta da
Maurizio Bettini presso l'Università di Siena, che hanno messo in discussione
la facile correlazione fra ciò che il Mito rappresentava per gli antichi e ciò
che noi contemporanei comprendiamo di esso, magari solo per assonanze ed analogie con la storia della
cultura occidentale dei secoli successivi. Tuttavia in Arte almeno, senza
scomodare Jung e i suoi archetipi, le suggestioni che dai mitologemi ci
arrivano come frammenti ed echi di storie altre, ancora suggeriscono tracce di
ispirazione drammaturgica e poetica di intenso vigore e vitalità. E questa Ifigenia,
liberata (da notare la virgola fra il nome proprio e il participio), ne
costituisce un esempio davvero di
valore. Tutte queste fonti dichiarate sono entrate nella drammaturgia
plurilineare di una testualità che procede su più binari sia per quanto
riguarda la costruzione del plot narrativo sia per quanto riguarda la ideazione
della scrittura scenica tanto che qui si potrebbe parlare di Teatro nel Teatro.
La narrazione testuale che ricostruisce la storia di Ifigenia (Anahi Traversi),
figlia di Agamennone (Edoardo
Ribatti) e Clitemnestra (Giorgia Senesi), figlia che deve essere
immolata per salvare il suo popolo, infatti, passa a intermittenze in secondo
piano, quasi una mise en abime rispetto ad altri piani narrativi semantici,
scenici e meta-testuali. Insomma un esercizio assai complesso di elaborazione
per una macchina di scena però ben oliata e convincente che tiene il pubblico
inchiodato per due ore e mezza di spettacolo senza intervallo. Il pubblico viene subito a
confrontarsi, in assenza di sipario, col palcoscenico occupato da diverse
persone alcune in abiti di scena altre no, da un insieme di apparecchiature
tecniche posizionate sulla sinistra dove sono anche allineate alcune sedie e
dove svetta un musicista con uno strumento a corde: siamo entrati
direttamente dentro la sala prove di un lavoro in via di allestimento in fase
avanzata. Ben presto la “prova” ha luogo. Così scopriamo che è il regista (Tindaro
Granata- alter ego di Rifici), il protagonista di questa Ifigenia (insieme
con la drammaturga, Mariangela Granelli, a sua volta alter ego di Angela
Dematté), anch'essa in scena seduta e compartecipe al fitto lavoro di costruzione in diretta
dell'allestimento in fieri. Un ottimo Tindaro Granata introducendoci in punta
di piedi nei segreti del back stage in sala
prove, dialoga in diretta coi suoi attori chiamati a interpretare i vari ruoli
della tragedia euripidea. Intersecando i piani semantici fa agire i propri
attori nel loro ruolo per poi bloccarli e discutere in punta di fioretto
scena per scena ora nei monologhi ora nelle scene corali. Li costringe ad
interrogarsi come uomini e come donne sul senso del personaggio che
interpretano mettendoli a confronto-specchio fra le parole e le azioni di cui
sono protagonisti sulla scena, coi propri vissuti di uomini e donne
contemporanei. Questo gioco di specchi
provoca un corto circuito di senso che ruota tutto intorno al tema del
Sacrificio ovvero del rapporto inscindibile fra Sacro e Violenza. Come accade a Ifigenia disposta, dopo una iniziale
renitenza, ad immolarsi come capro espiatorio per volere del Padre e del suo
Popolo per un Bene superiore, un'istanza di Stato, si direbbe oggi. Quanto di
contemporaneo si chiede il regista, chiede ai suoi attori e a noi spettatori,
c'è o c'è ancora in questo nodo sacro-violenza, in prospettiva antropologica
attuale rispetto ad una rivisitazione del Mito come categoria narrativa della
cultura, della vita quotidiana, delle vite individuali? In un gioco di rimandi
su rimandi, lo scavo antropologico del
regista coi suoi attori si apre su un retropalco dove compaiono ominidi,
scene proiettate di violenze perpetrate sempre in nome di un bene
superiore che hanno dominato la Storia dell'umanità dalla notte dei tempi- da
Caino e Abele, fino alla più recenti atrocità delle guerre in corso nel nostro Mondo di oggi. La violenza, sembra
voler dirci Rifici, pare intrinseca alla natura dell'uomo. Come la
sopraffazione del forte sul debole. La religione di Stato chiede sangue, chiede
vittime, chiede il Nemico ed in nome di questo perpetra odio e distruzione.
Tuttavia c'è speranza per l'umanità. Speranza che Ifigenia-vittima innocente e
simbolo di una obbedienza imposta si riscatti
e che il suo grido si imponga contro ogni sopraffazione. In attesa di
una Ifigenia, appunto, liberata, applausi ad un lavoro corale di sapiente gioco
attoriale, di grande afflato ed intelligenza artistica.
Ifigenia, liberata
progetto e drammaturgia Angela
Dematté e Carmelo Rifici
regia Carmelo Rifici
con Caterina Carpio, Giovanni
Crippa, Zeno Gabaglio,Vincenzo Giordano, Tindaro Granata, Mariangela Granelli,
Igor Horvat, Francesca Porrini, Edoardo Ribatto, Giorgia Senesi, Anahì Traversi
Scene Margherita Palli
Costumi Roberto Mestroni
musiche Zeno Gabaglio
produzione LuganoScena con LAC Lugano Arte e Cultura
Visto a Prato, Teatro Fabbricone, il 25 marzo 2018