renzia.dinca
Delitto e castigo
Prato
Cimentarsi in una translitterazione per le scene di un
capolavoro della letteratura russa e mondiale come Delitto e castigo,
sprofondare dentro la voragine psico - filosofica dei temi tragici trattati in forma sublime da uno degli
scrittori più complessi tormentati e se vogliamo anche contorti dell'Ottocento
come Fedor Dostoevskij, vuol dire confrontarsi e scontrarsi coi
mostri che albergano dentro il condominio della psiche umana. E' proprio nella
naiveté e nella betises consanguinea del
russo così però capace di controllare
con sapienza letteraria e narrativa la densità sorgiva delle emozioni più
ferine che attraversano i personaggi ciclopici a cui ha dato vita nella sua
mente titanica, il difficile compito che
si è prefisso nell'adattamento e nell'operazione di regia-molto liberamente
tratta da, del moscovita Konstantin Bogomolov. Il regista russo
ci ha regalato 120 minuti di spettacolo senza interruzione di forte
coinvolgimento emotivo mettendo alla prova attori e pubblico a confrontarsi con suggestioni di azioni,
monologhi, spostamenti di spazio e senso in scena e fuori scena, stupendo con
qualche provocazione, in una operazione di sottile intelligenza registica e
corale riscrittura di scena. Fede da pogrom versus pietas, violenza cruda
contro delicatezza, sessualità ambigua, gioco di potere gratuito, sublime e
marcio (è stata definita in Dostoevskij letterariamente poetica del caos),
tutto si tiene dentro una rappresentazione che attraverso il delinearsi dei
personaggi dal Raskol'nikov, l'assassino alla prostituta Sonja che vorrebbe
redimerlo, al poliziotto corrotto lascivo, al magistrato, alla stessa vittima a
sua volta usuraia, tutto descrive e anche riscrive un'umanità che ha molto di
contemporaneo e che non necessariamente arriva alle pagine di nera dei nostri
quotidiani ma che potrebbe ben descrivere i tinelli borghesi dei vicini della
porta accanto, sì proprio quelli delle nostre realtà urbane occidentali dove il
sesso come l'ipocrisia, gli istinti più bassi ammantati da perbenismi di
maniera convivono in atmosfere maleodoranti. L'ambientazione modernizzata che
ne fa il regista è resa sulla scena da uno spostamento di almeno cento anni
rispetto alla stesura del classico letterario: un salotto piccolo borghese anni
Sessanta-Settanta del Novecento, tre video identici sullo sfondo, un quarto più
arretrato sopra un comò. Raskol'nikov non è l'attempato studente del romanzo ma
un giovane nero della mole e l'indole
del Grande Lebovski dei fratelli Cohen. La sua famiglia è composta da madre e
sorella parecchio svaporate che entrano a suon di musica disco ed abiti etnici
nella scena del delitto. L'assassinio
della vecchia è appena accennato in
scena e da qui si snodano le vicende conseguenti all'azione violenta che è il
casus belli da cui si snoda il plot. Bogolomov riesce a condensare personaggi e
vicenda narrativa conservando il sapore acido che domina i cluster dei
personaggi conducendo una disamina degli animi e dei comportamenti dei
diversi soggetti che si agitano dentro i
propri spettri emozionali in cui la componente nichilista e cinica è la dominante. I dialoghi sono
netti, i monologhi dei protagonisti soli in scena sono a volte lunghi, specie
nella seconda parte dove un po' ci si perde in attenzione, ma la capacità di
riportare tutto dentro il flusso del processo narrativo e quindi drammaturgico è ammirevole e
coraggiosa anche data la bravura dei singoli attori. Il regista del resto è un
profondo conoscitore delle opere di Dostoevskij
di cui vanta due regie tratte dai capolavori quali I Fratelli
Karamazof e L'idiota. In questo adattamento Bogomolov si fa ardito
nella trasfigurazione del personaggio di Raskol'nikov per la pelle scura, anche nella fantasiosa variante
dell'inserimento sulle note di Mahler di
un Tadzio nero in forma di manichino. Le polemiche che hanno preceduto la
visione pratese – a Ravenna lo spettacolo è stato contestato da alcuni gruppi
cattolici, ci pare fuorviante e pretestuosa. Nel lavoro di Bogomolov di sesso
esplicito non solo non c'è traccia- vi è mimazione fisica senza nudo alcuno-anzi, accompagnata da
vocalità microfonate, ma neanche c'è sentore di blasfemia rispetto ad un
crocefisso che scende dall'alto nei
momenti di potenziale massimo climax dentro la spiazzante impossibile peraltro
conversione forzata di Raskol'nikov. si è vero il Cristo è lievemente sessuato o forse androgeno? e allora? abbiamo visto i nostri figli e nipoti spettatori di ben
altro e molto esplicito in cinema, teatro e
soprattutto TV di Stato e non, anche in orari di fascia protetta. Quando
ci si confronta con scrittori della potenza fantasmatica di un Dostoevskij,
oltre che andare a teatro - che comunque a teatro ci si va per scelta e si paga
anche il biglietto, sarebbe opportuno riflettere sulla potenzialità espressiva di uno scrittore che dà i brividi come un
Dostoevskij o un altro grande russo come Tolstoj, profondi conoscitori
dell'animo umano e delle oscure passioni che possono dilaniare vite e
coscienze. Senza scomodare Chiesa
cattolica, diavoli e acquasantiera. Come non pensare agli echi delle
parole dette pochi giorni fa da Papa Francesco sulle prostitute e i loro
clienti?
Delitto
e castigo
di
Fedor Dostoevskij
adattamento
e regia Konstantin Bogomolov
traduzione
Emanuela Guercetti ( Einaudi)
scene
e costumi Larisa Lomakina
con
Anna Amadori, Marco Cacciola,Diana Hobel, Margherita Laterza, Leonardo Lidi,
Paolo Musio, Renata Palminiello, Enzo Vetrano
produzione
ERT
visto
a Prato, Teatro Metastasio, il 16 marzo 2018