renzia.dinca
Pontedera
( Pisa)
Questa
è una storia di vite intrecciate in labirintiche alchimie. Che hanno
fatto un pezzo importante di Storia del Teatro italiano ed
internazionale. Vite vissute, intense, di passione estro
determinazione e un po' di sagace follia. E' la storia di una coppia,
nella vita e in scena: Giovanna
Daddi e Dario
Marconcini, figure
storiche del Teatro toscano e nazionale. Ma è anche un affresco
collettivo di un territorio e di un'epoca: il territorio è quello di
Pisa e della sua provincia che confina ad est con quella empolese e
prima ancora nel tempo, fiorentina. E di una stagione quella post
Sessantotto, che nella città della Torre pendente ha avuto esiti di
forte segno culturale politico e sociale tanto quanto il Sessantotto
a Parigi, a Roma, quello tedesco e quello californiano. Ispirati dal
Living Theatre
di Julien Beck e Judith Malina per poi passare al sodalizio con
l'Odin Teatret
di Eugenio Barba
e la residenza internazionale di Jerzi
Grotowski (che ha
partorito l'esperienza attuale di Mario
Biagini e Thomas
Richards), Daddi e
Marconcini sono stati coppia del gruppo fondatore del Teatro
di Pontedera poi
CSRT (Centro di sperimentazione e ricerca teatrale) e
ad oggi confluito nel
Teatro Nazionale della
Toscana con
il Teatro della Pergola di
Firenze. Con
loro altri giovani fra cui Roberto
Bacci e Carla
Pollastrelli. La
coppia si è poi staccata dal gruppo pontederese per dirigere il
Teatro di Buti, un
teatro all’italiana
scrigno di stucchi e velluti sulle colline fra Pisa e Lucca dove
hanno creato uno dei centri di produzione e ricerca teatrali fra più
interessanti del nostro Paese. A Buti hanno accolto e
prodotto una lunga
stagione di spettacoli da Pinter a Beckett a Peter Handke e ospitato
un artista come Jean
Marie Straub.
Nel
nuovo lavoro di Roberto
Bacci,
da sempre direttore
artistico della esperienza pontederese che qui si relaziona in
multipli ruoli: regia, co-drammaturgia, scenografia e costumistica
nonché ideazione del progetto (in Prima nazionale all'interno delle
produzioni del Teatro della Toscana), molteplici sono i segni sia
nella tradizione che nel tentativo di nuovo. In scena la coppia, con
quattro attori, si cimenta in un non facile filo narrativo in cui
entrano pezzi di vissuto della scena e della vita, sessant’anni di
storie intime e pubbliche: un caleidoscopio di parole immagini suoni
emozioni azioni, uno zoom fra il privatissimo delicato rapporto a due
dentro le mura domestiche fatto di memorie, carezze, viaggi,
cartoline, progetti, oggetti feticcio e il fuori che è quello della
scena praticata per un’intera vita, quella del palco. In Quasi
una vita, però, non
c’è traccia di facile biografismo ma una quintessenza di sapori
umori schegge di autentica poesia. Al centro della scena c’è una
porta con doppia apertura. Se si apre da una parte si chiude
dall’altra. A scena aperta Giovanna è seduta su una panchina
accanto a Dario mentre l’incipit del discorso drammaturgico si apre
con una frase che sembra una didascalia:
c'era una volta una ragazza…
Ma niente è di troppo in questo lavoro che dà attribuzione di
segno e significato ad una coppia che ha letteralmente cambiato e
rinnovato il senso e l’obiettivo dell’attuale Teatro toscano
e nazionale
La
scena passa direttamente alle parole di Pinter, uelle di una
micropiece- Night
(di recente rivisitata anche da Binasco in Night
bar), un autore
amatissimo da Giovanna e Dario, proposto proprio nelle sue
drammaturgie più scarne e proprio per questo graffianti al Teatro di
Buti, in cui una coppia rimemora il loro primo incontro erotico. La
narrazione della donna e dell’uomo, non combaciano. Perché così è
la memoria. Così l’eros. Così è la differenza fra il femminile
ed il maschile nel corpo e nella psiche. Non per caso si parte da
Pinter, questo Pinter in particolare, per poi trapassare ad un altro
cavallo di battaglia della storia delle scelte artistiche che hanno
fatto la macrostoria delle stagioni butesi, questa volta caro a
Dario, il Faust
di e da Goethe. I quattro attori- fra cui Silvia
Pasello in abiti
cechoviani (Silvia in conferenza stampa ha dichiarato: per
me Giovanna e Dario sono il mio modo di pensare il Teatro),
come gli altri, eleganti da messinscena di Giardino dei ciliegi
tuttavia diafani quasi fantasmi, hanno funzione di appoggio rispetto
alle azioni della coppia. E’ come se sostenessero i due attori e
sposi ad affrontare i diversi temi in ballo: l’amore, la malattia,
il viaggio, i ricordi, il senso dell’esistenza nella vita
quotidiana e nel lavoro del palcoscenico nelle domande dai sapori
shakespeariani: cos’è la vita?, cos’è l’attore? fino al tema
heideggeriano per eccellenza: il senso della vita come specchio
dell’unica possibilità per cui tutte le altre sono rese possibili,
il tema della Morte, che sottende il focus dominante dell’intera
pièce, che non a caso ha per sottotitolo Scene dal Chissàdove. Si
perché per tutto il lavoro l’impressione è quella di assistere ad
un pensiero che sta come sospeso fra il sonno e la veglia, in uno
spazio ipnagogico fluttuante come ben illustra quella porta che si
apre e si chiude su se stessa imprigionando corpi e pensieri dentro
universi paralleli, dentro leggi fisiche dove vita e coscienza si
sfiorano in luoghi tra l’onirico ed il metafisico. Via via che si
snoda il plot narrativo il focus si allarga in una scena dove Dario è
disegnato sul volto da un ragazzo (Tazio
Torrini, prima
diavoletto nella scena del Faust) con la biacca: e lo trasforma in
una maschera da triste clown o forse in un malato terminale faccia a
faccia col trapasso. Il finale si chiude ad anello. I diversi
passaggi dove i temi sono il timbro che segna questo bel lavoro che è
messinscena teatrale ed anche doveroso omaggio alla coppia, sono ben
collegati fra loro come pensati da cesello dentro un flusso di
coscienza individuale e relazionale.
Niente
è di troppo in questo lavoro per la scena che dà attribuzione di
segno e significato ad una coppia che ha letteralmente cambiato e
rinnovato il senso e gli obiettivi artistici di un pezzo importante
di storia del teatro di un territorio che molto ha dato al Teatro di
ricerca nazionale e internazionale fino al contributo più recente,
quello all’attuale Teatro toscano e nazionale.
QUASI
UNA VITA- Scene dal Chissàdove
drammaturgia
Stefano Geraci e Roberto Bacci
regia
scene e costumi Roberto Bacci
con
Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Elisa Cuppini, Silvia Pasello,
Francesco Puleo, Tazio Torrini
interventi
sonori a cura di Ares Tavolazzi
luci
Valeria Foti
Produzione
Teatro della Toscana Teatro Nazionale
PRIMA
NAZIONALE
visto
a Pontedera il 16 Aprile 2018
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