BELVE-
una farsa
renzia.dinca
Prato.
Ci
sono alcune discrepanze fra ciò che Massimiliano
Civica
scrive nelle note di regia individuate come obiettivi del suo
nuovo lavoro Belve
andato
in scena in prima assoluta al Metastasio
di Prato
(dove da poco è diventato anche consulente artistico) e ciò che ci
sembra di aver recepito nel corpo a corpo della visione della farsa-
che così recita il sottotitolo dello spettacolo, qui dando già una
primissima dritta sul contenuto che andremo a vedere. Civica ci ha
abituato a messinscene rigorosissime dove le competenze attoriali
sono messe in primo piano sotto una direzione severa, con un mandato
che rispetta le finalità del genere che vuole rappresentare. Così
il genere comico in Dialoghi
degli dei
coi Sacchi di Sabbia, così nel più recente Quaderno
per l'inverno
(premiato con ben due prestigiosi UBU nel 2017). In questo lavoro il
regista è di nuovo affiancato dal drammaturgo napoletano con cui
aveva conquistato la critica dell'UBU e anche tanto pubblico: Armando
Pirozzi a
cui ha commissionato Belve-
una farsa. Farsa:
un genere poco praticato sulle scene del nostro Paese dove si è per
consuetudine preferito proporre al pubblico commedie o drammi. Ci
sono esempi in De Filippo e comunque dentro un filone dialettale ma
la tradizione è soprattutto d'oltralpe con copioni fra i più noti,
in Moliere e Feydeau. Quella che si era posto Civica sulla carta era
una sfida di non facile realizzazione: commissionare al proprio
Autore di riferimento la scrittura ex novo di una farsa moderna sul
tema dei soldi e del potere, che di questo si tratta in Belve. Tema
di grande attualità qui pensato da Pirozzi come una guerriglia in
forma di lotta di classe che della lotta di classe ha ben poco ed
infatti non si vuol dare nessun segnale che possa far intendere
l'ascesa o il tentativo di presa del potere di subordinati rispetto
ai padroni. Nella guerriglia fra le due coppie: quella formata da
Giocondo e Giorgetta, ricchi imprenditori e quella formata da Betta e
Pippo coppia giovane a rischio povertà a causa della famelicità dei
vincenti vicini, non si vuole mettere in scena niente di politico ma
solo caratteri e non da commedia dell'arte ma statica constatazione
- fotografia impietosa della rigidità che contrassegna le differenze
fra classi sociali, divise dalla nascita e dal censo e non miscibili.
In fondo al plot drammaturgico infatti, l'agnizione risolve il
conflitto che si fa a tratti grottesco, a tratti surreale rivelando
che solo in una soluzione fantastica quanto inverosimile nella realtà
si possa modificare qualcosa del già dato (in questo caso le
differenze sociali) e questo finale è nella logica del mutatis
mutandis.
La solida struttura pensata e
drammatizzata da Pirozzi rispecchia i canoni scolastici del genere
farsesco, contaminato però da altre forme di teatro: è in scena una
cena a base di cozze organizzata dalla coppia più giovane
intenzionata e far fuori per la seconda volta con veleno per topi i
due anziani: lui commendatore calvo e segaligno già sopravissuto
miracolosamente al primo tentativo malriuscito, lei buffissima arpia
over size dalla risata oscena ed agghiacciante. Durante la cena
Betta e il marito sono visitati da un caleidoscopico vortice in
ingresso ed in uscita di improbabili personaggi fra il circense e la
gag da sit com, un vescovo con prete, un killer dj che ha venduto 30
copie di dischi suoi di cui 29 ai famigliari, due poliziotti cow boy
sgarruppati. Il finale riserva sorprese e tutto finisce in happy end.
Tornando al mandato che si era imposto Civica nell'esperimento della
messa in scena della farsa Belve alcune annotazioni: il testo
rispetta la struttura canonica di genere e così anche
l'attualizzazione tematica. Il cast attoriale scelto da Civica è di
alto livello, sono rispettati i ritmi, le pause, la conduzione
della fisicità per strappi sulla scena fissa, c'è il rigore e
tempi tecnici misurati. Tuttavia qualcosa non ha funzionato. La
macchina si è imbrigliata dove l'ostacolo maggiore è stato proprio
quel moto alla risata che nel pubblico del Metastasio è stato
piuttosto scarso. Si ride sì ma sporadicamente e a denti stretti. La
sensazione è che la densità della scrittura drammaturgica di
Pirozzi, ricchissima di riferimenti metatestuali messi in bocca ai
diversi personaggi- fra cui riferimenti alla funzione della critica,
il suo lavorio trasversale a quello della rifacitura attualizzata
farsesca con inserzioni dalla pochade al vaudeville senza
grossolanità, insomma una responsabilità da esercizio di stile,
abbia ingabbiato un po' la scrittura. Questo forse, insieme
all'eccessivo strizzare l'occhio a macchiette televisive un po'
scontate, non abbia fatto presa su un pubblico smagato o forse
abituato ad altre tipologie di scritture per la scena, magari più
versatili, se questo era il mandato, al muovere al riso.
Belve-
una farsa
di
Armando Pirozzi
uno
spettacolo di Massimiliano Civica
costumi
Daniela Salernitano
luci
Roberto Innocenti
con
Alberto Astorri, Salvatore Caruso, Alessandra de Santis, Monica
Demuru, Vincenzo Nemolato, Aldo Ottobrino
produzione
Teatro Metastasio di Prato
con
il sostegno di Armunia Centro di residenze artistiche-
Castiglioncello
PRIMA
NAZIONALE
Visto
a Prato, Teatro Metastasio, il 22 Aprile 2018