giovedì 27 marzo 2014

Daniele Timpano

Storia cadaverica d'italia

Dux in scatola
Risorgimento pop
Aldo morto

Titivillus a cura di Graziano Graziani ( Roma, 1978)

Daniele Timpano ( Roma, 1974)

mercoledì 26 marzo 2014

20YEARS of Spellpound
di Renzia D’Incà

SU RUMOR(S)CENA di Roberto Rinaldi

 Da vent’anni e forse più, seguo  a Pisa il lavoro del Teatro  Verdi, teatro storico  cittadino dove, come del resto  in tutti i teatri  d’opera nazionali il melodramma è stato ( ed è)  il cuore della programmazione artistica.
Tuttavia  questo   storico Teatro,  ha rivendicato a sé tutta una  serie di competenze complesse, che fanno capo alla cultura artistica ed alla formazione in generale,  comuni anche ad altre  realtà nazionali, dove l’attenzione  specifica per la Danza è stata ed è patrimonio peculiare, oggi in grande attenzione della  Fondazione Toscana Spettacolo ( anche in relazione al progetto NID- Showcase open to Italian and International programmers, quest’anno ospitato proprio a Pisa  dal 22 al 25 maggio , in collaborazione con Fabbrica  Europa)  soprattutto grazie  ad alcune direzioni artistiche,  nel tempo  particolarmente sensibilizzate al settore.
La sensibilizzazione è stata capillare anche rispetto al territorio: memorabili  i “ ritrovamenti”( con termine che personalmente aborrro: location) - anche  talvolta , adibiti a mostre- degli spazi straordinariamente magici   i  cittadini della Chiesa di San Zeno dove erano state accolte, a suo tempo,  stagioni di danza di notevole  visibilità nazionale ed internazionale.
 E quindi ecco che si rinnova il sodalizio con la  Compagnia Spellbound  del coreografo Mauro Astolfi  che  proprio a Pisa ha deciso di presentare  in forma di  Galà  dalle sue migliori produzioni  internazionali che sono state in tour nei maggiori palcoscenici del mondo ( e con una prima assoluta),  i  venti anni di attività che  a Pisa ha visto  spesso la sua  presenza ( Spellbound  Contemporary art nasce  nel 1994, ha lavorato in tutto il mondo, è reduce da una tournée negli Stati Uniti) con  presenza stabile in questa città, anche in stage di formazione.
Il programma  del ventennale prevedeva due  tempi ( quante ragazzine in platea, le scuole di danza cittadine) in questo luogo  dove  il grande coreografo ha  di nuovo siglato la sua  straordinaria cifra artistica.
Il programma comprendeva due  momenti:  “Controfase”, che è stato in prima mondiale  a Russelsheim nel 2014, e poi adesso  in prima nazionale a Pisa.
Uno scontro tra due danzatori. Due identità forti.  Due comprimari in scena. Nella lotta nessuno soccombe. Difficile  comprendere il senso della lotta: anzitutto nessuno soccombe. Però neanche vince.  Una guerra  fra pari?  Verso cosa? Finale  aperto
Certamente è  di gran godimento la straordinaria leggerezza- nello  scontro che si capisce furibonda- dei corpi. Forse un suggerimento almeno visivo e di possibile interpretazione della  dinamica gestuale,  potrebbe giungere dalle  pratica e contaminazione  con le discipline  delle  arti marziali. Ma anche,  e qui si passa al simbolico, dallo scontro sulla identità di genere.
Il Potere?
Il lavoro è nato come studio per la formazione giovanile  Spellbound II con debutto in  Germania 2014 e  in Italia- Teatro  Verdi a Pisa.

Il secondo movimentoLost for words”- L’invasione delle parole vuote Studio III,  è l’ultimo atto di una trilogia che ha debuttato a Tuscania nel 2013.
“Lost” è stata l’unica produzione europea  a cui è stato assegnato un premio  per la National  dance project negli Usa per la stagione 2012|13.
Delle due produzioni già proposte,  è quella che mi  ha  particolarmente colpito. Forse perché la più strutturata. I corpi  dei danzatori , maschili e femminili  finalmente, dentro uno spazio apparentemente domestico – assai claustrofobico-dove si anima , ma soprattutto si annida, un conflitto  che è dei corpi ed è senza  la parola. L’azione è in un interno, uno spazio riconoscibile- tavolo sedie letto, ma le persone che lo abitano- lo dis-abitano in perenne lotta fra loro che è identitaria ma niente affatto astratta ( padri madri figli e poi e ancora le famiglie  che ripetono le generazioni  tradizionali  o le  famiglie allargate?) E allora qual è l’oggetto del confliggere:  la parola.  Che non arriva, che non si frange, e non è una questione né generazionale né identitaria o di genere.
Qui si tratta, e si mette in scena  forse , della  parola che se non vuota “ parla” attraverso il corpo|spazio.
E  prova a parlare anche l’altro da sé.
Perché uno dei grandi temi della contemporaneità è che, anche fra persone che dovrebbero intelligere e confrontarsi, non c’è più parola. E allora il non verbale si può trasformare in scontro. Anche fisico. Che colla danza, proprio come medium  artistico ma anche  conoscitivo- relazionale , possiede una modalità. Tutta sua, di autorappresentarsi.
Ritrovare il senso “ puro” della parola, riqualificarla al suo   e comunque equivoco intrinseco ruolo, può essere anche – soprattutto ?l lavoro della danza. Al suo livello più raffinato ed attento alle dinamiche delle arti in  ascolto della multisensorialità  complice dei diversi linguaggi dell’arte.
Segue, come terzo movimento ed a chiusura,  in prima mondiale Dare- Dialogo per due uomini.
Una primizia , in cui è coinvolta l’intera compagnia .  E riparte dai due danzatori di Controfase. Da chi si riparte, dunque? Dall’eterna disputa’ fra  padre figlio, fra chi è il più forte?
Lo sapremo nella prossima ideazione  internazionale coreografica di Mauro Astolfi  con  la sua assistente Adriana De Santis

Mauro Astolfi  Coreografie
Marco Policastro  Disegno luci
Musiche Steven Price

Con Giovanni La Rocca, Mario Laterza
 Sonia Barbiero Alessandra  Chirrulli Maria cossu Gaia Mattioli Giuliana  Mele Marianna Ombrosi Giacomo Tedeschi


 Visto al Teatro   Verdi di Pisa il  13 marzo 2014

venerdì 21 marzo 2014


Presentazione del libro di poesie di Renzia D’Incà, Bambina con draghi Pisa, Biblioteca Comunale SMS, 4 febbraio 2014 Renzia D’Incà ha pubblicato cinque raccolte di poesie prima di questa che oggi presentiamo, Bambina con draghi, edita dalle Edizioni dei Leoni, con densa prefazione di Paolo Ruffilli. Rispetto alle precedenti, la nuova raccolta presenta significativi elementi di novità: nei temi e nello stile. Sebbene non vengano abbandonati il rigore, la raffinatezza formale, la cura, la sapienza della scrittura, caratteristiche formali precipue della poesia di Renzia D’Incà, stavolta le parole sembrano immerse in una mistura urticante, corrosiva, che resta loro addosso e le rende violente, appassionate, taglienti come spade. Il fatto è che stavolta le coordinate della raccolta s’inscrivono nel tragico, e il linguaggio viene (abilmente) lavorato perché sappia restituirlo. Parto dunque dalle parole: del titolo e delle sezioni. Il titolo della raccolta, Bambina con draghi, orienta correttamente su scenari infantili; essi però non hanno niente di idilliaco – ciò che del resto, in età post-freudiana, suonerebbe poco probabile e ingenuo. Della psicanalisi, in questa raccolta come nelle precedenti, c’è molto: il linguaggio (costruito anche col robusto apporto di un idioletto medico-psicanalitico), le situazioni di riferimento, il mantenimento di un binarismo colloquiale cioè di un confronto/scontro fra un Io e un Tu, che è mimetico della condizione analitica (ma con varianti significative). L’infanzia, dunque, non che essere età dell’oro, tempo dell’innocenza e della gioia, nella poesia di Renzia D’Incà si popola di creature orrorifiche, metamorfiche, terrorizzanti; la scrittura che le rappresenta sarà una discesa agli Inferi e restituirà gl’incontri con mostri e draghi affondando nel materiale psichico remoto e forse rimosso, che attraverso le parole poetiche riemerge ribollente. La raccolta è costituita da cinque sezioni; gli Affioramenti sono appunto il venire a galla di situazioni, immagini, personaggi appartenenti al passato, rappresentano insomma quel ritorno del rimosso (per riferirsi ancora a Freud) che è punto di partenza di ogni percorso analitico che aspiri a liberare il futuro: “e adesso per andare avanti / è necessario tornare indietro” (p. 25). Un movimento “a gambero” che avviene nella seconda sezione, Mesmerismi: il fluido magnetico (i mesmerismi appunto) che si libera nei fenomeni incontrollati (quelli ipnotici, quelli onirici) può costituire esso stesso una cura, se non la guarigione; e infatti nella prefazione Paolo Ruffilli parla di “percorso di autoconoscenza”. Tuttavia avrei qualche dubbio che questa strada, almeno il tratto che la raccolta documenta, porti davvero alla salvezza; a prospettive ben poco salvifiche allude, se dobbiamo prestargli fede, il titolo dell’ultima sezione, Dell’incurabile curagione, ironico neologismo, quest’ultimo (è in realtà arcaismo, ma così disusato da poterlo considerare nuovo conio), che non fa ben sperare e al contrario sembra esprimere perplessità su una cura (psicanalitica?) che non viene a capo dei problemi e, insieme, la speranza di una diversa via di fuga, una via di fuga come che sia, per liberarsi da ogni soggiogamento. Le sezioni centrali, Ipossie binarie e Parricidi, sono le più veementi, ulcerate, rivendicative; soprattutto in queste sezioni il lessico si rinnova rispetto alle precedenti raccolte, le immagini si sostanziano di riferimenti mitici, i personaggi acquistano proprietà di simboli, mentre l’Io femminile si carica di valori oppositivi che gridano trionfanti la sottrazione al dominio paterno, fino al feroce augurio di morte: “attendo la tua morte, padre / la tua dipartita perché la tua di morte / sarà soglia e porta alla mia sempiterna vita” (p. 38). E’ vero che anche in questa sezione permane una dimensione “ludica” del linguaggio, direbbe Jakobson, legata al mondo infantile, produttrice d’un comico raffinato che ha tanta parte nella scrittura anche precedente di Renzia D’Incà; qui però il comico è più contenuto perché, soprattutto nelle due sezioni centrali, la nota dominante è tragica. Vi si rappresenta il terribile scontro con il Padre (ovvero Fratello/Padre), con la sua legge, materiale morale sessuale, ed emergono ossessivi i fantasmi dell’incesto. E’ uno scontro all’ultimo sangue, dal quale Io si augura che il Padre esca sconfitto – di più: morto. Una morte di cui è prefigurato l’avvicinarsi in duri versi della sezione precedente, nella degradazione fisica paterna, nel suo rattrappimento e invecchiamento, nella perdita di forza interiore, nella riduzione del Padre Drago alla pura e soccombente bestialità: “fra noi adesso parla il linguaggio corporale / il borborigmo la tosse l’ansimare / tu spirito puro (senza l’anima) sei il più animale” (p. 31). Preciso che questo Drago non s’identifica tanto, o solo, nel padre reale di Io ma assume connotazioni più vaste e include qualunque figura caratterizzata dalle proprietà che all’interno della società patriarcale identificano l’immagine paterna. E qui l’opposizione privata Io/Tu, cioè Figlia/Padre, si allarga a diventare antropologica; è la grande fondativa opposizione fra Natura e Cultura dove il Padre, maschio depositario del potere e della tradizione, viene collocato a sorpresa non sul versante della Cultura, come ci si aspetterebbe, ma su quello della Natura. Perché questo Padre è uno dei draghi, anzi è IL Drago per eccellenza, è (come ho appena letto) “il più animale” e non può aspirare ad altra dimensione che quella della Natura, là dove nascono e crescono i mostri, come sappiamo fin dall’antica caccia che Teseo, forza della Ragione, condusse contro il mostro bestiale chiuso nel Labirinto. E’ l’ennesima metamorfosi, l’ennesimo raddoppiamento che nelle poesie di Renzia D’Incà caratterizzano le figure d’amore, secondo l’orientamento di lettura contenuto nel brano di Platone riportato in esergo, l’insuperata definizione di Eros. “Eros è un gran Demone, o Socrate: infatti tutto ciò che è demonico è intermedio fra Dio e mortale. Ha il potere di interpretare e di portare agli Dei le cose che vengono dagli uomini e agli uomini le cose che vengono dagli Dei: degli uomini le preghiere e i sacrifici, degli Dei, invece, i comandi e le ricompense dei sacrifici. E stando in mezzo fra gli uni e gli altri, opera un completamento, in modo che il tutto sia ben collegato con sé medesimo”. Le figure d’amore sono dunque binarie, possiedono un doppio che le altera, un’ombra maligna che può usurparne il posto. Ciò vale per il Padre/Fratello Amato, la cui terrificante epifania diventa il Drago; e vale per la Madre, assente in queste liriche che tuttavia le sono dedicate. Una Madre con la quale pare saldo il vincolo affettivo ma che non ha ruolo nella tragica lotta qui raccontata; ne esiste invece un doppio, un replicante mostruoso nell’altro personaggio femminile che appare di sguincio nei versi, una parodia di Madre, la mater controfigura, la Gorgone, la megera che sottolinea e rafforza la solitudine drammatica di questa Figlia combattente – questa Figlia che, capace di affrontare, in singolar tenzone e con pari violenza, lo strapotere del Padre/Drago, è, forse, vincente.

giovedì 6 marzo 2014


è la rigidità della struttura che non funziona|lo specchio la perfetta simmetria si può superarla, in accordo, pas à deux, solo infrangendola Carmen Martinez, musicista amica e mia interprete