domenica 20 aprile 2025

ABRACADABRA Uno spettacolo di magia renzia.dinca Prato. Cosa fare (e/o non fare) per esorcizzare la morte di una persona cara, in questo caso la propria compagna di una vita. In teatro si può dire e fare, tutto perché tutto è possibile nella magia delle possibilità narrative e d'invenzione artistica. Perché non è tanto cosa ci succede di drammatico, di imprevedibile, di tragico, ma quanto e come siamo in grado di re-agire a questi eventi a cui tutti siamo suscettibili, attori e interpreti nella vita reale, a confrontarci col principio di realtà, direbbe Freud. Il teatro, un certo tipo di teatro che non è intrattenimento, ha più a che vedere con la filosofia che con l'arte in senso generico. Questo uno degli insegnamenti di un maestro professore di teatro dell'Università di Pisa Fernando Mastropasqua. In questo nuovo lavoro di Babilonia Teatri (Premio UBU 2011), che ci hanno abituato a scandagliare anfratti bui della contemporaneità (uno per tutti il lavoro Pinocchio -Il Paese dei balocchi Casa dei risvegli Amici di Luca con in scena tre persone, uscite dal coma in percorso teatro-terapeutico, 2012), tabu dei tabu, specie in questa contemporaneità dove tutto deve essere: bello giovane ricco cinico smart figo. In piena era trump e rigurgiti di berlusconismi. Il manifesto dello spettacolo vede Valeria Raimondi per strada in cammino in zone di campagna. Sarà un non luogo del lombardo-veneto o altre zone terrestri campestri rupestri l'Emilia, una valigia firmata Topolino con Enrico Castellani dietro a lei con maglietta e jeans. Sulla maglietta un logo: Freedom e lui che salta su se stesso. Da dove si scappa? Dalla morte? Dal viaggio della vita? Si scade nella rimozione della morte, ci si trovi ad affrontarla muso a muso. Però si potrebbe affrontarla con la magia. Tipo: esiste? Non esiste la magia. E questo è un paradosso logico. Per questo viaggio da miracolati in vita, Babilonia ha scelto una drammaturgia e una presenza scenica di un noto illusionista, che ha girato i 5 continenti. un mago insomma: Francesco Scimemi che della sua arte ha fatto un lavoro anzi una professione riconosciuta a livello internazionale. Un sottotesto dove la compagna di una vita, muore per un tumore di soli, si fa per dire 8 millimetri che l’affabulatore Scimemi, che occupa per un’ora l’intera scena con i servi di scena Raimondi e Castellani che lo supportano nell’auto-narrazione (anche monologanti in loop), fa da contro sipario ad azioni sceniche dove il mago Scimemi fa apparire e scomparire la sua compagna: un’iconica Emanuela Villagrossi esile, esangue come l’abbiamo sempre conosciuta di rosso vestita come il ricordo erotico, la sua figura, il suo vestito rosso della compagna che non c'è più. Scimemi ci accoglie in sala regalandoci 4 carte. Le francesi E poi? poi Abracadabra ossia: che cosa sta succedendo? le carte si sono confuse, scomposte, il mago ci guida nel suo percorso interno-esterno e ce le fa strappare. Come il puzzle della vita che compone e scompone a volte tragicamente e contro ogni logica razionale le relazioni fondamentali strappando le persone fisiche alla vita di sempre. Il clown-prestidigitatore vorrebbe far tornare a lui e al mondo della e con la sua compagna. Ma questo è assolutamente impossibile. Perché la realtà supera ogni fantasia. Esorcizzare, applicare in scena l’esercizio della elaborazione del lutto. Ci entra anche una riflessione (?) nello psicodramma di Abracadabra dello psicoanalista Recalcati: le stelle rimandano luci dopo che sono morte per millenni. Quali nostri millenni? I nostri pochi anni di essere al mondo in quanto umani? Non quelle delle stelle o magari pure anche stelle comete, decisamente più durature nella loro scia fintamente luminosa e pseudo romantiche o semplicemente delle nuove scoperte della fisica sullo spazio-quantico delle nove dimensioni della realtà che, forse, segna nelle frontiere della fisica quantistica il nostro passaggio. E questo pensiero filosofico lacaniano può consolare una perdita esistenziale unica e forse mai sostituibile in un mondo della riproducibilità tecnica e della adolescenziale sostituzione di un corpo-donna (o uomo) con un altro? davvero interessante il lavoro di Babilonia con un attore-non attore come Scimemi, abituato al palcoscenico dove taglia letteralmente a fette nel gioco funambolico, la sua compagna in scena la bravissima Emanuela Villagrossi corpo evanescente puro, nel gioco illusionistico della scatola che conosciamo fin dagli anni Settanta in Tv e sagre di paese. Compagna che poi ricompare. Dove lui piange, però per finta (forse), mentre si ustiona dentro, con un dispositivo di lacrime che schizzano accompagnato fino in platea dove scende dal palco insieme con la coppia che lo sostiene, i Babilonia, sia in palco che in platea. E questa è una modalità teatrale e anche molto psicoanalitica magari in stanza di analisi, di reazione ad un lutto. Ci sono altri modi e mondi di affrontare e da vivi l’osceno della morte. Non in palco e anche in palco. Le morti quelle violente e shakesperiane, per esempio. O le ispirate da tragedie greche. O alla Moliere. Perché la morte è sempre oscena. Di per sé o come per le circostanze, che accade e magari non per vecchiezza. O quella che accade per malattie magari fulminee. Bisogna affrontarla o in senso comico o tragico. Qualcuno in platea se n’è andato prima della fine dello spettacolo. Di fatto la morte è l’unica delle possibilità per cui tutte le altre sono tutte possibili (Heidegger) e rimuoverla è un atto umanissimo. In questo Abracadabra dove anche la scelta dei brani musicali ricorda in toto una vicenda intimistica, quella della coppia Scimemi con la sua compagna, il registro volta verso la reminescenza surreale patetica, delicata, con la playlist, probabile colonna sonora della coppia, da Ivano Fossati Bella non ho mica vent’anni e per finire con David Bowie in Lazarus, sua ultima ricerca e lascito testamentario ora ripreso da Manuel Agnelli che sarà in concerto alla Pergola a Firenze fra pochi giorni In questi ultimi pochissimi anni un progetto del MET curato da Elisa Serianni Da vivi. Il miracolo della finitezza con la partecipazione attiva di medici, attori, persone di e da Prato e spostato anche a Pontedera Teatro Era, sembra essere un epitome di questa ricerca E come da indicazione poetica sancita in programma Abracadabra: Nascere è una magia. Morire anche. La morte è la sparizione per antonomasia. E’ la magia più grande: sparire per sempre Babilonia Teatri con Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Francesco Scimemi, Emanuela Villagrossi scene e costumi di Babilonia Teatri Produzione Teatro Metastasio di Prato Prima assoluta Visto a Prato Teatro Metastasio il 13 aprile 2025

martedì 15 aprile 2025

ODISSEA MINORE per un'educazione della frontiera renzia.dinca Prato. Una generazione nel futuro (non scritto) di una generazione che conosce solo la frontiera. Questo il messaggio che la Compagnia Odissea minore ci sollecita a comprendere e recepire (e completamente senza retorica): ci sono centinaia e migliaia di bambine e bambini che con le loro famiglie ci provano, da camminanti, invisibili, a attraversare le frontiere per poter cercare di raggiungere il confine dell’Europa con le polizie a fiato sul collo. Pagando salati conti ai trafficanti e rischiando respingimenti, botte ed anche torture. Tant'è che più vie del mare per l'Europa sono quelle dei barconi e delle carrette (taxi?) del mare, ma oltre a queste c’è chi sceglie o è costretto a raggiungere le frontiere dell'Europa attraversando la rotta balcanica attraverso Turchia, Grecia, Bulgaria, Romania, stati dell’ex Jugoslavia fino alla Croazia. Mentre come corrispettivo non oggettivo ma diabolico, ci sono famiglie in Italia e in Europa attualmente viventi, che la guerra l'hanno vissuta attraverso narrazioni di nonni e genitori, oppure-spesso chi la guerra l'ha vissuta sulla propria pelle e tornato indenne no, ma salvo, non la raccontano ai più piccoli, per preservarli dall'orrore vissuto. E' stata anche questa la seconda guerra mondiale che ha portato il nostro Paese alla redazione della Carta Costituzionale del 1948, che ancora e ancora più si riverbera in questi tempi grami dove lo spauracchio dell'atomica, dei dazi di Trump al secondo mandato dopo un tentativo di colpo di Stato, ancora ci fanno patire il Novecento, secolo breve con queste derive pericolose, febbrili dinamiche dei primi vent'anni del secolo Duemila. Dentro questa opacità dove azzurro non si vede con la guerra alle porte di Russia e Palestina, ché l'Europa ai suoi confini è anche questo e molto altro rispetto alle democrazie proprio nel rispetto legislativo e del diritto internazionale acquisito con le Carte Internazionali europee, si alza uno sguardo giovane, coraggioso, intelligente quello della Compagnia Odissea Minore (richiami a Odissea nello spazio film 1968. il film nello spazio-tempo? odissea perchè si passa dai confini attraverso la Grecia di Odisseo-Ulisse, per arrivare dalla culla del Mediterraneo fra Siria devastata da guerre e popoli nel Medio Oriente dominati dall' ISIS in fuga per raggiungere l'Europa? però ci vuole il passaporto, il visto per passare dopo mesi di cammino sulla via balcanica per entrare in Europa. Un visto un passaporto che dai Paesi d'origine è carta straccia. perché si tratta non di un docu-film questo ideato da Odissea Minore: i giovani artisti Miriam Selima Fieno, Nicola Di Chio, Christian Elia, che in teatro hanno deciso di espandere e dilatare la loro esperienza e che il teatro lo praticano bene davvero, scegliendo di filmare in un viaggio pericoloso, e raccontare, da reporter di guerra per poi restituirla al Teatro, l’esperienza di cosa accade sui fronti di guerra, al di là delle frontiere europee lungo la rotta balcanica Andare e filmare i fronti di guerra attuale: ci vuole coraggio e abnegazione. E protezione, almeno dalle Ong, dalle ambasciate. E rischiando, come è successo, di essere portati in caserma. Il docu-film, proiettato sul fondale è divenuto un dispositivo di drammaturgia, con in scena tre degli attori-documentaristi grazie alla produzione in prima assoluta del MET diretto da Massimiliano Civica oramai da parecchi anni e riconfermato, è appassionatamente ultra contemporaneo in coerenza di scelte artistiche: è un tema dove si fonde e confonde la capacità e intelligenza di professionismi che restituiscono in scena la contemporaneità di popoli senza diritti, senza tetto né legge. Oltre alle vicende narrate di profughi ODISSEA MINORE: tante le fascinazioni di questo lavoro che è diario di viaggio di artisti Miriam Selima Fieno, Nicola Di Chio, il giornalista Christian Elia, la documentarista Cecilia Fasciani, una drammaturgia che intercetta giornalismo narrativo, storytelling attoriale, cinema. E insomma anche questo, ora, è lavoro, è testimonianza in presa diretta. è teatro. Davvero. Con una foto emblematica che sveglia le coscienze di chi ancora vivo e testimone, è del bimbo siriano Alan (Aylan Kurdi tre anni fotografato, che sembra addormentato sulle spiagge, in realtà a pancia in giù perchè annegato), che aveva fatto il giro del mondo nel lontanissimo 2015 sfuggito con la famiglia dall’ ISIS. Con un comunicato della BBC che scrive” Quello fu uno di quei momenti di cui l’intero pianeta sembra interessarsi” ODISSEA MINORE uno spettacolo di Miriam Selima Fieno, Nicola Di Chio e Christian Elia drammaturgia Christian Elia e Miriam Selima Fieno regia documentario, riprese e video editing Cecilia Fasciani scenografia virtuale e light design Maria Elena Fusacchia Produzione Teatro Metastasio di Prato Prima assoluta Visto a Prato, Teatro Fabbricone, il 6 aprile 2025

martedì 8 aprile 2025

Io non sono il mio sintomo di Renzia D’Incà Recensione di Maria Lenti Pubblicato il 8 Aprile 2025 di Redazione Poeta e narratrice, saggista e autrice per il teatro, Renzia D’Incà è di nuovo in libreria con poesie dal titolo subito enigmatico e intrigante, così come la poesia eponima: «Io non sono il mio Sintomo / sono il mio Stile, il che mi rende irresistibilmente SS // seduttiva adorabile odiosamata stronza / tanto io vado per la mia strada-adieu / e chi mi ama non mi segua alé // conosco un uomo di me / assai più danneggiato / ma ahimè parlar non posso / del peccatore-e neanche del peccato» (p. 69). Un dentro e un fuori non combacianti? L’apparenza e la sostanza? Il desiderio e il suo riscontro? Il pensiero e l’agire? Potrei continuare con gli interrogativi divergenti o confluenti, in ultima analisi, in constatazione o in altra domanda: sono io in questo tempo, oppure chi è con me nei giorni di questo tempo? Posto che quell’io ci/mi riguarda come accade sempre nel pensiero che raccoglie la propria linfa da una linfa anteriore e posteriore al formarsi di essa: la poesia, si sa, è conoscenza, ma è anche reinvenzione, spostamento da sé, ritorno nel sé della vita reincarnata dall’esperienza, ridata poi in pensieri. Nel caso in versi. Così, nell’andamento snodato anche in citazioni, supportato qua e là dai “fantasmi” di viaggiatori, i propri simili, precari di un quotidiano andare, da tempi verbali al passato (mentre prevale il presente indicativo), da assonanze e rime (il montaliano Bufera ha l’efficace “annera”), da strofe di tre versi brevi, da soluzioni stilistiche non usuali, Io non sono il sintomo rende un andamento dei giorni odierni accidentato, deflesso, difficile da dire perché difficile e doloroso è doverci stare: ciò nonostante amato nel suo esserci e desiderato in cambiamento. Una poesia, questa di Renzia D’Incà, da centellinare per sentirne il “fiato”, “il respiro vitale”, per vedere come dalla diversità linguistica (per tutte la poesia In una zona rotta dal silenzio, pp. 78-80) esca la visione di un mondo squinternato, ma ancora con la richiesta, magari tacita, di essere rimesso in differenti quinterni vivibili, ritrovabili con la memoria di un bene già prefigurato o di un simbolico da inventare. E valgono anche, per quest’ultimo aspetto, i richiami a Stendhal, Vasari, Schubert, a Ermete Trismegisto (in exergo), la citazione di Fabrizio De Andrè.. Coniugato, questo mondo, con la malinconia propria di chi lo vorrebbe diverso dall’inesorabile precipitato massmediale, di chi lo vive però mai fuori dalla speranza, di chi sa essere, il deserto, una terra possibile di vita altra dall’usuale: « …tu dentro mortifera voliera / mentre io volo ancora, papi / come cincia allegra con le cincie / che setacciano la polpa dell’albero…», (p. 44). Con qualche illusione che fa intravedere, scrive Ottavio Rossani in clausola alla sua prefazione, «…una felicità composta, leggera, nascosta.», (p. 8). Renzia D’Incà, Io non sono il mio sintomo, I Quaderni del Bardo Edizioni, 2024