La mamma sta tornando
povero orfanello
Buti (Pisa)
In un gioco di rimandi fra vivi e morti, in un dialogo
di ora e allora e fra fantasmi, non solo hic et nunc, si trasfigura in una scrittura scenica e
attoriale asciutta quasi allegra (si fa per dire), il nuovo lavoro del Teatro
di Buti: La mamma sta tornando povero orfanello a firma registica
di Dario Marconcini in collaborazione con Stefano Geraci. Perchè poi torna La
mamma, o meglio ri- torna dal Povero orfanello
Mentre a Buti in Prima nazionale e poi a Roma
(dove lo spettacolo sarà rappresentato nella Giornata della Memoria il 27
Gennaio al Teatro Vascello), in questi giorni Liliana Segre,
milanese-allora bambina 14enne (stessa età di Anne Frank), sopravvissuta a Olocausto
e oggi novantenne, è da qualche giorno protetta da due carabinieri
italiani in scorta. Quantomai oggi è ancora necessario testimoniare e raccontare per rendere
giustizia a chi ancora deve lottare contro razzismo e antisemitismo così
dilaganti nel nostro Paese e in Europa dove la memoria è corta e gli strumenti
di diffusione del mainstream passano da canali non controllati da chi ne
dovrebbe avere facoltà e soprattutto dovere deontologico
Il testo da cui è tratto il lavoro è dello scrittore e
drammaturgo Jean-Claude Grumberg,
francese ottantenne, rappresentato in tutto il mondo nonché sceneggiatore (fra
gli altri di Truffaut e Costa Gavras).
Un testo onirico, minimalista. Una scrittura quasi
giocosa ma di memorie forti, ingannevoli, registrata a più livelli semantici e
spazio-temporali da flusso di coscienza
dove passato e presente si intrecciano come accade nel guazzabuglio che è il
funzionamento della nostra Mente che nessuna mindfulness può governare. E' come
scritto e pensato fra veglia e sonno. Un po' fra Borges e Antonio Tabucchi di Requiem alla ricerca di Padri scomparsi
o solo ricompresi dentro le memorie anche letterarie. O come in Antonio Moresco
col suo doppio de La Lucina. E anche
un pò Divorzio tardivo di Yehoshua
coi suoi personaggi virati al femminile di memorie tenere dell’infanzia ma insieme
aspre e dure. La traduzione del testo di Grumberg è di Giacoma Limetani, romana,
traduttrice narratrice saggista e studiosa delle tradizioni e del pensiero
ebraico recentemente scomparsa, che aveva affidato tre anni or sono a Stefano
Geraci questo testo da lei tradotto
La messa in
scena, affatto semplice da trattare, è di una testualità stratificata,
multicodice, secondo uno stile molto dichiarato e rappresentato dalla coppia Daddi/Marconcini
che in cinquant’anni di carriera (come
si evince dal recente Quasi una vita, scritto per loro da Stefano Geraci), sempre ha cercato idee da mettere in scena
fra testi non inflazionati. Sul palco tre Attori: Giovanna Daddi: la
Madre che compare su sedia a dondolo come in flashback a dialogare-monologare
sulla narrazione del Figlio-Dario Marconcini, a sua volta in relazione
con tre personaggi-fantasmi maschili.
Tre figure autoritarie (per Emanuele Carucci Viterbi) ripetizioni del doppio, nel triplice ruolo di: Anestesista (il Bambino
ha avuto una operazione legata-negata, alla sua crescita), il Direttore della
casa di riposo, quella della Madre (dove è ricoverata e poi morta) e quello
del Padre, di cui ricorda poco, come
figura evanescente dapprima solo scomparso (epurazione leggi razziali 1938
siglate a Pisa San Rossore) e poi morto in campo di sterminio quando il bambino
era ancora piccolo (forse anche con cambi di abito nelle tre performance
identitarie multiple dove nel finale è a
torso nudo su cappotto nazi). Non c'è azione. Solo parola. Il Bambino-Dario
siede su una panchina sul palco completamente spoglio. Forse la panchina del
parco giochi di quando era piccolo e invocava la madre. O forse quella del
Bambino-Vecchio in ospizio. Nel dialogo coi fantasmi maschili e della Madre usa
un linguaggio e si atteggia proprio come un piccolo verso la Mamma e il Padre.
Ricorda rievoca spera che torni la festa, la domenica dell’infanzia. Un pò Domenica del villaggio di leopardiana
malinconico-giocosa matrice. O forse aspira chissà al ritorno dentro il grembo originario. Che è la Madre
ma potrebbe anche essere l’ala severa della Morte. E' vestito in pigiama come un bambino prima
di andare a dormire. Ma quel pigiamino ricorda
un pigiama da campo di sterminio (ha in testa la kippah). O forse è
pigiama di hospice. L'affabulazione si nutre di ricordi, fantasie legate al
clima dell’infanzia. Con al centro le figure della Madre e del Padre. Lui
l’attuale bambino di 62 anni. L'Altro il Padre il suo doppio di 42. Ma qui psicoanalisi non c’entra . Perchè la
differenza è che questo non è un Vecchio/Bambino in delirio o in fase
sonno-veglia. Perché a quel Bambino è successo. Davvero. Il padre di Grumberg è
di fatto stato catturato e portato in campo di concentramento dove è morto. Nel
testo e suo trattamento in scena non è chiaro. Ambiguità assoluta. Suo padre è scomparso improvvisamente ai famigliari e poi morto in campo sterminio.
Sua madre no. Poi lei muore da anziana in ospizio. Ora l’io narrante- 62 anni
nel testo mentre l’Autore è oggi 82 enne,
rivive quasi flashback la sua storia familiare. La straordinaria capacità di
Dario di immedesimazione – lui Anziano che si fa Bimbo in relazione con Mamma
(Giovanna Daddi) e con la complice attorialità versatile di Carucci Viterbi
(stolida espressione del Potere nelle diverse età della vita, tutte virate al
maschile) è delicata e insieme prepotente. Mentre una deliziosa ragazza Viviana
Marino, canta canzoni in francese
evocative e jiddish e con chitarra
La mamma sta tornando povero orfanello
regia Dario Marconcini collaborazione Stefano Geraci