domenica 30 novembre 2014


Intervista a Roberto Castello direttore artistico di SPAM Festival AFFARI NOSTRI Lucca Posted by Renzia D’Incà Rumors: “Ci parla della nuova stagione di SPAM fra Lucca e Porcari dove lei firma in co-direzione artistica con Graziano Graziani il festival Affari nostri?”. Castello: “In realtà la co-direzione con Graziano Graziani era già nata nella primavera scorsa (la stagione di Teatro popolare d’arte-Siamo nei tempi). Adesso in AFFARI NOSTRI abbiamo deciso di inserire un percorso sulle letterature del contemporaneo che prevede incontri con autori e reading di opere letterarie: Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Claudio Morici, questi i tre giovani autori introdotti da Rodolfo Sacchettini (Pacifico e Lagioia) e dallo stesso Graziano Graziani (Morici) conduttore per Fahrenheit su RADIO 3. Gli incontri sono ospitati nello spazio della Chiesa di Santa Caterina, in collaborazione con il Comune di Lucca e le librerie Baroni e Lucca Libri. Nelle nostre intenzioni, quelli che sono stati definiti “incontri letterari”, segnano un cambiamento solo apparente rispetto alla cifra legata alla residenza artistica di Danza nel territorio lucchese come associazione ALDES ( che ha sede a Porcari) ed è messa in secondo piano rispetto alla nostra idea di creare attenzione di produzione artistica per il festival Affari nostri che è attualmente in pieno corso a Lucca per concludere il 21 dicembre. Una residenza artistica nei territori della lucchesia, potrebbe non essere indispensabile nel solo settore della “Danza contemporanea” ma lo è, per noi di ALDES, che teniamo molto alla questione di come reagire ai decenni Ottanta /Novanta dove in un Paese conservatore come il nostro, sono stati scialacquati denari pubblici sia, per esempio, per la lirica che per la prosa classica, in un’ottica miope di sfruttamento della cultura passata. Noi di ALDES ci siamo chiesti: cosa vogliamo lasciare alle generazioni future? non certo cristallizzare il passato per far da traino al turismo che comunque è il settore in cui l’Italia può avere un’ importante espansione per sviluppo economico? e dunque, cosa possiamo proporre di alternativo dal punto di vista artistico-culturale allo status quo politico-istituzionale locale e nazionale? così ci siamo detti: noi vorremmo uno sguardo prioritario che guardi avanti perché i tempi sono cambiati. Gli “Affari nostri” includono nuovi schemi di collaborazioni legati anche alle logiche territoriali. Abbiamo bisogno di una programmazione sistemica non più e solo dal centro verso le periferie. Anche la scelta di questi tre giovani autori non è casuale: nei loro romanzi si parla di storie della nuova borghesia italiana, insomma dei “fatti nostri”, sono ritratti di un’Italia che ci riguarda, naturalmente sotto una luce critica che passa dal vaglio letterario. Rumors: “ Il Festival ha natura multimediale, secondo la specificità di ALDES, prevede svariate articolazioni, oltre alle presentazioni di libri infatti, sviluppa proposte di danza contemporanea (Marina Giovannini, Irene Russolillo); rassegne di video|teatro molto importanti come quella storica ed unica nel panorama nazionale firmata da Studio Azzurro specializzata nella documentazione video di spettacoli di teatro oltre alla sezione: Prove Schizzi Abbozzi e Tentativi. Come mai questo titolo Affari nostri? nostri, di chi? Castello: “Abbiamo usato l’accezione della parola Affari anche nel senso della logica di programmazione territoriale cioè ospitare autori toscani, penso ad esempio al compositore lucchese Gianmarco Caselli, non abbastanza valorizzato come è accaduto a molti musicisti della sua generazione. Oggi l’idea che più gente affluisce a teatro, cioè più pubblico c’è e più il progetto artistico funziona, secondo noi, non è più plausibile e non certo per fare discorsi da elitari o di destra. Per quanto riguarda la progettualità di Prove Schizzi ecc si tratta di lavori in corso ad ALDES, cioè di sei progetti attivati da qualche tempo con spettatori che fanno parte di un gruppo chiuso di osservatori. Quanto al progetto Studio Azzurro: risale a una quindicina di anni or sono. L’anno scorso è mancato Paolo Rosa e ci è sembrato necessario ricordarlo. La presenza in Affari nostri della rassegna di Studio Azzurro- Scena e doppia scena (Casa del boia- Lucca) vuole essere uno spazio in cui si storicizza il fare teatrale in forma di video: è una antologica per e sul teatro che per ben dodici ore per più giorni proietta materiali video o realizzati dallo stesso Studio o da loro documentato. La proiezione va avanti dalle 11 del mattino fino alla sera, cambiando ogni giorno, l’ingresso è gratuito. La rassegna si conclude con un intervento di Sandra Lischi, nota studiosa di video arte, docente al DAMS dell’Università di Pisa e con Valentina Valentini. Mi chiedo in quanto direttore artistico ALDES: perché invece di una agenzia di professionisti come Studio Azzurro non è stata la RAI a documentare in video molte straordinarie esperienze teatrali fin dagli anni Ottanta? forse perché è stata in competizione con le programmazioni Mediaset? RUMORS: “Nel festival in corso Affari nostri è in pieno work in progress una progettualità teatrale in collaborazione fra lei e Andrea Cosentino”. Castello: “Sì, presenteremo nella sezione Prove un nostro progetto legato al tema del denaro. Un tema scottante che riguarda tutti in questi tempi di crisi economica quindi anche noi artisti. Come ALDES non siamo residenza inquadrata dentro la legge regionale- ma sostenuti, ed abbiamo un’ottima collaborazione con gli enti locali su cui non graviamo, non solo: forniamo servizi culturali sul territorio per i cittadini.

giovedì 6 novembre 2014


LEZIONI DI STILE Francesco Orlando Francesco Orlando apparteneva a quel tipo di studioso per il quale l'insegnamento era tutt'uno con la ricerca. Interpretava magistralmente il senso e la qualità dell'insegnare regalando a studenti, discenti, colleghi lezioni in cui metteva in gioco con arte le inquietudini e le domande dello studioso. I suoi corsi non erano frequentati soltanto da studenti di Lettere e di Lingue, ma abitualmente anche da quelli di altre discipline, a cominciare dalle discipline filosofiche e storiche. Egli infatti andava oltre i limiti istituzionali e disciplinari delle materie di cui si occupava, letteratura francese o teoria della letteratura, perché le sue interpretazioni coglievano dall'interno di tali materie aspetti inconsueti che evocavano altri saperi, dalla filosofia alla psicanalisi. Riproponendo nel 1997 alle stampe il libro del 1982, Illuminismo, barocco e retorica freudiana, Francesco Orlando scrisse che si trattava del suo lavoro meno fortunato del ciclo freudiano e si chiese se la scarsa attenzione che originariamente gli aveva prestato la critica non fosse dipesa dal fatto che quel libro aveva un taglio interdisciplinare oppure che l'argomento affrontato fosse inattuale. In effetti, l'argomento era inattuale. Si trattava dell'illuminismo. Orlando ha tentato di consegnare, attraverso Freud, un illuminismo diverso. Se dovessi indicare con una parola cosa caratterizzi teoricamente e storicamente l'illuminismo di Orlando, un illuminismo che va dalla Riforma alle soglie di Rousseau, la risposta è facile: l'ironia. Se il barocco è segnato dalla metafora, l'illuminismo è caratterizzato dall'ironia. Un'ironia che determina il dislocarsi del punto di vista del narratore o dei protagonisti in una posizione tale che lo scenario da loro descritto assume tutti i toni graffianti, perché stupiti o ingenui, di una critica. Siamo dentro una situazione che giustappunto caratterizza il nesso tra illuminismo e ironia. La confutazione da parte di un altro, di un selvaggio, depotenzia il pericolo del peccato d'orgoglio che una critica simile può portare con sé. Similmente Usbek e Rica, i protagonisti delle Lettere Persiane di Montesquieu, oggetto di un intero capitolo di questo libro, viaggiatori orientali che si trovano a visitare e ad osservare Parigi, i suoi costumi e le sue istituzioni, hanno questo ruolo di osservatori estranianti ed estraniati. Vedono con altri occhi la vita della città europea e, dal loro particolare punto di vista, operano una critica che è filtrata dallo stupore tipico dello straniero che non sa nulla di ciò che osserva. Orlando fa una proposta che va al di là del piano della letteratura, perché il compromesso freudiano costituito dall'ironia illuminista ci porta verso quel lato dell'illuminismo che contiene in sé l'antidoto agli stessi pregiudizi che ha creato. Il gioco dello spostamento, da questo punto di vista, è senz'altro decisivo: come ci guardano gli altri? Anche quando una simile domanda funziona da simulazione o da artificio, resta ugualmente un'ottima domanda. Qui, come si vede, l'interpretazione letteraria va oltre la letteratura e la critica si veste di teoria. Cover volume Per Francesco OrlandoFrancesco Orlando insegnò sia alla Facoltà di Lingue sia alla Facoltà di Lettere. Si batté anche per la loro unificazione, ma la cosa non ebbe successo. Come preside della Facoltà di Lettere e Filosofia posso dire che Francesco Orlando ha dato lustro alla mia Facoltà non soltanto per sue ben note qualità di studioso, ma perché è fra coloro che ha contribuito a segnare uno stile che si caratterizza per il senso dell'insegnamento, un senso che era scientifico, didattico ed etico insieme. Non era uomo che usava l'università per fare altro, ma considerava l'insegnamento universitario come la forma primaria della comunicazione di uno studioso. Aveva, e la comunicava, una grande passione civile, indissociabile dalla critica. Intervenendo a un dibattito che aveva per argomento la malinconica domanda «A che serve la letteratura?», Francesco Orlando aveva sollevato un sospetto: «le mode dell'autoreferenzialità e dell'intertestualità – egli scriveva – ci ripetono da quarant'anni che la letteratura parla di se stessa e non del mondo, rimanda sempre ad altra letteratura a mai al mondo; non saranno per caso corresponsabili, secondo una sorta di legge del taglione, se ormai il mondo teme di annoiarsi a sentir parlare di classici e non vuol più lasciarsi rimandare ad essi? Farla finita con queste anziane mode, tornare a interrogarsi in modo originale sulla parte di mimesi e la parte di convenzione che fondano ogni arte, sarebbe corresponsabilità istituzionale di noi studiosi e insegnanti di letteratura». Ma a che serve la letteratura? Ho avuto l'onore e il piacere di accompagnare Francesco all'ultima lezione che tenne in Facoltà prima di andare in pensione. Bastava respirare l'aria che respiravano i suoi studenti per capire che una domanda del genere può sorgere solo fuori dalle sue lezioni, solo quando la passione intellettuale e la passione civile cominciano, come forse sta accedendo oggi, a essere impercettibilmente sostituite da quelli che dovrebbero essere soltanto dei mezzi e dei supporti, dalle pratiche burocratiche, dagli orari, dai crediti e dai debiti, dalla cosiddetta full immersion, dalla sciocca rigidità dei percorsi di studio. Alla domanda: «a che serve la letteratura?» Francesco aveva risposto dicendo che essa «suona press'a poco come le seguenti: a che cosa serve l'aria che respiriamo? La terra che ci sostiene? Il corpo in cui consistiamo?». E aveva concluso con un messaggio semplice e bellissimo, un messaggio che mi piacerebbe scrivere sui muri di Palazzo Ricci: «L'aria, la terra, il corpo, la letteratura. Queste cose non servono... – scrive Francesco Orlando – piuttosto sono condizioni del nostro essere fisicamente quello che ognuno di noi è, un essere umano». Alfonso Maurizio Iacono 8 gennaio 2013

sabato 1 novembre 2014


Jesus di Babilonia Teatri Posted by Renzia D’Incà Vicenza In una fase in cui la Rete, l’under 25 di fascia geografica cristiano-centrica, si appassiona a certe vignette sul Cristo e la cristologia fino a farne un cult apocrifo- Toc toc, chi è? Dio. La mamma mi ha detto di non aprire a cani e porci- oppure si spalma su Ipad, effe book, Iphone, video su you tube di Lady Gaga coi crocioni al petto, improbabilissime icone Harley Davidson per la new poor italian generation, collanine del rosario alla moda dei maschi greci isolani e simbologie sadomaso cadaveriche(ma non lo faceva anche Madonna, la cantante, a suo tempo e con altri più rozzi mezzi mediatici?). e che dire a commento della moda dilagante delle disco-cristoteche (che sempre al tecno house siamo da vent’anni)? e allora, che fare? certo, mettere al mondo e poi far crescere ed educare- oggi- un bambino nella confusione dei simboli-archetipi multimediali, non è affatto come bere o affogare dentro una tazza di tè, per dirla alla Mannarino? altro che Lipton o Twining delle madri o nonne mediamente borghesi. Che così incomincia l’affabulazione in salsa rapper a due- la coppia genitoriale di questo Jesus dei Babilonia Teatri, nella cornice di quell’architetto che fu Palladio, dentro una location teatrale unica al mondo: il Teatro Olimpico di Vicenza(per la microstagione vicentina a direzione artistica di Emma Dante e dopo la prima modenese ). E’Jesus : in scena irrompe l’energia a tutto tondo di un bambinetto età dell’asilo –l’Ettore, anche figlio della coppia in scena Valeria Raimondi e Enrico Castellani in jeans e magliette con stampigliato sopra il logo 33 (che a quell’età, pare-sia morto Gesù). La coppia genitoriale affronta in un monologante doppio il tema, con in braccio un imbarazzante pallone-pancione da basket – a volte in palleggio: Gesù chi è costui? e giù tutta una serie di slogan sulla iconografia-iconoclastia a partire dalla pubblicità invasiva ed invadente di questo ingombrantissimo Figlio dell’occidente cristiano, ma alla maniera del duo performers Raimondi /Castellani a cui Babilonia ci ha abituati - in doppio cantilenato. Certo da Chi mi ama mi segua della pubblicità (targata Oliviero Toscani)sui cartelloni di certi jeans primissimi anni Settanta, ne ha fatta di strada il brand del “crocifisso”. Parte una micro sezione- a cui ne seguiranno altre-di testualità dove è tutto un incrociarsi di meta-narrazioni sulla cristità. Il plot narrativo si snoda alternato a pezzi musicali pop al limite della banalità (attualissima e generazionale) e dal Vasco Rossi al Personal Jesus dei Depeche mode, mentre il bambino chiede (si chiede?) papà mamma perché Cristo muore? perché si nasce e poi si muore? magari ammazzati come Gesù? difficile pensare che queste siano domande che si pone un bimbetto di quell’età. certamente se le pongono i genitori di quel bimbo nella loro funzione, appunto, adulta-genitoriale. Anche nella scena, fissa, l’unico riferimento è un neon scomponibile/ ricomponibile formato da paroline dell’alfabeto, modello scuole elementari d’antan o di certa arte concettuale (che scorre con richiami da Alighiero Boetti a Cattelan), certo non quelle attuali del bimbo dell’asilo. Ecco che allora questo nuovo lavoro di Babilonia sembra voler rimandare ai temi di Vita versus Morte (ma anche eros-thanatos visti in Lolita) di cui ci siamo appassionati-quasi un rilancio in chiave post regressiva del Pinocchio (dove il tema era quello del coma e della sopravvivenza alla tragedia dell’incidente stradale che avrebbe potuto essere mortale ma che invece trasferisce ad un’altra dimensione pur sempre vitale, anche nelle sue limitazioni fisiche s/oggettive) e può far pensare ad un inno naturalistico alla prevalenza della corporeità e ad un darwinistico principio di élan vital o dell’equivalente del classicissimo amor vitae. Chissà, forse la risposta genitoriale alla domanda (?) del (loro figlio) che il loro Bambin Gesù, si trasforma in risposta esistenziale della coppia: non vogliamo un Cristo martirizzato ma un personal Jesus, un Paradiso in terra. Uno spazio dopo la cacciata di Adamo ed Eva ma hic et nunc, materiale, dove il corpo può avere dimensione di splendore e luce come la vita e la sua trasmissione attraverso la copula-insomma, il dionisiaco e|ma senza peccato originale? Un messaggio anti-intellettualistico che può lasciare perplessità. La sensazione del non-finito. Insomma, non che un spettacolo debba dare risposte, altri spazi politici e sociali dovrebbero darceli, a noi adulti e come semplici spettatori e persone. Credo , da non credente, che questo dei Babilonia ancora non sia un lavoro definito- il volo finale del corpo come utopia finale sia del bambino Jesus sull’altalena della vita come quello del risvegliato dal coma del precedente Pinocchio, non mi convince. Purtroppo. Tuttavia come soluzione artistica può essere e neanche troppo esotericamente un’ipotesi validissima. Quantomeno della speranza. Visto a Vicenza, Teatro Olimpico, 25 ottobre di Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Vincenzo Todesco con Enrico Castellani e Valeria Raimondi Scene e luci di Babilonia Teatri ( Luca Scotton) Costumi Babilonia Teatri (Franca Piccoli) Produzione Babilonia Teatri in coproduzione con La Nef/ Fabrique des Cultures Actuelles Saint Dié-des Vosges (France) e MESS International Theater Festival Sarajevo (Bosnia and Herzegovina) in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione con il sostegno di Fuori Luogo La Spezia con l’Associazione ZeroFavole- Alta Mane Italia Spettacolo scelto da Emma Dante per il 67esimo Ciclo di spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza