lunedì 4 dicembre 2017


Governare i social E EDITORIALE Governare i social di ANDREA CANGINIPubblicato il 3 dicembre 2017 La Nazione Ultimo aggiornamento: 4 dicembre 2017 ore 11:39 Oggi le chiamano fake news, ieri le chiamavamo bufale. Sono sempre esistite e da sempre chi governa se ne serve per rafforzarsi e chi sta all’opposizione per indebolire chi governa. Nei rapporti tra Stati, poi, la disinformazione è la regola, e non solo in tempo di guerra. Nulla di nuovo, dunque. «Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti, non solo del mestiere del politico e del demagogo, ma anche dello statista», ha scritto 45 anni fa la filosofa Hannah Arendt. Tra ieri e oggi, però, è sopraggiunta una novità: sono arrivati i social e una quota ormai maggioritaria di persone li usa come unica fonte di informazione. A differenza dei giornali e degli altri mezzi tradizionali di comunicazione, però, i social non si rendono responsabili dei contenuti che diffondono. Ne risulta una babele informativa su scala globale, una valanga di nozioni, notizie, immagini, video, commenti dove il vero convive col falso e che si riversa sugli utenti senza un criterio né un ordine. Una fonte vale l’altra, le notizie in partenza si equivalgono per poi collocarsi lungo un’ideale scala gerarchica sulla sola base del numero di condivisioni che ottengono. P Chi la spara più grossa, dunque, vince. Vince chi diffonde notizie che alimentano vecchi e nuovi pregiudizi, chi urla più forte, chi si indigna di più. Il dibattito civile e politico risulta di conseguenza dopato; aumentano esponenzialmente la conflittualità e l’approssimazione. È questo, a nostro avviso, il problema principale. E di questo problema le fake news, ovvero le notizie volutamente false tese ad alterare il confronto democratico, rappresentano un aspetto secondario. Matteo Renzi ne ha fatto materia di campagna elettorale, evoca oscuri legami tra gli agenti della disinformazione russa e il Movimento 5 stelle e invoca una commissione parlamentare di inchiesta. Non crediamo che la vittoria di Trump negli Stati Uniti sia dovuta ai troll di Putin, non crediamo che il risultato delle prossime elezioni in Italia rischi di essere falsato da qualche bufala artatamente messa in Rete. Il tema è la normalità dell’informazione sui social, non la straordinarietà delle fake news. La soluzione non c’è, ma per migliorare la situazione basterebbe dare corpo a due parole: responsabilità e qualità. Se i social cominciassero ad assumersi qualche responsabilità, se il nome di chi diffonde un messaggio in Rete fosse identificabile, se le aziende che fanno pubblicità sui siti più screditati solo perché generano molto traffico puntassero a vetrine di qualità, e se si rivalutassero i cari e vecchi giornali la situazione un po’ migliorerebbe. Poi, certo, se ciascuno di noi avesse un certo grado di cultura e spirito critico il problema non si porrebbe affatto. Ma non è il caso di illudersi. Gira su WhatsApp (con commento, al solito, enfatico e indignato) uno spezzone di una recente puntata del quiz televisivo l’Eredità. Quattro concorrenti, una domanda: quando è stato nominato cancelliere Adolf Hitler? La prima concorrente ha risposto nel 1948, il secondo nel 1964, la terza nel 1979. «Sarà forse il 1933?», ha domandato, tremebonda, la quarta concorrente.

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